Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 14-06-2011) 04-10-2011, n. 35992 Associazione per delinquere Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza 31/3/09 (dep. 15/6/09) la Corte di Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza del Gup del Tribunale di Roma 3/12/07 resa nei confronti di D.W.C., A.M., F.G., Fa.Gi., O.G., R.A., V.F., M.L., S.P., Vi.Ro., F.M., S. R., Su.Em. (imputati D.W., A., F., Fa., M., S., F., S., Su. dei reati di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 73 e 74, R. del solo reato associativo e O., V., Vi. dei reati di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1), così decideva:

per Fa.Gi., con la già ritenuta continuazione con la sentenza della Corte di Appello di Roma in data 20/3/06, riduceva la pena a quella complessiva di anni nove e mesi quattro di reclusione;

per F.M. riduceva la pena a nove anni e quattro mesi di reclusione;

per O.G. riduceva la pena, riconosciute le attenuanti generiche, ad anni due, mesi sei di reclusione ed Euro 2.600 di multa;

per R.A. riduceva la pena ad anni cinque di reclusione;

per S.R., ritenuta la continuazione con i fatti di cui alla sentenza irrevocabile del Gup del Tribunale di Velletri 31/5/06 riduceva la pena complessiva ad anni otto e mesi otto di reclusione;

per V.F. riduceva la pena ad anni uno, mesi otto di reclusione ed Euro 12.000 di multa;

per Vi.Ro. riduceva la pena ad anni sei di reclusione ed Euro 18.000 di multa;

per gli altri imputati il giudice di appello confermava le pene riportate nella sentenza di primo grado e precisamente:

A.M. anni cinque e mesi quattro di reclusione, D.W. C. anni tredici di reclusione, F.G. anni dieci di reclusione, M.L. anni cinque di reclusione, S.P. anni cinque e mesi quattro di reclusione, S. E. anni sei e mesi sei di reclusione.

Secondo la ricostruzione del fatto operata nella sentenza impugnata, dalle indagini svolte e in particolare dalle intercettazioni telefoniche effettuate nell’ambito di due diverse operazioni, si addiveniva alla scoperta, secondo la prospettazione dell’accusa, di due associazioni a delinquere dedite al traffico di sostanze stupefacenti, di cui una operante nel R. e facente capo a D. W., Fa. e tali B. e C. (cui partecipavano a vario titolo, tra gli odierni ricorrenti, anche F., S., Su. e R.) ed una seconda operante nel Viterbese e facente capo al promotore F., con la collaborazione, tra i ricorrenti, di M., S. ed A.. Le due consorterie erano tra loro collegate, rifornendosi quella viterbese a Roma (con il F., ma anche, tra gli altri, con il S. e l’ A.) per il tramite del F., coadiuvato in ciò dal B. e dal .Fabri .L.r.p.c.e.o.s.

a.d.f.d.a.d.d.a.d.

i.s.d.S.d.c.i.p.p.i.2.c. d.c.(.i.d. V. e del C., che si erano appositamente recati in Spagna), di cui alla contestazione sub 75 e trovati in possesso del Fa.. Sia l’una che l’altra associazione smerciava poi la cocaina a terzi (così come avveniva, nell’ambito della organizzazione romana, tra gli altri, da parte del Su. per il chilo di cocaina ceduto a T.R. (76) ovvero per la droga, detenuta dal T., acquistata per il V. (82) ovvero come avveniva, nell’ambito dell’organizzazione viterbese, da parte del M. e del S.).

La formulazione del giudizio di responsabilità basava sul dato probatorio consistito dalle disposte intercettazioni telefoniche ed ambientali, ma anche sulle operazioni di o.c.p. e sulle dichiarazioni degli imputati S.P., D.V.D. e F. G..

Avverso la decisione, tramite i rispettivi difensori, hanno proposto tempestivo ricorso per cassazione gli imputati tutti, chiedendone l’annullamento a vario titolo. Più specificatamente sono state avanzate le seguenti censure:

D.W.C. (ricorso a firma dell’avv. Marco Cavaliere). Con il primo motivo di ricorso veniva impugnata l’ordinanza emessa dalla Corte di Appello il 3/2/09 con cui venivano rigettate e la richiesta di rinvio dell’udienza per motivi di salute del D.W. e quella di accertamento dell’incapacità del medesimo imputato di stare in giudizio. La prima richiesta, in particolare, sarebbe stata idonea ad ottenere un rinvio in quanto avanzata espressamente dal D.W. per una udienza specifica e prima dell’udienza da rinviare. Inoltre, contrariamente a quanto assunto dal giudice, il difensore, sostituto processuale dell’avvocato di fiducia, era legittimato a stare in giudizio e ad autenticare la firma dell’imputato. Erronea era altresì quella parte dell’ordinanza che, preso atto del deposito di una consulenza tecnica di parte attestante la detta incapacità, aveva rigettato la richiesta istruttoria, posto che il giudice, nonostante avesse ritenuto necessari ulteriori esami sul punto, non vi aveva proceduto.

Con il secondo motivo venivano impugnate le due ordinanze emesse all’udienza del 31/3/09, rilevandosi che il giudice, qualora avesse avuto dubbi sul certificato medico depositato perchè ritenuto non veritiero, non corretto o non chiaro, avrebbe dovuto disporre accertamenti medico-legali; censurabile era altresì l’ordinanza che aveva rigettato la richiesta di rinvio per l’astensione indetta dall’Unione Camere Penali che aveva portato alla celebrazione del processo non solo senza il difensore di fiducia, ma anche senza quello di ufficio. Doveva per contro ritenersi applicabile nella fattispecie l’art. 420 ter c.p.p., comma 5, in ossequio al principio del "giusto processo", ancorchè si trattasse di un procedimento camerale ai sensi dell’art. 599 c.p.p.. Inoltre, nella specie, l’espressa volontà del D.W. di aderire all’astensione del suo avvocato difensore, in considerazione del fatto che la prescrizione non fosse imminente nè che vi fosse una possibile caducazione dei termini di custodia cautelare, avrebbero imposto un rinvio del procedimento.

Con il terzo motivo di ricorso veniva eccepita la nullità del decreto di intercettazione delle conversazioni telefoniche 11/1/05 e quello di proroga 28/1/05: i decreti erano immotivati, essendosi fatto uso di modelli prestampati cui erano state semplicemente aggiunte le utenze telefoniche; la motivazione per relationem in tanto è possibile e legittima in quanto la richiesta del Pm motivi in ordine all’esistenza delle condizioni legittimanti l’adozione del provvedimento. Parimenti meritevoli di censura erano altresì i decreti di convalida del 25/1/05 del decreto di intercettazione disposto in via d’urgenza dal Pm, carente di motivazione, e il relativo decreto di proroga 4/2/05 e il decreto di convalida 4/2/05.

Con il quarto motivo veniva censurata la motivazione della sentenza in relazione al reato associativo: vi era carenza motivazionale in relazione a facta concludentia che provassero sia l’esistenza dell’associazione che l’adesione ad essa del soggetto (mancava infatti del tutto la motivazione, in via specifica, per quanto concerneva la posizione del D.W., operando la decisione per relationem un rinvio alla decisione di primo grado).

A.M. (ricorso a firma dell’avv. Cesare Cordoni). Con il primo motivo di impugnazione veniva rilevata l’errata applicazione dei canoni valutativi della prova in relazione al reato associativo ascritto al prevenuto nonostante egli avesse avuto rapporti col solo F.; il giudice si era appiattito sulle richieste dell’ordinanza cautelare con una motivazione per relationem che era solo apparente; peraltro doveva rilevarsi come la costituzione del sodalizio viterbese fosse ritenuta risalire all’aprile 2004, mentre la Corte territoriale evidenzava una partecipazione a decorrere dal dicembre 2004. Anche dalle dichiarazioni rese dal S., dal D. V. e dal F. non erano emersi elementi a carico dell’ A., non avendo peraltro tenuto conto il giudice che l’arresto di F., nel luglio 2004, era stato interruttivo del reato associativo ancorchè egli fosse stato poi rimesso in libertà.

