Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 29-02-2012, n. 3053 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 12/16.1.2007 la Corte di appello di Firenze confermava la decisione di primo grado nella parte in cui dichiarava la nullità del termine apposto al contratto stipulato fra le Poste Italiane e B.A. per il periodo 24.7/31.8.2000 per "necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno-settembre", ai sensi dell’art. 8 del CCNL 26.11.1994; nonchè al contratto stipulato con P.M. G. per il periodo 9.8/30.9.2002, per "esigenze tecniche, organizzative e produttive anche di carattere straordinario, conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi nonchè all’attuazione delle previsioni di cui agli accordi del 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001, 11 gennaio, 13 febbraio e 17 aprile 2002", nonchè per "necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenza per ferie".

Osservava in sintesi la corte territoriale, quanto alla posizione del B., che non erano state provate le specifiche esigenze che legittimavano, in forza della previsione contrattuale, l’assunzione a termine del dipendente; quanto alla posizione della P., che nel contratto intervenuto fra le parti non risultavano richiamate le concrete ragioni che avevano condotto all’assunzione, essendosi riprodotte nel testo, con mera clausola di stile, tutte le fattispecie autorizzatorie.

Per la cassazione della sentenza propongono ricorso le Poste Italiane con sette motivi, illustrati con memoria.

Resiste con controricorso, illustrato con memoria, P.M. G.; non ha svolto attività difensiva B.A..

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 1372 c.c., commi 1 e 2, nonchè ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la ricorrente lamenta che i giudici di appello avevano trascurato di valutare un complesso di circostanze idonee a qualificare il comportamento del B. come tacita acquiescenza alla avvenuta risoluzione del rapporto di lavoro.

Con il secondo motivo, svolto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto e degli accordi collettivi di lavoro, nonchè vizio di motivazione, osservando, sempre con riferimento alla posizione del B., che la corte territoriale aveva erroneamente ritenuto che, per la legittimità dell’assunzione a termine per esigenze sostitutive del personale assente per ferie, fosse necessaria l’indicazione del nome del lavoratore sostituito e della causa della sostituzione.

2. Il primo motivo è infondato.

Come questa Corte ha più volte affermato "nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinchè possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto" (v. ad es. Cass. 10/11/2008 n. 26935, Cass. 28-9-2007 n. 20390, Cass. 17-12-2004 n. 23554, Cass. 11-12-2001 n. 15621).

Tale principio va enunciato anche in questa sede, rilevando, inoltre, che, come pure è stato precisato, "grava sul datore di lavoro, che eccepisca la risoluzione per mutuo consenso, l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro" (v. Cass. 2-12-2002 n. 17070).

Circostanze che, con corretta motivazione, la corte territoriale ha ritenuto nel caso non provate, alla luce dell’impossibilità di arguirle solo dal decorso del tempo maturatosi prima della proposizione del ricorso, non senza considerare che, comunque, il reperimento di altre occasioni di lavoro è strumentale alla necessità di sopperire ad elementari bisogni di vita ed, in difetto di un più specifico contesto di riferimento, non è, pertanto, di per sè solo significativo di una univoca volontà di rinunciare al diritto e che ancor meno significativa appare la percezione di indennità (quali il TFR) dovute ex lege per effetto della cessazione del rapporto di lavoro.

3. Il secondo motivo è, invece, fondato alla luce dei precedenti consolidati di questa Suprema Corte.

Decidendo (cfr. ad es., Cass. 2 marzo 2007 n. 4933) su fattispecie analoghe a quella in esame, si è reiteratamente affermato l’insussistenza dell’obbligo di indicare nel contratto il nome del lavoratore sostituito, per determinare la tesi opposta la violazione di norme di diritto, oltre che una erronea interpretazione della normativa collettiva.

Si è rilevato, infatti, che, ad escludere l’autonomia del contratto a termine regolato dalla contrattazione collettiva rispetto alla previsione legale, si determinerebbe un palese contrasto col principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte (Cass. S.U. 2 marzo 2006 n. 4588), secondo cui la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, che demanda alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge.

