Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 14-06-2011) 04-10-2011, n. 35996 Porto abusivo di armi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza deliberata in data 8 novembre 2010 la Corte di Appello di Genova, meglio qualificato il reato in contestazione ai sensi dell’art. 699 c.p., comma 2, anzichè ai sensi dell’art. 699 c.p., comma 1, confermava la sentenza 6 giugno 2007 del Tribunale di La Spezia che aveva dichiarato G.B. responsabile del reato ascrittogli condannandolo alla pena (invariata) di mesi quattro di arresto.

Secondo la ricostruzione del fatto operata nella sentenza impugnata G.B. veniva trovato in possesso di un coltello a scatto della lunghezza complessiva di 16 cm di cui 9 di lama (acc. in La (OMISSIS)).

Avverso il citato provvedimento ha interposto tempestivo ricorso per cassazione il G., chiedendone l’annullamento per violazione di legge e vizi motivazionali.

Con un primo motivo eccepiva la carenza motivazionale in ordine al reato contestato che non si attagliava al caso concreto: era stato per vero contestato l’art. 699 c.p., comma 1, mentre, trattandosi di un coltello a scatto, non era possibile il rilascio della licenza come indicato nel capo di imputazione, non essendo consentito il porto in senso assoluto trattandosi di arma propria; ma non era contestabile neppure la fattispecie di cui al comma 2, così come aveva fatto il giudice, posto che al G. era stato ascritto il porto senza licenza di un’arma il cui divieto di porto è assoluto.

Con un secondo motivo lamentava che il giudice di appello, benchè fosse stata richiesta l’attenuante di cui alla L. n. 895 del 1967, art. 5 nulla aveva argomentato.

Alla pubblica udienza fissata per la discussione il PG concludeva per il rigetto del ricorso, la difesa per l’accoglimento.

Il ricorso è infondato e va respinto.

In tema di reati concernenti le armi bianche il coltello a scatto, detto a "molletta", va infatti classificato come arma bianca propria, con conseguente configurabilità del reato di cui all’art. 699 c.p., comma 2, in caso di porto del medesimo fuori della abitazione o delle sue appartenenze, dal momento che detto oggetto è munito di lama azionata meccanicamente, mediante congegno a molla, che gli fa assumere le caratteristiche di pugnale o stiletto e non di semplice coltello, che è quello la cui lama ripiegata nel manico è estraibile soltanto con manovra manuale e non è munito di meccanismo per il quale, una volta che la lama sia estratta, la fissi rigidamente al manico (Cass., sez. 1^, 4 ottobre 1996, n. 4938, P.M. in proc. Giuliani, rv. 207720). Il legislatore, nello stabilire per questo tipo di arma la sanzione prevista dall’art. 699 c.p., comma 2, ha evidentemente tenuto ben presente la particolare pericolosità delle armi per le quali non è ammessa licenza, mentre la L. n. 497 del 1974, art. 14, che ha triplicato le pene stabilite nel codice penale per tutte le contravvenzioni concernenti le armi non contemplate in detta legge, risponde al preciso intendimento del legislatore di inasprire le sanzioni per tutti quei reati che, secondo il suo prudente apprezzamento, rendono maggiormente pericolose per la collettività le relative condotte criminali (Cass., sez. 1^, 11 febbraio 2000, n. 5388, riec imp. Tornabene, rv.

216219). Ciò posto, deve osservarsi che l’erronea contestazione formale del reato non inficia la contestazione concreta, in fatto essendo indubitabile che, trattandosi di arma con caratteristiche peculiari (a scatto), l’arma andava inquadrata per giurisprudenza costante del Supremo Collegio tra le armi il cui porto è vietato in modo assoluto e per il quale non sono previste licenze. Bene quindi ha fatto il giudice del merito, che ha sul punto sufficientemente motivato, a inquadrare il reato nella fattispecie normativa di cui al comma secondo dell’art. 699 c.p., pur lasciando inalterata la pena, giusta il divieto della reformatio in peius.

Anche il secondo motivo di ricorso è privo di pregio e va rigettato.

Dalla valutazione complessiva della sentenza impugnata può trarsi il convincimento che il giudice del merito abbia rigettato implicitamente l’attenuante in parola, giuste le dimensioni dell’arma e della lama in particolare, come puntualmente riportato nella motivazione del provvedimento.

Al rigetto del ricorso segue ( art. 616 c.p.p.) la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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