Con il secondo motivo di ricorso venivano sollevate censure inerenti al trattamento sanzionatorie da ritenersi sperequato nei confronti degli altri sodali.

F.G. (ricorso a firma dell’avv. Sergio Racioppa).

Con unico, articolato motivo di ricorso veniva rilevata l’erroneità valutativa circa la sussistenza del reato associativo, non essendovi nessuna prova che fosse esistita una organizzazione viterbese; vi era semmai la prova che ciascun imputato acquistava per sè pagando i propri fornitori, perseguendo anche propri interessi economici.

Mancava anche la prova del profilo soggettivo del reato ed in particolare la consapevolezza di far parte di un sodalizio criminale.

Non era stato considerato, infine, come il concreto contributo collaborativo del F. gli meritasse l’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 7.

Fa.Gi. (ricorso a firma dell’avv. Marco Cavaliere).

Con l’unico motivo di impugnazione sollevava vizi motivazionali attinenti al reato associativo: la Corte nulla aveva motivato in ordine alla sussistenza dei profili oggettivo e soggettivo del reato.

In particolare veniva osservato come il Fa. avesse utilizzato vetture a lui riconducibili in via esclusiva e non certo all’organizzazione. Inoltre la Corte di merito non aveva indicato quali elementi, in un gruppo composto per lo più da soggetti tra loro imparentati, dovessero costituire quel quid pluris che caratterizza l’affectio societatis.

O.G. (ricorso presentato personalmente).

Con l’unico motivo venivano sollevati vizi motivazionali in relazione al solo capo 23 ed al fatto che il giudice di secondo grado non aveva ritenuto la fattispecie del reato impossibile, posto che la droga che l’ O. aveva ceduto a S. e D.V., in data 25 maggio 2004, era risultata di pessima qualità tanto da essere stata restituita.

R.A. (ricorso a firma dell’avv. Marco Cavaliere).

Con l’unico motivo di ricorso venivano sollevati vizi motivazionali inerenti al reato associativo: la Corte distrettuale non aveva analizzato la sussistenza degli elementi oggettivo e soggettivo della associazione. Peraltro veniva rilevato che non tutti gli appartenenti alla associazione figuravano nell’arco temporale di osservazione (dalla primavera 2004 al marzo 2005), mentre l’importazione dei venti chili dalla Spagna era stata contestata solo a tre sodali in carenza di una riconducibilità dell’acquisto ad un comune programma criminoso. Anzi, dall’esame degli esiti delle indagini vi era da ritenere come vi fosse stata una netta preponderanza degli interessi esclusivi di alcuni soggetti rispetto a quelli dell’associazione, che non sembravano sussistere affatto. Mancava inoltre la prova dell’appartenenza del R. al sodalizio in questione, non essendo sufficiente una mera ripetizione di operazioni di compravendita di droga ovvero l’oggetto dei sequestri, da ritenersi peraltro di modesta entità se si esclude il quantitativo importato dalla Spagna. Nessun ruolo concreto era stato delineato per il ricorrente, anche perchè non gli era stato contestato alcun reato fine. Il giudice non aveva argomentato circa la sussistenza nella fattispecie di un quid pluris rispetto al concorso di persone, legate peraltro da vincoli di parentela.

V.F. (ricorso a firma dell’avv. Giorgio Manca).

Col primo motivo di impugnazione venivano eccepiti vizi motivazionali in relazione al fatto che il giudice non avesse voluto prendere in considerazione la circostanza che l’acquisto era stato effettuato per soli motivi di consumo personale, non essendovi motivi per i quali si dovesse pensare a detenzione per cessione a terzi.

Veniva eccepito vizio di motivazione (secondo motivo) anche in ordine al trattamento sanzionatone, da ritenersi sperequato in relazione, se non altro, alla pena irrogata ai venditori.

Col terzo motivo di impugnazione veniva rilevata invece la carenza motivazionale in relazione alla mancata applicazione del beneficio di cui all’art. 163 c.p..

M.L. (ricorso a firma dell’avv. Roberto Massatani).

Col primo motivo di ricorso veniva rilevata violazione di legge in relazione al reato associativo il secondo giudice avendo non solo pedissequamente ripetuto in sentenza quanto già riportato dal primo, ma omettendo di indicare gli elementi in base ai quali il ricorrente risultava aver consapevolezza di far parte della organizzazione e di quale fosse il ruolo degli altri sodali, con cui non aveva alcun rapporto; peraltro in un primo tempo era stato rilevato a carico del M. il solo reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1, ed era stata la Procura distrettuale che, sulla base degli stessi elementi, aveva di poi contestato il delitto associativo. Le intercettazioni telefoniche rilevavano unicamente che il ricorrente segnalava al F. possibili acquirenti o lo contattava per acquisti personali o di parenti. Come risultava anche dalle dichiarazioni di F. e S., il M. non ne ricavava alcunchè per se stesso se non dilazioni di pagamento o il consumo gratis di cocaina insieme al F..

Con il secondo motivo di ricorso veniva censurata la mancata applicazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, e l’assenza di motivazione sul punto.

S.P. (ricorso a firma dell’avv. Lucio Angius).

Con il primo motivo veniva censurata la motivazione di diniego della attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 7; il giudice non ha tenuto conto che il ricorrente aveva permesso l’individuazione dei luoghi ed il sequestro di ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti.

Con il secondo motivo di ricorso veniva censurata la motivazione in relazione al reato associativo: mancava la prova dell’esistenza di un accordo organizzativo e di una stabile organizzazione, essendo risultato che il S. applicava prezzi autonomi e non quelli dettati dalla presunta associazione.

Con il terzo motivo di impugnazione veniva ribadita l’incompetenza del giudice di Roma, essendo competente per contro quello di Viterbo.

Vi.Ro. (ricorso a firma dell’avv. Massimo Biffini).

Con un primo motivo di ricorso veniva eccepita la nullità della sentenza, posto che il decreto di citazione in giudizio per il grado di appello era stato notificato solo ad uno dei due difensori. Ne era derivata la nullità dell’intero procedimento ai sensi dell’art. 178 c.p.p..

Con un secondo motivo di impugnazione veniva rilevata l’omessa valutazione della posizione dell’imputato, posto che il giudice aveva fatto rinvio alla posizione del D.W., e dunque per relationem, senza tener conto del differente ruolo.

F.M. (ricorso a firma dell’avv. Pietro Odoardo Vincentini). Con il primo motivo di impugnazione venivano rilevati vizi motivazionali e di legge in relazione al reato associativo, in particolare con riferimento al profilo soggettivo, posto che il giudice di secondo grado aveva derivato la consapevolezza dell’appartenenza alla associazione dalla circostanza che l’imputato fosse a conoscenza anche della importazione dei venti chili di cocaina dalla Spagna e dunque da un singolo episodio peraltro mai addebitato al F.; anche nella esposizione dei singoli episodi di cessione nulla diceva il giudice della pretesa partecipazione al sodalizio criminale. Anche dalle intercettazioni telefoniche emergeva che il F. avesse un rapporto meramente bilaterale con il B., senza che il ricorrente avesse consapevolezza dei rapporti intrattenuti dallo stesso B. con altri sodali.

Con il secondo motivo di impugnazione veniva contestata la motivazione espressa in sentenza circa il mancato riconoscimento dell’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, e in particolare sulla pretesa inconciliabilità con il reato associativo. Venivano infine censurati (terzo motivo) i criteri adottati dal giudice, in carenza peraltro di motivazione, per la determinazione della pena, essendo stato riservato al F. un trattamento sanzionatone) più rigoroso che per gli altri coimputati ritenuti in sentenza promotori del sodalizio e condannati per l’episodio di importazione dei venti chili di cocaina.