Giova soggiungere che altre decisioni di questa Corte (cfr., ad es.

Cass. 6 dicembre 2005 n. 26678, Cass. 7-3-2008 n. 6204) hanno confermato le decisioni di merito che, nel ritenere l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva del tutto autonoma rispetto alla previsione legale, hanno interpretato l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo nel senso di riconoscere, quale unico presupposto per la sua operatività, l’assunzione nel periodo in cui, di norma, i dipendenti fruiscono delle ferie.

Così come (cfr. Cass. 28-3-2008 n. 8122) si è confermato che "l’unica interpretazione corretta della norma collettiva in esame (art. 8 ccnl 26-11-1994) è quella secondo cui, stante l’autonomia di tale ipotesi rispetto alla previsione legale … l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo non prevede come presupposto per la sua operatività l’onere, per il datore di lavoro, di provare le esigenze di servizio in concreto connesse all’assenza per ferie di altri dipendenti nonchè la relazione causale fra dette esigenze e l’assunzione del lavoratore con specifico riferimento all’unità organizzativa alla quale lo stesso è stato destinato". 4. Con il terzo motivo (relativo, al pari di quelli che saranno di seguito esaminati, alla posizione processuale di P.M. G.) la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, che la corte territoriale , accedendo ad una interpretazione "del tutto arbitraria", del D.Lgs. n. 368 del 2001 e dell’art. 11 Cost., pur in difetto di una norma comunitaria direttamente applicabile, aveva disapplicato la nuova disciplina del contratto a termine posta dalla legge del 2001, senza a tal fine prospettare, per come necessario, alcuna questione di costituzionalità.

Con il quarto motivo la sentenza impugnata viene censurata per violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi di lavoro, nonchè per nullità del procedimento ( art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4) ed, al riguardo, la società ricorrente osserva che, nel contratto stipulato fra le parti, erano state specificate le ragioni dell’assunzione, senza che fosse necessario prevedere il nominativo del lavoratore sostituito e le ragioni della sostituzione, e che l’attività lavorativa svolta era stata del tutto coerente con le stesse ed ancora che l’opportunità di ricorrere all’assunzione temporanea era stata affermata dagli agenti contrattuali nelle norme contrattuali collettive ed in più di un accordo ad hoc. Con il quinto motivo la società ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, nullità del procedimento e violazione di norme di diritto, rilevando che la corte territoriale aveva affermato la nullità della clausola oppositiva del termine, senza ammettere le istanze istruttorie a tal fine formulate, erroneamente ritenute irrilevanti.

Con il sesto motivo, pur esso svolto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, si censura la sentenza impugnata per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto che nel contratto di assunzione dovessero essere indicati i nominativi dei dipendenti sostituiti e i motivi dell’assunzione.

Con l’ultimo motivo, infine, la società ricorrente sostiene, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, che, alla luce della regola di corrispettività e sinallagmaticità della prestazione di lavoro, la situazione di mora credendi, necessaria per la decorrenza del danno risarcibile nel caso di mancata ripresa del rapporto a seguito della scadenza del relativo termine dichiarato nullo, non può essere automaticamente integrata (nell’assenza del "benchè minimo elemento probatorio") dal mero tentativo di conciliazione, presupponendo la ripresa del servizio o la formale messa in mora.

5. Il quarto motivo (da esaminarsi preliminarmente, al pari del quinto e del sesto, stante il loro carattere assorbente) è inammissibile per mancata osservanza dell’art. 366 bis c.p.c..

Il quesito formulato ("Dica la corte se il rapporto tra contratto di lavoro a tempo indeterminato e a tempo determinato debba, alla luce della normativa nazionale ed europea, essere governato dal principio regola ed eccezione e se le parti sociali possano ancora, con l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 368 del 2001, intervenire nella individuazione di fattispecie autorizzatorie dell’apposizione del termine con efficacia per tutti i dipendenti in ragione della inscindibilità del potere organizzativo e perchè, altrimenti, si consentirebbero discriminazioni per ragioni sindacali") risulta non conforme al precetto legale, per non ricomprendere il complesso delle censure articolate nel motivo (in particolare, con riferimento alla fattispecie sostitutiva ed ai suoi presupposti di legittimità, alla luce della nuova disciplina del contratto a termine) e per risolversi, comunque, nella enunciazione astratta delle regole asseritamente vigenti nella materia, senza enucleare il momento di conflitto rispetto ad esse del concreto accertamento operato dai giudici di merito.

