Cass. civ. Sez. I, Sent., 01-03-2012, n. 3224 Revocatoria fallimentare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione del 24-28 luglio 2000, il curatore del fallimento della società De Natura s.r.l. adì il Tribunale di Parma chiedendo la revoca ai sensi dell’art. 67, comma 1, n. 2, legge fall. dell’atto 27.7.99, con cui la società aveva ceduto a favore di S.F. crediti verso terzi del complessivo importo di L. 162.837.992, di cui quello di maggior importo di L. 154.596.264, nei confronti della società COTEBI s.r.l. che citò il giudizio unitamente al cessionario. Costituitosi il solo S., il Tribunale con sentenza n. 404/2003, reputando la cessione atto anomalo di pagamento e ritenuta provata la scientia decoctionis, ne dispose la revoca, dichiarando nel contempo inammissibile la domanda di restituzione delle somme eventualmente riscosse dal cessionario, perchè proposta solo in comparsa conclusionale. Impugnata innanzi alla Corte d’appello di Bologna con appello principale dello S. ed incidentale del curatore fallimentare, la decisione ha trovato integrale conferma. Con sentenza n. 794 depositata il 13.7.2006 e notificata il 18.9.2006, la Corte del merito, assunto il negozio controverso nell’archetipo dell’atto anomalo revocabile a mente dell’art. 67, comma 1, n. 2, legge fall., ha ritenuto non assolto l’onere della prova dell’inscientia decoctionis addotta sulla base di circostanze negative da parte dello S. – cessionario – che, piuttosto, sulla base delle prove acquisite era risultato pienamente consapevole dello stato di dissesto della società De Natura – cedente-.

Avverso questa decisione S.F. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi resistiti dal curatore fallimentare intimato con controricorso ulteriormente illustrato con memoria difensiva depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Col primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 67, comma 1, n., legge fall. e correlato vizio di insufficiente e/o contraddittoria motivazione su fatto decisivo controverso ed ascrive alla Corte d’appello del merito d’aver erroneamente ritenuto non assolto l’onere della prova dell’inscientia decoctionis, posta a suo carico dalla disposizione normativa applicata, mediante l’allegazione di circostanze negative – mancanza di protesti e procedure esecutive -, le quali di contro rappresentano circostanze positive, assolutamente idonee a far ritenere ad una persona di ordinaria prudenza e avvedutezza che imprenditore versasse in situazione di normale esercizio dell’impresa.

Il conclusivo quesito di diritto chiede "se in caso di revocatoria fallimentare ex art. 67, comma 1, n. 2, legge fall., la prova dell’inscientia decoctionis, possa essere fornita mediante prove così dette negative, quali assenza di protesti e di procedure esecutive e mediante situazioni soggettive, quali la lontananza del creditore rispetto alla normale attività del debitore, oppure sia necessaria l’indicazione di fatti specifici, ed in tal caso indicando quali".

Il resistente deduce l’inammissibilità della censura, palesemente indirizzata al riesame del merito.

Col secondo motivo il ricorrente denuncia analogo vizio in relazione all’art. 67, comma 2, legge fall., e censura l’impugnata sentenza nella parte in cui afferma la sussistenza di seri elementi di giudizio che proverebbero la scientia decoctionis, rappresentati dalla crisi di liquidità cui fa cenno l’atto di cessione controverso, non assimilabile, data la sua transitorietà dimostrata;

dall’esistenza dello stesso credito ceduto, nè al dissesto finanziario nè alla condizione di decozione, situazioni invece irreversibili. Il conclusivo quesito di diritto chiede "se in materia di revocatoria fallimentare la prova della scientia decoctionis possa essere fornita dalla curatela attraverso prove ovvero anche con elementi di giudizio quali la crisi di liquidità".

Il resistente deduce l’inammissibilità del motivo siccome anch’esso teso a sollecitate nuovo apprezzamento sui fatti.

Il terzo mezzo denuncia violazione dell’art. 96 c.p.c. e correlato vizio di motivazione per lamentare l’omessa compensazione delle spese della fase d’appello pur in presenza di statuizione di rigetto dei rispettivi gravami. Il quesito di diritto chiede "se, in caso di rigetto degli appelli – principale ed incidentale – debba applicarsi il principia della soccombenza riferito all’esito finale ovvero debba disporsi la compensazione delle spese processuali".

Il curatore fallimentare chiede il rigetto della censura.

Il quarto ed ultimo motivo deduce infine violazione dei massimi tariffari – D.M. 5 ottobre 1994, n. 585 e D.M. 8 aprile 2004, n. 127 – in relazione a diritti ed onorari, superati senza motivazione, nella liquidazione delle spese processuali, e si conclude con quesito i diritto che chiede se" nella liquidazione delle spese processuali il giudice possa liquidarle superando immotivatamente i massimi tariffari".