S.R. (primo ricorso a firma dell’avv. Cesare Piraino). Con il primo motivo viene censurata la motivazione in punto di trattazione del reato associativo, atteso che la sentenza non avrebbe affrontato le specifiche tematiche delineate nell’atto di appello, non dando conto dell’autonomia e della conflittualità tra i presunti sodali; inoltre il giudice aveva tratto la convinzione della sussistenza dell’associazione esclusivamente dal numero delle operazioni delittuose. Con il secondo motivo veniva contestata la motivazione espressa in sentenza in relazione alla ritenuta appartenenza dell’imputato all’associazione; in particolare nel gravame era stato segnalato che, dopo l’arresto del Fa., nessun contatto avesse interessato il S. perchè ne venisse informato, prova questa dell’estraneità del soggetto al rapporto associativo; inoltre nessuno dei cosiddetti collaboranti aveva parlato di lui come sodale, essendo poi emerso che l’imputato aveva dimostrato di conoscere solo il D.W.; non solo, ma i 320 gr di cocaina di cui al sequestro operato a carico del S. neppure provenivano dal D.W., cui infatti non erano stati addebitati dall’accusa.

Con il terzo motivo veniva censurata la forzatura del capo di imputazione ascritta al S. di cui al capo 84: posto che le risultanze di indagine portavano a ritenere che nell’incontro del l/02/05 con il R. era verosimile che non fosse avvenuta la cessione della cocaina sequestrata (14 dosi di cocaina confezionate all’interno di un tubetto di Vivin C), il primo giudice aveva ritenuto che la cessione fosse avvenuta nei giorni precedenti e che l’incontro tra i due preludeva al pagamento delle transazioni pregresse, mentre la Corte di Appello aveva deciso che l’imputato doveva comunque rispondere del reato in questione, in quanto la sostanza era destinata a terzi; ciò tuttavia era contrario o diverso da quanto contestato, ove si accusa il S. di aver ceduto otto grammi di cocaina al R.. Da ultimo il ricorrente si doleva della totale assenza di motivazione in relazione alla contestata continuazione interna. Con il quarto motivo veniva censurato l’aumento per la continuazione con i fatti di cui alla sentenza 31/5/06 del Gup del Tribunale di Velletri, avendo il giudice indicato per il reato satellite una pena pari a quella irrogabile come pena autonoma per quel reato.

S.R. (secondo ricorso a firma dell’avv. Marco Fagiolo).

Con il primo motivo di impugnazione veniva censurata la motivazione in relazione al capo 84 dell’imputazione con le argomentazioni in precedenza espresse sul punto nel ricorso a firma dell’avv. Piraino.

Con il secondo motivo di impugnazione veniva censurata la sentenza in ordine alla affermazione della penale responsabilità in ordine al reato di partecipazione alla associazione per delinquere.

Con il terzo motivo di impugnazione veniva censurata la carenza motivazionale in relazione alla continuazione con i fatti di cui alla sentenza del Gup del Tribunale di Velletri del 31/5/06.

S.E. (ricorso a firma dell’avv. Giovanni Aricò).

Col primo motivo di impugnazione venivano censurati vizi di legge e motivazionali in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1, (capo 76, relativo alla cessione di 1 kg di cocaina, in concorso con Su.Ti., Fa. e B., a R. e T.): la condotta del ricorrente andava inquadrata nella fattispecie di cui all’art. 379 c.p., essendo la condotta dell’imputato orientata ad assicurare ad altri il prezzo del reato e non a concorrere nella consumazione dello stesso; il giudice non aveva tenuto conto dell’inesistenza della prova di contatti precedenti tra il Su. e i due acquirenti.

Col secondo motivo di impugnazione venivano rilevati vizi motivazionali e di legge concernenti la sussistenza della struttura associativa e la partecipazione del Su. al programma comune criminoso, anche perchè era stato contestato allo stesso un unico episodio, mancando perfino la prova che lo spaccio di sostanze stupefacenti fosse l’attuazione del comune programma e non piuttosto un’attività esercitata nello specifico interesse dell’imputato. Del tutto mancante era poi la motivazione circa il momento psicologico del fatto di reato.

Alla pubblica udienza fissata per la discussione, dove veniva separata la posizione di Vi.Ro., il PG concludeva per il rigetto dei restanti ricorsi. I difensori presenti concludevano per il loro accoglimento.

La Corte osserva quanto segue.

Il ricorso avanzato da D.W.C. è destituito di fondamento e va rigettato.

Infondato il primo motivo di ricorso (eccezione di nullità in relazione alla richiesta di rinvio per motivi di salute). Occorre rilevare che, se è vero che l’istanza di rinvio per motivi di salute era stata presentata per l’udienza che si voleva rinviare, è anche certo che la medesima si profilava intempestiva, così come evidenziato dal giudice, attesa la sua presentazione il giorno stesso dell’udienza per ragioni, quelle di salute, che non potevano non essere note al prevenuto in epoca anteriore (soprattutto al momento, appunto, in cui il D.W. aveva dichiarato all’incaricato della traduzione che non intendeva presenziare all’udienza senza fare riferimento allo stato di salute). Inoltre è chiara la motivazione espressa in sentenza in relazione al fatto che i motivi addotti dal prevenuto non costituivano comunque legittimo impedimento (e sul punto nulla viene ribadito in ricorso) e pertanto la richiesta era stata respinta, motivatamente, anche nel merito. E’ poi appena il caso di osservare che la richiesta in questione aveva con evidenza una validità limitata alla sola udienza per la quale era stata presentata, sicchè, se il ricorrente voleva il rinvio anche per quelle successive avrebbe dovuto rinnovare la domanda, cosa che per contro non è stata fatta, a prescindere dalla esplicitazione della volontà di voler presenziare a tutte le udienze del procedimento.

Quanto al rilievo secondo cui il sostituto processuale è legittimato all’autenticazione della firma dell’imputato, se è vero che in tema di poteri del sostituto del difensore di fiducia la legge processuale non accorda rilevanza a eventuali limitazioni apposte dal difensore stesso, sicchè il sostituto può esercitare tutti i diritti, assumendo altresì tutti i doveri, del difensore "principale" (Cass., 3^, 5 gennaio 2008, n. 7458, Barranca, rv. 239010; sez. 2^, 28 settembre 2005, n. 40230, Rizzo ed altro, rv. 232663), e dunque se è vero che il sostituto processuale del difensore di fiducia ha poteri autenticatoli, va osservato che in ogni caso la correttezza della decisione del giudice, in relazione al rigetto della richiesta di rinvio, doveva ritenersi assorbente di qualsivoglia altra considerazione anche erronea del giudice: la richiesta di rinvio era intempestiva ed infondata. Da respingersi è altresì la censura che attiene al diniego di ulteriori accertamenti ex art. 70 c.p.p..

Deve rilevarsi che la Corte distrettuale ha evidenziato la carenza di elementi evidenti da cui dedurre una immediata incapacità del soggetto di partecipare consapevolmente al processo. Gli accertamenti eventualmente da svolgere si imponevano nel caso opposto. Sulla questione va richiamata la giurisprudenza di questa Corte di legittimità secondo cui, in tema di capacità dell’imputato a stare in giudizio, il giudice, alla luce di un’interpretazione costituzionalmente orientata della espressione "se occorre" contenuta nella previsione dell’art. 70 c.p.p., comma 1, può non procedere ad approfondimento specialistico se si convinca autonomamente dello stato di incapacità (o, al contrario, della sua capacità), mentre a fronte di un "fumus" di incapacità non può negare l’indagine peritale senza rendere idonea e convincente motivazione (Cass., 5^, 8 aprile 2008, n. 29906, Notaio, rv. 240443), così come nella fattispecie puntualmente avvenuto.