Il quesito di diritto, che la norma richiede a pena di inammissibilità del relativo motivo, deve, infatti, essere formulato, secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte, in maniera specifica e deve essere chiaramente riferibile alla fattispecie dedotta in giudizio (cfr. ad es. Cass. SU n. 36/2007 e n. 2658/2008), dovendosi ritenere come inesistente un quesito generico, parziale o non pertinente.

In proposito, per come rilevato, a fini esemplificativi, da SU (ord) n. 2658/2008, "potrebbe apparire utile il ricorso ad uno schema secondo il quale sinteticamente si domandi alla Corte se, in una fattispecie quale quella contestualmente e sommariamente descritta nel quesito (fatto), si applichi la regola di diritto auspicata dal ricorrente in luogo di quella diversa adottata nella sentenza impugnata", le ragioni della cui erroneità siano adeguatamente illustrate nel motivo medesimo.

Il quesito posto dalla società ricorrente non risulta conforme ai canoni interpretativi indicati perchè – va ribadito – inidoneo ad esprimere, in termini riassuntivi, ma esaustivamente pertinenti all’articolazione delle censure in relazione alla fattispecie controversa, il vizio ricostruttivo addebitato alla decisione.

Non senza, peraltro, soggiungere che la censura appare, comunque, inammissibile anche per violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, facendo il motivo riferimento ad un complesso di accordi contrattuale che non risultano nè trascritti in seno al ricorso, nè indicati nella loro esatta collocazione fra i documenti di causa.

6. Inammissibile, e per analoghe ragioni, è anche il quinto motivo, per farsi riferimento pure nello stesso ad istanze istruttorie, che si assumono rilevanti, e, nondimeno, non ammesse dalla corte di merito, senza che il relativo contenuto sia documentato in coerenza con il canone di necessaria autosufficienza del ricorso per cassazione, che, come va ribadito, impone alla parte che denuncia, in sede di legittimità, l’erronea valutazione di un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o di un documento o di risultanze probatorie e processuali, l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato o erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla relativa trascrizione, al fine di consentire il controllo della decisività dei fatti da provare e, quindi, delle prove stesse, dato che questo controllo, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, deve poter essere compiuto dalla corte di cassazione sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (v. ad es. per tutte Cass. n. 10913/1998; Cass. n. 12362/2006, Cass. n. 18854/2010).

7. Infondato è, invece, il sesto motivo.

Deve, al riguardo, rammentarsi come questa Suprema Corte abbia già affermato che , in tema di assunzione di lavoratori subordinati per ragioni di carattere sostitutivo, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 214 del 2009, l’onere di specificazione delle dette ragioni è correlato alla finalità di assicurare la trasparenza e la veridicità della causa dell’apposizione del termine e l’immodificabilità della stessa nel corso del rapporto. Pertanto, nelle situazioni aziendali complesse, in cui la sostituzione non è riferita ad una singola persona, ma ad una funzione produttiva specifica, occasionalmente scoperta, l’apposizione del termine deve considerarsi legittima se l’enunciazione dell’esigenza di sostituire lavoratori assenti – da sola insufficiente ad assolvere l’onere di specificazione delle ragioni stesse – risulti integrata dall’integrazione di elementi ulteriori (quali l’ambito territoriale di riferimento, il luogo della prestazione lavorativa, le mansioni dei lavoratori da sostituire, il diritto degli stessi alla conservazione del posto di lavoro) che consentano di determinare il numero dei lavoratori da sostituire, ancorchè non identificati nominativamente, ferma restando, in ogni caso, la verificabilità della sussistenza effettiva del prospettato presupposto di legittimità (cfr. Cass. n. 1577/2010).