Il primo motivo è inammissibile.

La Corte del merito ha ritenuto non assolto l’onere della prova dell’inscientia decoctionis avendo ritenuto che le circostanze negative dedotte dallo S., rappresentate dall’assenza di protesti e procedure esecutive a carico della società De Natura alla data della conclusione dell’atto di cessione oggetto della discussione, non concretassero fatti specifici idonei a dimostrare che il convenuto versasse in condizione che gli impediva di avere consapevolezza dello stato di dissesto della cessionaria. Tale tessuto argomentativo, adeguatamente motivato, si sottrae alla critica del ricorrente. Premesso che, a mente dell’art. 61, legge fall., è estranea all’indagine demandata al giudice del merito la verifica circa la sussistenza obiettiva dello stato d’insolvenza, che è presunto iuris et de iure in relazione ai periodi temporali cd. sospetti, rispettivamente previsti nei due commi in cui si articola la norma, l’indagine resta circoscritta alla conoscenza o meno di detto stato da parte del terzo al momento dell’atto revocando, a mente del comma 1. E stante la presunzione juris tantum della sua conoscenza, "i dubbi sull’ignoranza dell’insolvenza stessa da parte del convenuto, in esito all’esame delle prove da questi offerte, o comunque acquisite agli atti, vanno risolti in danno del convenuto medesimo" (Cass. n. 6192/2005 che richiama a sostegno sez. 1A, 18 febbraio 1980, n. 1169, m. 404653, Cass., sez. 1A, 13 giugno 1978, n. 2936, m. 392363, Cass., sez. 1A, 23 novembre 1976, n. 4426, m.

383144, Cass., sez. 1A, 13 giugno 1975, n. 2370, m. 37622).

A questo orientamento la Corte territoriale si è attenuta, rilevando oltretutto la sussistenza di dati sintomatici che provavano tanto lo stato di decozione della società cedente alla data del negozio tanto la sua consapevolezza da parte del cessionario, procedendo al vaglio critico dei fatti assunti dal convenuto ai fini del superamento effettivo della presunzione di conoscenza posta a suo carico, e quindi concludendo per la loro non esaustività. Si tratta evidentemente di un apprezzamento di merito, adeguatamente giustificato con riferimento ad una ragionevole valutazione di quei fatti, perciò incensurabile in questa sede alla luce del consolidato orientamento, che esclude il sindacato sull’esistenza del requisito in questione e sulla concludenza della prova offerta a tal fine dal terzo, in presenza di motivazione congrua ed esente da vizi logici ed errori di diritto (per tutte Cass., sez. 1A n. 11948/2003). Il ricorrente, insistendo per la sufficienza delle circostanze da lui addotte al fine di fornire la prova dell’inscientia decoctionis, ne sollecita la rivisitazione al fine di pervenire a nuovo apprezzamento circa la loro decisività, che, come premesso, è precluso in questa sede.

La censura è pertanto inammissibile.

Analoga sorte merita il secondo motivo, dal momento che indirizza critica avverso passaggio logico della decisione impugnata ininfluente nella sua economia e priva di decisività. La valutazione degli elementi comprovanti la scientia decoctionis, requisito estraneo alla fattispecie, rappresenta infatti argomento di conferma della decisione ineccepibilmente assunta sulla base dell’apprezzamento condotto sul diverso requisito soggettivo postulato dalla norma applicata. Per l’effetto, il motivo non risulta indirizzato avverso autonoma ratio decidendi, e non è perciò ammissibile.

Il terzo motivo espone censura priva di fondamento.

E’ jus receptum che "in tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse". (per tutte Cass. 406/2008). A tale enunciato la Corte del merito si è correttamente uniformata, avendo regolato il governo delle spese della fase di gravame sulla base della soccombenza valutata nel suo complesso, ponendole interamente a carico della parte appellante non vittoriosa.

L’omesso esercizio del suo potere discrezionale di valutare l’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite in presenza di soccombenza reciproca, non comportamento violazione di quel principio, non è sindacabile in questa sede di legittimità.

L’ultimo motivo è inammissibile.

Genericamente argomentata, la censura esposta non assolve all’onere, gravante sulla parte che impugna per cassazione la sentenza di merito nella parte relativa alla liquidazione dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato, dell’analitica specificazione delle voci della tariffa asseritamente violata, non ne consente pertanto il controllo in questa sede senza necessità di svolgere indagini in fatto e di procedere alla diretta consultazione degli atti, versandosi in un’ipotesi di "error in iudicando" e non "in procedendo" (Cass. n. 3651/2007).

Si deve pertanto concludere con il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al rimborso delle spese in favore del resistente liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte:

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore del resistente, liquidandole in complessivi Euro 3.000,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori come per legge.

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