Anche il secondo motivo di gravame (eccezioni attinenti alle ordinanze dibattimentali del 31/3/09) è infondato e va respinto. Va osservato che il rigetto da parte del giudice della richiesta di rinvio per legittimo impedimento non era motivata dal fatto che il certificato fosse non veritiero, non corretto o non chiaro, bensì, semplicemente, dalla circostanza che la causa addotta non era tale da costituire una ragione di rinvio. In altre parole, il giudice, per decidere, non aveva dubbi da sciogliere, trovandosi nelle condizioni di poterlo fare senza ulteriori accertamenti. Da respingersi è altresì la doglianza che attiene all’applicabilità dell’art. 420 ter c.p.p., comma 5. Invero va qui richiamato il principio di diritto già espresso da questa Corte di legittimità secondo cui l’istituto dell’impedimento a comparire del difensore, previsto dall’art. 420 ter c.p.p. in relazione all’udienza preliminare, è applicabile nel giudizio abbreviato di primo grado, giusta il disposto dell’art. 441 c.p.p., ma non anche nel giudizio camerale di appello (v. Cass., 6^, 23/09/2004, Di Gregorio, n. 40542, rv. 230260: fattispecie in tema di astensione collettiva degli avvocati dall’attività giudiziaria, che, per le ragioni di cui sopra, non si è riconosciuto costituire legittimo impedimento del difensore ai fini del rinvio del procedimento svoltosi secondo il rito camerale ai sensi dell’art. 599 c.p.p.). Queste argomentazioni sono assorbenti delle altre censure mosse dalla difesa (espressa volontà del D.W. di aderire all’astensione del suo avvocato difensore, prescrizione o caducazione dei termini di custodia cautelare non imminenti), perchè anche in questo caso, ancorchè menzionate dal giudice nel suo provvedimento, non sono rilevanti.

Parimenti destituito di fondamento è il terzo motivo di impugnazione (illegittimità dei decreti specificatamente indicati di convalida e di proroga). In tema di intercettazioni, va qui ribadita la giurisprudenza di questo Supremo Collegio secondo cui l’onere di motivazione dei decreti, sia di convalida di quelli emessi in via di urgenza dal Pm, sia di proroga, è assolto anche "per relationem", mediante il richiamo al provvedimento del pubblico ministero e alle note di polizia con implicito giudizio di adesione ad essi, essendo preclusa al giudice l’integrazione di una motivazione mancante (intesa anche come motivazione solo apparente perchè meramente riproduttiva del dato normativo) ma non quella di una motivazione incompleta, insufficiente o inadeguata, emendabile dal giudice al quale la doglianza venga prospettata, sia esso quello di merito, che deve utilizzare gli esiti delle intercettazioni, o quello dell’impugnazione, nella fase di merito o in quella di legittimità (Cass., sez. 1^, 10 febbraio 2010, n. 9764, Femia, rv. 246518). Nel caso la motivazione è pertanto presente, non rilevando in alcun modo che il provvedimento sia stato stilato su un modulo a stampa allorquando le ragioni autorizzatone, anche in prosecuzione, siano ricavabili mediante la consultazione di atti esterni cui il giudice, dopo averli letti e vagliati, faccia rinvio. Il quarto motivo di ricorso (doglianze attinente al reato associativo) è pure infondato.

Le doglianze difensive avanzate costituiscono nella sostanza eccezioni in punto di fatto, poichè non inerenti ad errori di diritto o vizi logici della decisione impugnata ovvero a travisamento della prova, ma alle valutazioni operate dai giudici di merito. Si chiede, in realtà, al giudice di legittimità una rilettura degli atti probatori, per pervenire ad una diversa interpretazione degli stessi, più favorevole alla tesi difensiva del ricorrente. Trattasi di censura non consentita in sede di legittimità perchè in violazione della disciplina di cui all’art. 606 c.p.p. (giurisprudenza consolidata: Cass., Sez. Un., 2 luglio 1997, n. 6402, rv. 207944; Sez. Un., 29 gennaio 1996, n. 930, rv. 203428; Sez. 1^, 6 maggio 1998, n. 5285, rv. 210543; Sez. 5^, 31 gennaio 2000, n. 1004, rv. 215745; Cass., Sez. 5^, ordinanza 14 aprile 2006, n. 13648, rv.

233381). Il provvedimento gravato si impone peraltro con una motivazione congrua e compiuta, avendo dato conto di tutte le emergenze probatorie, segnatamente dalle conversazioni telefoniche ed ambientali relative al periodo in contestazione, dalle quali era emersa l’esistenza di un gruppo attivo nel campo del traffico delle sostanze stupefacenti che, sfruttando l’organizzazione preesistente, unitariamente, di acquisti e di vendite, con suddivisione al proprio interno di ruoli e compiti, si avvaleva altresì dei medesimi luoghi per l’occultamento della droga. La Corte territoriale analizza a tal fine le captazioni in questione mettendo in evidenza come l’attività svolta dal prevenuto era ben più pregnante di quella del semplice acquirente consumatore (secondo la versione difensiva fornita in ricorso) essendo protesa anche alla pianificazione dello spaccio. Del resto, in punto di valutazione dell’esistenza del vincolo associativo in materia di traffico di stupefacenti, è appena il caso di richiamare la costante giurisprudenza di questa Corte secondo cui, ai fini della configurabilità dell’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, non è richiesto un patto espresso fra gli associati, ben potendo desumersi la prova del vincolo dalle modalità esecutive dei reati fine e dalla loro ripetizione, dai rapporti tra gli autori, dalla ripartizione dei ruoli fra i vari soggetti in vista del raggiungimento di un comune obiettivo e dall’esistenza di una struttura organizzativa, sia pure non particolarmente complessa e sofisticata, indicativa della continuità temporale del vincolo criminale (ex pluribus v. Cass., sez. 6^, 17 giugno 2009, n. 40505, Il Grande e altro, rv. 245282). Ciò posto, il giudice della cognizione ha valorizzato proprio gli indici rivelatori cui fa riferimento la citata giurisprudenza e, in particolare, i continui rapporti tra gli altri sodali dell’associazione così come emergenti, secondo le argomentate determinazioni del giudice del merito, dalle conversazioni telefoniche che evidenziano il ruolo di vertice del D.W., del B., del C. e del Fa. ed il fatto che fossero da loro gestiti quantitativi cospicui di droga. A tale ultimo riguardo il giudice di seconde cure fa riferimento non solo all’ingente ordinativo proveniente dall’estero ma anche a quello ceduto da Su.Em. a T. e R. (un chilo), a quello ceduto dal Fa. a C. e V. (un chilo) ed a quelli più che apprezzabili (anche 250 grammi per volta) ceduti in via continuativa dall’associazione romana tramite il F. alla consorteria viterbese. La capacità di reperire in modo permanente notevoli quantitativi di droga, la diffusione di essa attraverso propri canali privilegiati, il numero delle persone coinvolte in collegamento stabile fra loro, la gestione attenta della contabilità e della distribuzione dello stupefacente, la fissazione di diversi e specifici ruoli tra i soggetti coinvolti, l’utilizzo di posti comuni e condivisi di occultamento, costituiscono quei facta concludentia dianzi richiamati e specificatamente indicati in motivazione, con argomentazioni immuni da vizi logici e giuridici.

Argomentata altresì la motivazione della decisione impugnata in relazione al profilo soggettivo del reato associativo, giusta la consapevolezza da parte di ciascun imputato, così come traspare dalle svolte intercettazioni, di operare nell’ambito di una organizzazione di appartenenza. Il fatto poi, evidenziato dal giudice di seconde cure, che il nucleo centrale della associazione romana fosse rappresentata da soggetti tra loro imparentati, nella logica espressa nella decisione non è di per sè sostitutiva dell’affectio societatis, bensì rafforzativa di essa, per quella sorta di fiducia ulteriore proveniente dal vincolo parentale per un sodalizio criminale di quella natura. Sul punto va ricordata la giurisprudenza del Supremo Collegio secondo cui, in tema di associazione a delinquere al fine di spaccio di stupefacenti, verificata la sussistenza dei requisiti richiesti per la configurabilità del reato associativo desumibili dalla continuità e sistematicità dello spaccio e dalla predisposizione di una struttura operativa stabile, la costituzione del sodalizio criminoso non è esclusa per il fatto che lo stesso sia imperniato per lo più intorno a componenti della stessa famiglia perchè, al contrario, i rapporti parentali o coniugali, sommandosi al vincolo associativo, lo rendono ancora più pericoloso (Cass., sez. 6^, 9 gennaio 1995, n. 2772, Lacedra ed altri, rv. 201353). Quanto in particolare alla posizione del D. W., la sentenza non si limita ad operare un rinvio alla prima decisione, argomentando infatti il diretto coinvolgimento decisionale e gestionale dell’imputato per la funzionalità della consorteria anche e soprattutto in relazione all’approvvigionamento della droga dalla Spagna in quantitativi ingenti ovvero al rinvenimento di fonti alternative in attesa della sostanza stupefacente da importarsi e all’interessamento fattivo circa le necessarie risorse finanziarie.