Nel caso in esame, nessuno di questi elementi risulta enunciato nella clausola di assunzione a termine, che fa mero riferimento alla "necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie", laddove, per il resto, la società ricorrente si è limitata a ribadire che, nel nuova assetto normativo, non risulta necessaria l’indicazione dei lavoratori sostituiti e delle ragioni della sostituzione e a richiamare gli orientamenti della giurisprudenza di legittimità formatisi sotto la vigenza della L. n. 56 del 1987, senza prendere in alcun modo in esame i più complessi presupposti di validità richiesti, per come si è visto, dalla nuova disciplina normativa, secondo come interpretata da questa Suprema Corte.

Corretta, pertanto, la motivazione della sentenza impugnata (nella parte in cui prospetta, anche con riferimento alla posizione della P., la necessità dell’indicazione, in seno alla clausola contrattuale, del nominativo dei dipendenti sostituiti) va tenuta ferma, tuttavia, la relativa statuizione, per essere il dispositivo della decisione impugnata anche per tal parte conforme al diritto.

8. Nel rigetto dei motivi già esaminati resta assorbito l’esame del terzo mezzo di impugnazione.

9.Va rigettato, infine, anche l’ultimo motivo, stante l’inammissibilità della relativa censura.

L’affermazione, infatti, per cui la situazione di mora crederteli, necessaria per la decorrenza del danno risarcibile nel caso di mancata ripresa del rapporto a seguito della scadenza del relativo termine dichiarato nullo, costituisce una fattispecie complessa, che, comunque, non può essere automaticamente integrata (nell’assenza del "benchè minimo elemento probatorio") dal mero tentativo di conciliazione, presupponendo, fra l’altro, la ripresa del servizio o la formale messa in mora, è inammissibile in quanto contrastante con l’opposto accertamento dei giudici di merito, i quali hanno dato atto di una "esplicita richiesta di riassunzione" formulata dalla lavoratrice, senza che ciò sia stato contestato, in coerenza col canone della necessaria autosufficienza del ricorso per cassazione, attraverso la trascrizione del documento rilevante, peraltro neppure individuato nella sua esatta collocazione fra gli atti di causa.

10. L’inammissibilità del precedente motivo determina l’inapplicabilità dello ius superveniens in punto di criteri di determinazione del risarcimento del danno, essendo per tal fine necessario, in conformità ai precedenti di questa Corte, che il motivo del ricorso, che investa, anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, oltre ad essere sussistente, sia, altresì, ammissibile, secondo la disciplina sua propria.

In particolare, con riferimento a tale disciplina, la necessaria sussistenza della questione ad essa pertinente presuppone, nel giudizio di cassazione, che i motivi del ricorso investano specificatamente le conseguenze patrimoniali dell’accertata nullità del termine, che non siano tardivi, generici, o affetti da altra causa di inammissibilità, ivi compresa la mancata osservanza del precetto dell’art. 366 bis c.p.c., ove applicabile ratione temporis.

In caso di assenza o inammissibilità (come nel caso) di una censura in ordine alle conseguenze economiche della clausola di durata, illegittimamente apposta, il rigetto per tali cause dei motivi non può, quindi, che determinare la stabilità e irrevocabilità delle statuizioni di merito contestate.

11. In conclusione, il ricorso proposto nei confronti di P. M.G. va rigettato, mentre va accolto nei confronti di B.A. e, cassata la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte, la causa va per tale parte rimessa ad altro giudice di pari grado, il quale provvederà a nuovo esame sulla base dei principi indicati, regolando anche le spese del presente giudizio.

Le spese seguono in parte qua la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei confronti di B.A. e lo rigetta nei confronti di P.M.G. e condanna la società ricorrente al pagamento in favore di quest’ultima delle relative spese, che liquida in Euro 50,00 per esborsi ed in Euro 3.000,00 per onorari, oltre a spese generali, I.V.A. e C.P.A.; cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia anche per le spese alla Corte di appello di Bologna.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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