Il ricorso avanzato da A.M. è destituito di fondamento e va rigettato. Il primo motivo di ricorso (motivazione apparente in relazione al reato associativo) non è fondato e deve essere respinto. In relazione al reato associativo in genere, si richiama qui quanto esposto nel precedente paragrafo a proposito della posizione del D.W..

Con riferimento all’associazione "viterbese", il giudice del merito, facendo riferimento alle risultanze di indagine e al contenuto delle intercettazioni telefoniche, ha tracciato un organigramma molto preciso chiarendo come l’ambito operativo, sotto la direzione del F., fosse appunto quello della zona viterbese, potendo contare su privilegiate fonti di approvvigionamento di cocaina proveniente dall’area romana tramite il contatto F., Fa. e B. (con reiterati viaggi effettuati dal F. e dall’ A., ma anche dal S. e da altri, con acquisti costanti e frequenti), ma anche su canali suppletivi, quali quelli rappresentati dall’ O. e dal P.. La cessione della droga ai clienti avveniva in via diretta o per il tramite di terzi, giusto l’apporto in questo senso del M. (avvalendosi della frequentazione degli avventori al suo bar) e del S.. Per ciò che concerne inoltre, in via specifica, il ricorrente, il giudice di secondo grado delinea, sulla base delle risultanze intercettive, un suo ruolo collaborativo pregnante, sostanziatosi nei numerosi viaggi a Roma per l’approvvigionamento di droga accompagnando il F., soggetto, quest’ultimo, in posizione apicale della consorteria viterbese. Poco deve rilevare che sia emerso dalle indagini svolte un mero rapporto privilegiato con il F., posto che non è necessario che ogni singolo socius abbia rapporti con tutti gli altri sodali, essendo sufficiente che il compartecipe abbia la consapevolezza di operare illecitamente nell’ambito di una organizzazione criminale. E il ruolo dell’ A. si innesta nella organizzazione per l’aiuto concreto da lui dato, nell’attività di approvvigionamento, al suo esponente di maggior rilievo, nella piena consapevolezza del ruolo di questo rispetto all’organizzazione medesima. Ancor meno rilevante è la circostanza che l’ A. sia stato ritenuto presente nel sodalizio "solo" otto mesi dopo il ritenuto inizio dell’attività dell’organizzazione, posto che il giudice del merito evidenzia per lui, diversamente che per il F., un ruolo di mero partecipe e non di promotore, sicchè il dato temporale del suo inserimento nella organizzazione non è dirimente e comunque di scarso rilievo ai fini scriminanti. Privo di pregio è poi l’assunto secondo cui l’arresto del F. abbia costituito un evento interruttivo della vita associativa cui l’ A. era venuto a far parte, posto che deve osservarsi non solo esser questa, all’evidenza, una mera valutazione fattuale inammissibile in sede di legittimità, ma anche che la Corte distrettuale ha esaustivamente argomentato in ordine alla circostanza per cui, una volta liberato, il F. abbia ripreso la medesima attività di prima. Inoltre sulla questione va citata una precedente decisione di questa Corte di legittimità secondo cui è piuttosto la sentenza di condanna, pur non irrevocabile, ad eventualmente interrompe la permanenza del reato associativo e, pertanto, il medesimo può essere ulteriormente contestato, sempre che sussistano elementi indizianti il "pactum sceleris", con riferimento al vincolo tra il singolo associato ed il sodalizio criminale, e "l’afFectio societatis", in relazione alla consapevolezza del soggetto di inserirsi in un’associazione criminosa e di innestare la propria condotta nell’assetto organizzativo ed operativo di essa (Cass., Sez. 5^, 30 giugno 199, n. 2543, Tornese, rv. 196263).

Anche il secondo motivo di gravame (sperequazione del trattamento sanzionatorio) è privo di pregio e va rigettato. Sulla questione il giudice ha ampiamente chiarito che la posizione dell’ A. non è in alcun modo paragonabile a quella di altri sodali che hanno apportato un qualche significativo contributo collaborativo all’accertamento della verità.

Il ricorso avanzato da F.G. è destituito di fondamento e va rigettato. Il primo motivo di ricorso (censure attinenti alla valutazione circa la sussistenza del reato associativo) non è fondato e deve essere respinto. Sulle doglianze che attengono alla valutazione espressa in sentenza circa la sussistenza del reato associativo qui si richiama quanto esposto nel primo paragrafo (posizione D.W.) per le valutazioni generali in tema di delitto D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 74 e al paragrafo precedente (posizione A.) per quanto concerne precipuamente il reato associativo viterbese. Qui si vuole solo aggiungere che le argomentazioni espresse dalla Corte distrettuale sono chiare nell’escludere un’attività di acquisto e di spaccio autonomo e indipendente dei singoli soci, attesa la coralità di intenti e la rete di accordi e intese sottostanti che presuppongo una condivisione di interessi che trascendeva le singole iniziative. In relazione invece alla doglianza secondo cui i singoli prevenuti acquistavano ciascuno dal proprio fornitore perseguendo interessi propri e non del sodalizio, va richiamata quella giurisprudenza della S.C. secondo cui la costituzione e la partecipazione alla medesima associazione non è incompatibile con l’accertamento di una pluralità di cessioni di droga tra gli stessi partecipi all’associazione, nè con eventuali conflitti di interesse tra i soci in ordine ai singoli atti di cessione interna (Cass., Sez. 6^, 9 gennaio 1995, n. 2772, Lacedra ed altri, rv. 201353). Quel che preme qui rilevare è il fatto che il giudice distrettuale abbia evidenziato, proprio ai fini di tracciare la sussistenza del reato associativo, non solo i rapporti stretti, ai fini operativi, tra in singoli prevenuti, tanto da coordinarsi in tal senso, ma anche la determinante circostanza che le fonti di approvvigionamento erano loro comuni.

Il ricorso avanzato da Fa.Gi. è destituito di fondamento e va rigettato.

Per quanto concerne le argomentazioni già trattate in punto di associazione a delinquere in generale e di quella romana in particolare, si richiama ciò che è stato esposto al paragrafo relativo alla posizione D.W.. In relazione al coinvolgimento personale del ricorrente in quell’associazione criminale il giudice del merito, con il richiamare analiticamente le intercettazioni telefoniche e le risultanze di indagine e di polizia giudiziaria, evidenzia l’impiego del soggetto da parte dell’organizzazione (specialmente del D.W. e del B., in relazione ai quali è in rapporto di subaltemità) per incarichi delicati, quali, in primis, la consegna di grossi quantitativi di cocaina ai subfornitori. C’è infatti il suo apporto contributivo nelle consegne di cocaina al S., a Su.Em. (per l’inoltro a T. e R. e al T.), al F. per la droga diretta nel Viterbese (sul punto la Corte distrettuale richiama le propalazioni confessorie del S., che fa risalire le consegne di droga al novembre 2003) e al L.. E’ sempre il Fa. che viene trovato in possesso dei 20 chili di droga importata dalla Spagna ed è il prefato che fa da intermediario tra il B. ed altri pusher tra cui Su.Em. da cui si faceva consegnare il danaro da riversare all’associazione. E’ poi del tutto privo di pregio il rilievo secondo cui la prova dell’inesistenza della struttura associativa deriverebbe dal fatto che il Fa. utilizzava mezzi propri e non dell’associazione: non è chi non veda come l’organizzazione criminale non è una società autonoma, regolarmente costituita, cui poter intestare beni mobili o beni immobili, sicchè gioco forza essa si avvale di beni che appartengono ai singoli soci, come verificatosi nella fattispecie. E’ l’utilizzo che si fa di tali beni, per l’utilità comune e condivisa (come avvenuto nella vicenda e come evidenziato dal giudice del merito), che caratterizza la strumentalità della consorteria illecita.

Il ricorso avanzato da O.G. è destituito di fondamento e va rigettato. In tema di reato impossibile, coniugato con la materia delle sostanze stupefacenti, questa Corte di legittimità ha avuto modo di ritenere che una sostanza non può considerarsi stupefacente qualora il principio attivo effettivamente presente sia di misura talmente irrilevante da non poter produrre alcun effetto drogante nè risulti che la stessa possa essere aggiunta ad altra sostanza in modo da potere ottenere detto effetto. In mancanza di tale indispensabile requisito, la detenzione per la cessione non costituisce reato, ricorrendo l’ipotesi del reato impossibile per inidoneità del mezzo (Cass., 4^, 5 aprile 1996, n. 4104, Barkoumi, rv. 205213). E stato però anche deciso che il raggiungimento della soglia drogante non è necessario per la configurazione della fattispecie criminosa di detenzione a fini di spaccio (Sez. 4^, 3 luglio 2009, n. 32317, Di Settimio, rv. 245201), sicchè il reato di cessione di sostanze stupefacenti resta configurabile anche in relazione a dosi inferiori a quella media singola di cui al D.M. 11/4/06, con esclusione soltanto di quelle condotte afferenti a quantitativi di stupefacente talmente tenui da non poter indurre, neppure in maniera trascurabile, la modificazione dell’assetto neuropsichico dell’utilizzatore (Sez. 4^, 12 maggio 2010, n. 21814, Renna, rv. 247478). Ciò posto, deve rilevarsi che nella specie il fatto che la droga sia stata restituita dai compratori, dopo essere stata venduta da questi ultimi anche a terzi consumatori (che non l’avevano restituita), non è indice di assoluta inefficacia drogante, in carenza di elementi certi che asseverino tale condizione e stante la constatazione che altre transazioni di droga (capi 25 e 27) erano andate in precedenza a buon fine tra gli stessi soggetti. E’ rifacendosi implicitamente a questi principi che il giudice non ha inteso riconoscere il reato impossibile.

Il ricorso avanzato da R.A. è infondato e va respinto. In relazione alle determinazioni valutative riguardanti il reato associativo si richiama ciò che è stato esposto al paragrafo relativo alla posizione del D.W.. In relazione in particolare alla posizione del R. il giudice di seconde cure richiama gli esiti di indagine che delineano per il ricorrente una posizione di sicura intraneità al sodalizio, tesa al reperimento di sostanze stupefacenti per conto della associazione, ma anche di acquirente a credito dal D.W. di sostanziosi quantitativi, segno, questo, di una rilevante fiducia dell’organizzazione nei suoi confronti. La frequenza dei contatti con gli altri sodali e il livello di confidenza in ordine a fatti concernenti la droga comuni a più persone, pongono il soggetto, a dispetto del breve periodo di osservazione, in posizione di evidente cointeressenza con la consorteria. In relazione alla censura che attiene al perseguimento di interessi privati da parte dei prevenuti più che di interessi comuni all’associazione si richiamano le determinazioni sviluppate nel paragrafo relativo alla posizione del F..

Il ricorso avanzato da V.F. è fondato e va accolto. Il primo motivo di ricorso (vizi motivazionali attinenti alla censura difensiva di mero autoconsumo) non è destituito di fondamento.

L’imputazione a carico di V. è di aver ricevuto in più occasioni (per il vero una accertata, le precedenti presunte) sostanza stupefacente di tipo cocaina consegnatagli da T. ed A. per la cessione ad altri: un giro di telefonate intercorse tra il V. ed il T. e tra questo e l’ A. tra il 18 ed il 21/12/04 fa intendere prossima una cessione di droga al primo da parte dei secondi due ed un servizio di o.c.p. della polizia nei pressi dell’abitazione del V. e del forno da lui gestito porta al sequestro in danno del T. di due involucri, rispettivamente contenenti 52 e 2 grammi di cocaina (in media pura al 76%). L’accusa è che la fornitura fosse destinata all’ulteriore spaccio e ciò sia per l’abitualità delle forniture medesime che si intende dalle conversazioni intercettate sia per il quantitativo nell’occasione fornito. Invero la deduzione non è sorretta da presupposti che conducano ad una conseguenza univoca. Un consumatore ben può fornirsi in modo rilevante dilazionando il consumo e nel caso il V., gestore di un forno con rivendita di pane, era nelle condizioni economiche di farlo. Nulla dalla motivazione si trae per affermare che quella pur rilevante fornitura (per quantità e per purezza) da parte di un cliente abituale fosse destinata ad uno spaccio ulteriore (ad esempio per l’assenza o per il modesto grado di tossicodipendenza dell’imputato). Si impone pertanto per il V. l’annullamento della sentenza, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di Appello di Roma. Assorbiti gli altri motivi.

Il ricorso avanzato da M.L. è destituito di fondamento e va rigettato.

Il primo motivo di ricorso (censure attinenti al reato associativo) non è fondato e deve essere respinto. Si richiama sul punto quanto già esposto, in generale, al paragrafo relativo alla posizione D. W. e, nello specifico, al paragrafo relativo alla posizione A.. Per ciò che concerne in particolare la posizione del M., il giudice del merito ha ricavato infatti la sua posizione di intraneità nell’associazione dai continui contatti emersi con il F., e ciò non solo in base alle conversazioni telefoniche ma anche agli accertamenti di polizia giudiziaria.

L’imputato si avvale dell’esercizio del proprio bar che diviene un punto di riferimento degli acquirenti di stupefacente, indirizzandoli direttamente al F. ovvero rifornendoli egli stesso previo contatto con il medesimo ovvero ancora accompagnandoli personalmente all’appuntamento con il fornitore. I contatti del M., nella valutazione complessiva delle svolte indagini, sono sistematici, tanto da essere quegli al corrente della consistenza delle scorte di droga del F.. La circostanza addotta dalla difesa, che il M. non traesse alcun vantaggio economico dal suo interessamento, evidenza ancor più la sua appartenenza all’associazione, per il funzionamento della quale egli era disposto a sacrificare tempo e risorse senza un personale guadagno, se non marginale. Destituito di ogni fondamento è anche il rilievo difensivo secondo cui il M. conoscesse solo il F., risultando per vero, per quanto rilevato dal giudice di merito, anche contatti con altri sodali tra cui sicuramente il S., come emerso dalle intercettazioni telefoniche del 20 giugno 2004, debitamente menzionate dal giudice.

Anche il secondo motivo di gravame (mancata applicazione della attenuante della lieve entità del fatto) è privo di pregio e va rigettato. Sulla questione la Suprema Corte di Cassazione ha avuto modo di chiarire che "in tema di sostanze stupefacenti, ai fini della concedibilità o del diniego della circostanza attenuante del fatto di lieve entità, il giudice è tenuto a complessivamente valutare tutti gli elementi indicati dalla norma, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia quelli che attengono all’oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa):

dovendo conseguentemente escludere la concedibilità dell’attenuante quando anche uno solo di questi elementi porti ad escludere che la lesione del bene giuridico protetto sia di "lieve entità" (Cass. sez. 4^, 12 novembre 2010, n. 43399, Serrapede, rv. 248947). Ed in tale contesto valutativo, ove la quantità di sostanza stupefacente si riveli considerevole nella valutazione complessiva di quella veicolata (presso il bar si riunivano tre/quattro acquirenti per volta, per più volte al giorno), la circostanza è di per sè sintomo sicuro di una notevole potenzialità offensiva del fatto e di diffusibilità della condotta di spaccio vedi: Sez. 4^, 22 gennaio 2010, n. 4948, Porcheddu e altro, rv. 246649).

Il ricorso avanzato da S.P. è destituito di fondamento e va rigettato. Il primo motivo di ricorso (omessa valutazione dell’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 7) non è fondato e deve essere respinto. Sul punto questa Corte intende dare continuità al principio di diritto secondo cui, in tema di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, ai fini del riconoscimento della circostanza attenuante prevista a favore di chi si adopera per assicurare la prova del reato e per sottrarre all’associazione risorse decisive per la commissione dei delitti, non basta la mera indicazione del nominativo di qualche complice, ma occorre che l’aiuto si concreti nell’effettivo raggiungimento dello scopo perseguito dalla norma; il quale consiste nella reale sottrazione di risorse rilevanti, cioè cospicue, suscettibili di essere utilizzate mediante perpetrazione di ulteriori attività delinquenziali (Cass., sez. 6^, 24 ottobre 2006, n. 22196, Autunno e altri, rv. 236762). Ciò posto, come evidenziato dal giudice di merito, il ricorrente non ha inteso assicurare alla giustizia alcuna rilevante risorsa (se si eccettua il quantitativo di droga con il quale è stato arrestato e che, solo per questo, già non rileva), avendo ammesso solo circostanze già note agli inquirenti sulla base delle indagini in corso da tempo. Le argomentazioni in proposito espresse in sentenza sono pertanto esaustive e non contraddittorie.

Anche il secondo motivo di gravame (censure attinenti al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74) è privo di pregio e va rigettato. Sulla questione devono essere richiamate le argomentazioni già spese ai paragrafi relativi alle posizioni di D.W. e A.. Per ciò che rileva la specifica posizione del S. il giudice territoriale sottolinea che le risultanze processuali assegnavano al prevenuto un ruolo di stretta collaborazione nell’attività di spaccio, non solo per quanto concerneva il rifornimento dei pusher ma anche i contatti con l’associazione romana (in particolare il F.), che costituiva una fonte autonoma di approvvigionamento per quella viterbese. La Corte di Appello richiama inoltre i contributi dichiarativi del S., il quale, arrestato con 500 grammi di cocaina, ha fatto comprendere il funzionamento dell’organizzazione, il che gli ha consentito, se non di guadagnare l’attenuante sovra indicata, almeno di poter contare su un trattamento sanzionatorio più mite a dispetto dei numerosi reati ascrittigli. Con riferimento infine all’osservazione secondo cui era risultato dalle indagini che il S. applicasse prezzi autonomi e non quelli dettati dalla presunta associazione, si richiamano le argomentazioni già espresse nel paragrafo relativo alla posizione del F..

Patimenti destituito di fondamento è il terzo motivo di impugnazione (sulla pretesa competenza territoriale del giudice di Viterbo). E’ stato nella fattispecie correttamente applicata la vis attractiva della Procura distrettuale antimafia in forza della materia trattata.

E’ appena il caso qui di citare sul punto la giurisprudenza in termini di questa Corte, secondo cui "in tema di competenza territoriale, l’art. 51 c.p.p., comma 3 bis, prevede, limitatamente ai reati in esso contemplati, una deroga assoluta ed esclusiva degli ordinali criteri determinativi della competenza, e tale norma esercita una vis actractiva nei confronti dei delitti connessi anche quando essi risultino di maggiore gravità" (Sez. 1,1 marzo 2006, n. 1214, confi, comp. in proc. Lo Nigro, rv. 233869).

Il ricorso avanzato da F.M. è fondato limitatamente al trattamento sanzionatorio.

Il primo motivo di impugnazione (censure attinenti al profilo psicologico del reato associativo) non è fondato e deve essere respinto. In relazione al reato associativo romano si richiamano le argomentazioni già spese al paragrafo relativo alla posizione D. W.. Per ciò che concerne la posizione del F. il giudice del merito, in base alla valutazione del compendio di prova captativo, ha tracciato la specificità del ruolo del soggetto nell’ambito associativo (della cui funzionalità era al corrente, se non altro in relazione all’approvvigionamento dalla Spagna) individuandolo nell’intrattenimento, per conto della consorteria, dei rapporti con l’associazione viterbese. In altre parole il giudice trae la prova della consapevolezza del F. di far parte di un’organizzazione non dal singolo episodio dell’importazione di venti chili di cocaina, correttamente a lui non ascritto, ma dal fatto che dietro al B. (e al Fa., con cui altresì risulta aver avuto rapporti) vi era una struttura collaudata, organizzata e stabile in modo tale da potersi rifornire in quantitativi cospicui, del resto necessari ad approvvigionare in modo continuativo il gruppo facente capo al F..

Anche il secondo motivo di gravame (mancato riconoscimento dell’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5) è privo di pregio e va rigettato. In merito alla attenuante in parola si richiamano le argomentazioni già espresse nel paragrafo relativo alla posizione di M.. Il giudice di merito richiama il concetto di inconciliabilità proprio in relazione ai quantitativi di droga oggetto di transazione da parte della consorteria romana, come evidenziato in sentenza, giusta anche i cospicui quantitativi di droga sequestrati.

Fondato invece il terzo motivo di impugnazione. Il trattamento sanzionatorio, specie in raffronto ai coimputati ritenuti promotori dell’associazione o condannati anche per il reato fine aggravato dall’ingente quantità sub 75 (l’importazione di venti chili di cocaina dalla Spagna), non è adeguatamente motivato. Si impone pertanto per il F. l’annullamento della sentenza limitatamente a tale aspetto, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di Appello di Roma.

I ricorsi avanzati da S.R. sono parzialmente fondati e vanno accolti per quanto di ragione.

Il primo motivo di ricorso (doglianze attinenti alla sussistenza del reato associativo) non è fondato e deve essere respinto. Con riferimento al reato associativo "romano" si richiamano qui tutte le argomentazioni già espresse nel paragrafo relativo alla posizione D.W.. Con riferimento all’osservazione difensiva secondo cui il giudice del merito non aveva dato conto dell’autonomia e della conflittualità tra i presunti sodali si richiamano le argomentazioni già espresse nel paragrafo relativo alla posizione F..

Anche il secondo motivo di impugnazione (doglianze attinenti alla appartenenza dell’imputato al reato associativo) è privo di pregio e va rigettato. In relazione alla posizione specifica dell’appartenenza del S. all’associazione criminosa il giudice distrettuale richiama le intercettazioni telefoniche e il sequestro di droga che lo hanno direttamente interessato, che comprovano da un lato il contatto continuo e duraturo con il D.W. per l’approvvigionamento di droga e dall’altro la sub rete di spaccio tenuta dal ricorrente. La consapevolezza da parte del S. di far parte di una organizzazione è nel sapere che il D.W. potesse contare su una struttura capace di importare quantitativi ingenti di droga, che consentivano a loro volta allo stesso S. di ricorrere con frequenza alla sua fonte di approvvigionamento, tanto da maturate un debito cospicuo pari a 70.000 Euro così come analiticamente rammentato dalla Corte distrettuale. La diversa valutazione difensiva circa le conversazioni attinenti a tale debito sono in questa sede inammissibili perchè meramente inducenti ad una diversa interpretazione del contesto di prova. L’essere stato messo inoltre a parte dal D.W. (nel corso della telefonata 30 gennaio 2005) dell’arresto del corriere ( Fa.) che portava il cospicuo quantitativo di droga spagnolo comprova, secondo l’argomentato giudizio della Corte di merito, la piena fiducia nel ricorrente e il grado di intraneità dello stesso.

La diversa interpretazione data in ricorso della telefonata in questione è anch’essa meramente rivalutativa e inammissibile in questa sede. Di poco momento è poi l’assunto difensivo secondo cui prova della non appartenenza del ricorrente alla associazione risiederebbe nel fatto di non essere stato contattato per l’arresto del Fa.: non può per vero escludersi, come implicitamente fa valere la corte di merito, che il prevenuto sia stato rapportato a voce dell’accaduto anzichè per telefono, atteso che risulta per tabulas, come ricordato dal giudice, che egli fosse stato messo a corrente, come dianzi ribadito, dell’arrivo del cospicuo quantitativo spagnolo. Di poco conto è altresì il fatto che egli conoscesse poche persone, posto che in ogni caso era in contatto con Fa. e D.W. e dunque in ogni caso coi vertici della consorteria, che lo ponevano a un livello molto alto dell’associazione. Parimenti irrilevante è il fatto che nessuno dei sodali abbia riferito dell’operatività associativa del S., atteso in ogni caso che le collaborazioni degli imputati con la giustizia sono state dal punto di vista contenutistico parziali e non esaustive, come risulta dal fatto che non sia stata riconosciuta a nessuno di loro l’attenuante collaborativa. La circostanza che i 320 grammi di cocaina trovati in suo possesso non provengano dal D.W., perchè a lui non sono stati addebitati, come implicitamente argomenta la sentenza gravata, non dimostra ancora una volta l’estraneità del prevenuto: posto che il S. non ha mai rivelato la fonte di provenienza della sostanza stupefacente in questione e che tuttavia dalle intercettazioni telefoniche sono emersi, per la droga, solo contatti del S. con l’associazione in esame, la cocaina, secondo quanto implicitamente fatto valere dal giudice, non può che venire dall’associazione stessa, provando semmai, non essendo individuabile la fonte nel D.W., che i contatti del ricorrente anche con altri sodali fossero più penetranti di quanto di fatto emerso. Il terzo motivo di impugnazione (difetto motivazionale concernente il capo 84) è invece fondato e merita accoglimento.

Dalla lettura della sentenza gravata è possibile cogliere in relazione al capo 84 una profonda discrasia motivazionale in relazione a quanto ritenuto dal giudice rispetto all’imputazione contestata. Il capo di imputazione indicato accusa il S. della cessione al R. di otto grammi di cocaina, dove per contro sia il GUP che la Corte hanno ritenuto che in realtà tale cessione non si era mai concretizzata (il R. era ancora in possesso della droga) e che l’incontro era finalizzato al pagamento di una transazione precedente posto che nell’abitazione del R. era stata rinvenuta una confezione del tutto identica a quella sequestratagli in auto. La Corte riteneva tuttavia che, anche qualora la droga del R. fosse stata consegnata al S., si sarebbe comunque trattato di sostanza stupefacente destinata a terzi.

Le argomentazioni sono speciose e contraddittorie. Se il giudicante ha ritenuto che la cessione da parte del S. non fosse avvenuta nei confronti del R., avrebbe dovuto motivare sia sul punto della non avvenuta cessione sia sul fatto che la medesimezza di confezione tra la sostanza trovata in possesso del R. al momento del suo arresto e quella trovata presso l’abitazione dello stesso avrebbe dovuto quantomeno far dubitare del contrario, vale a dire che potesse essere stato il R. a cedere stupefacente al S., rimanendo altrimenti senza significato la circostanza che il R. avesse con sè, al momento del suo arresto, gli otto grammi ceduti dal S. nei giorni precedenti. E se la cessione non era avvenuta il 1 febbraio, la droga che il R. aveva con sè non poteva integrare il fatto ascritto (peraltro contestato in continuazione interna con altri fatti precedenti) sul supposto che fosse comunque destinata a terzi, posto che il possesso riguardava solo il R. mentre il destinatario sarebbe anche potuto essere soggetto diverso dal S.. Ne consegue che in merito a tale capo di accusa la sentenza va annullata con rinvio per nuovo esame a diversa sezione della Corte di Appello di Roma, che dovrà addivenire ad una ricostruzione dei fatti aderente all’imputazione o prendere atto della loro radicale difformità da essa con le dovute conseguenze di giustizia. Fondato anche il quarto motivo di ricorso (trattamento sanzionatone) per l’aumento di pena da precedente giudicato). Occorre per vero osservare che la pena irrogata nella sentenza del Gup del Tribunale di Velletri (in aumento sulla pena base di anni sei di reclusione di questo processo) è stata ridotta da anni tre e mesi quattro di reclusione ad anni due e mesi otto. Seppure la diminuzione vi sia effettivamente stata (in misura pari al minimo irrogabile, con le attenuanti generiche e la diminuente del rito, per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1) e nessun vizio di legittimità sia ravvisabile, nondimeno andavano indicate le ragioni dell’aumento in continuazione in misura pari ad una pena autonomamente irrogabile. Anche a ciò provvederà il giudice del rinvio nelle sue autonome determinazioni.

Allo stesso modo deve dirsi per il secondo ricorso avanzato in prò del S.. Il primo motivo, corrispondente al terzo del primo ricorso (capo 84), è fondato e deve essere accolto per le motivazioni già sviluppate al paragrafo precedente. Il secondo motivo (motivazione attinente al reato associativo) è invece infondata e va rigettata. Sulla questione si richiamano le argomentazioni espresse al paragrafo che precede in relazione al primo ricorso che tratta analoghe censure. Fondato invece il terzo motivo, che lamenta (al pari del quarto del primo ricorso) vizio di motivazione per la misura dell’aumento di pena in continuazione riservato al S. e ciò anche in riferimento all’aumento irrogato in misura notevolmente inferiore ad altro soggetto imputato dello spaccio di un maggior quantitativo di droga. Vale dunque quanto disposto in esito all’esame del primo ricorso.

Il ricorso avanzato da Su.Em. è destituito di fondamento e va rigettato.

Il primo motivo di ricorso (ravvisabilità, nel capo 76, dell’ipotesi di cui all’art. 379 c.p. invece di quella di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1) non è fondato e deve essere respinto. Il giudice del merito analizza chiaramente le intercettazioni telefoniche che riguardano lo specifico episodio in questione, traendo l’argomentato convincimento che è lo stesso tenore della captazione che fa presupporre necessariamente il contatto del Su. con i due acquirenti, perchè solo in questo caso sarebbe stato possibile aver verificato i termini dell’accordo.

Anche il secondo motivo di impugnazione (censure attinenti il reato associativo) è infondato e va rigettato. Sulla questione si intendono richiamate le argomentazioni già espresse in relazione alla posizione D.W.. Per quanto in via specifica riguarda il ricorrente, la Corte di merito è attenta nel rammentare che Su. risulta coinvolto, dalle intercettazioni telefoniche, in diverse cessioni di droga (a ciò doveva servire la bilancia di precisione tedesca sequestratagli) oltre in quella, rilevante, di un chilo di cocaina ceduto a T.- R., così come egli risulta più volte compulsato dai sodali e da persone estranee alla associazione per l’approvvigionamento di droga. Inoltre il S. viene messo al corrente dell’arresto del Fa. per i 20 kg di cocaina provenienti dalla Spagna: segno tangibile, motiva il giudice, della riscossione di considerevole fiducia all’interno della consorteria, come dimostrato anche dai contatti con il B., che in essa è in posizione apicale. Il giudice territoriale fa inoltre implicitamente valere il fatto che è dalla coralità dei contatti e dalla consapevolezza della necessità di risorse economiche e dei mezzi tipici di una organizzazione stabile che deriva la certezza di far parte di un sodalizio criminoso. La remuneratività della attività illecita dell’imputato, segno della sua durata nel tempo, è stata poi asseverata, argomenta ancora la Corte, dall’acquisto di autovettura, immobile e terreni.

Dove i ricorsi siano rigettati per intero segue (art. 616 c.p.p.) la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del processo.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di F.M. limitatamente al trattamento sanzionatorio, nei confronti di S.R. limitatamente al reato di cui al capo 84 ed al trattamento sanzionatorio, nonchè nei confronti di V.F.;

rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Roma; rigetta nel resto i ricorsi di F. e S..

Rigetta i ricorsi di A., D.W., Fa., F., M., O., R., S. e S., che condanna al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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