Cass. civ. Sez. I, Sent., 01-03-2012, n. 3220 Danni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1 – La s.r.l. Cento Rubii e la s.r.l. Monte di Leva, con atto di citazione del 19 aprile 1991 convenivano in giudizio davanti al tribunale di Roma l’ENEL, per ottenere il risarcimento del danno derivante dall’occupazione illegittima dei terreni di loro proprietà, fino all’emanazione del decreto di asservimento, intervenuto il 13 gennaio 1993. 1.1 – Il tribunale adito, con sentenza n. 6710 del 2003, dichiarava l’illegittimità dell’occupazione temporanea per il periodo compreso fra il gennaio del 1985 e il gennaio del 1993, condannando la convenuta al risarcimento dei danni, liquidati in L. 149.475,49 quanto alla s.r.l. Monte di Leva ed in Euro 63.591,16, quanto alla s.r.l. Cento Rubii.

1.2 – La Corte di appello di Roma, con la decisione indicata in epigrafe, pronunciando sul gravame proposto da TERNA spa, anche quale procuratrice di ENEL Spa, nei confronti della Cento Rubii, nonchè di G. ed V.E., M.V.M.F., o P.P.S., quali aventi causa della società Monte di Leva, rideterminava le somme dovute a titolo risarcitorio rispettivamente in Euro 60.283,00 in favore degli aventi causa della s.r.l. Monte di Leva ed in Euro 20.702,00, quanto alla s.r.l. Cento Rubii.

A tal fine veniva utilizzato il criterio fondato sul calcolo degli interessi legali sul valore espropriativo dei beni occupati, sulla base di un valore agricolo medio pari a L. 2000 per mq.

1.3 – Per la cassazione di tale decisione propongono ricorso la S.r.l. Terre di Caste di Decima, risultante dalla fusione per incorporazione della S.r.l. Cento Rubii, che produce memoria, nonchè M.V.M.F. e P.P., anche quali aventi causa di V.G. ed E., deducendo due motivi.

Resiste con controricorso, illustrato da memoria, Terna Spa.

Motivi della decisione

2 – Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione dell’art. 2043 c.c., del R.D. n. 1775 del 1933 e falsa applicazione della L. n. 865 del 1971, art. 19, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione, rispettivamente, all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, e n. 5.

Si sostiene che la corte territoriale avrebbe erroneamente disatteso le conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio, affermando che le valutazioni ivi formulate inerivano piuttosto alla determinazione dell’indennità di asservimento che non al calcolo della redditività del terreno nel periodo considerato.

2.1 – Il motivo è infondato.

Questa Corte, ha costantemente affermato che in conseguenza della occupazione illecita di un fondo, avente natura permanente, il proprietario ha diritto al risarcimento del danno consistente nella mancata percezione del reddito durante il periodo dell’abusiva detenzione, che si concreta, di regola, nell’ammontare dei frutti naturali non goduti dal proprietario nel periodo dell’occupazione:

salva la prova (a carico di quest’ultimo) del maggior danno derivante dalla perdita di tutti gli utili ed i vantaggi che il proprietario avrebbe potuto trarre dalla utilizzazione bene fino alla sua restituzione. (Cass., 19 marzo 2008, n. 7320; Cass., 24073/2004;

2952/2003; sez. un. 26/1999).

2.2 – Per altro il richiamo alle conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio, motivatamente disattese dalla corte territoriale in quanto ritenute pertinenti non la redditività del fondo nel periodo considerato, ma alla determinazione dell’indennità di asservimento (oggetto di separato giudizio), appare privo di un adeguato rispetto del principio di autosufficienza. In ogni caso, il richiamo all’applicabilità dell’art. 2043 c.c., come emergente dalla formulazione del principio di diritto, in astratto corretto, appare in concreto incongruo rispetto alla pretesa di ottenere, per il periodo di occupazione temporanea, un controvalore pari all’indennità di asservimento (affermandosi, per altro, l’irrilevanza del successivo decreto), così pervenendosi, in sostanza, a una sorta di duplicazione della relativa indennità (cfr., per casi analoghi, Cass., 11 gannaio 1995, n. 250; Cass. Sez. Un., 4 dicembre 2001, n. 15277, Cass., Sez. Un., 27 giugno 2005, n. 13714).

2.3 – Rilevata, sulla base della evidente diversità della causa petendi, l’infondatezza della tesi relativa alla formazione del giudicato esterno nella causa concernente la determinazione dell’indennità di asservimento, deve osservarsi che, non essendo contestata – anche in assenza di impugnazione incidentale – la risarcibilità del periodo di occupazione temporanea illegittima come determinato nell’impugnata decisione, il criterio adottato nell’impugnata sentenza, fondato sugli interessi legali calcolati in base all’indennità di espropriazione, appare correttamente applicato, nella sua sostanziale sussidiarietà, in assenza dell’accertata insussistenza di valide ed ulteriori deduzioni probatorie al riguardo.

3 – Quanto al secondo motivo, con il quale si contesta la determinazione, in concreto, dell’indennità di espropriazione, basata sul c.d. valore agricolo medio del fondo, deve rilevarsi che nel caso di specie deve trovare applicazione lo ius superveniens determinato dalla recente pronuncia n. 181 del 2011 della Corte costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità della L. n. 865 del 1971, art. 16 e confermato dalla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 4, per contrasto con l’art. 42 Cost., comma 3 e art. 117 Cost..

E’ del tutto evidente come, al di là della specifica contestazione del criterio con il motivo in esame, questa Corte Suprema, così come del resto affermato in relazione alla declaratoria di incostituzionalità della normativa relativa ai suoli aventi natura edificatoria, in merito all’individuazione del criterio legale di stima non sia concepibile la formazione di un giudicato autonomo, in quanto il bene della vita alla cui attribuzione tende l’opponente alla stima è l’indennità, liquidata nella misura di legge, non già l’indicato criterio legale.

3.1 – Una volta venuti meno i criteri riduttivi suddetti a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale, la Corte deve ribadire quanto già affermato dopo la menzionata sentenza 348/2007 della Corte costituzionale relativa ai suoli edificatori: che cioè per la stima dell’indennità torna nuovamente applicabile il criterio generale dell’indennizzo pari al valore venale del bene, fissato dalla L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 39, che è l’unico criterio ancora vigente rinvenibile nell’ordinamento, e per di più non stabilito per singole e specifiche fattispecie espropriative, ma destinato a funzionare in linea generalo in ogni ipotesi o tipo di espropriazione salvo che un’apposita norma provvedesse diversamente.

E che quindi nel caso concreto si presenta idoneo a riespandere la sua efficacia per colmare il vuoto prodotto nell’ordinamento dall’espunzione del criterio dichiarato incostituzionale (Cass., n. 4602/1989; 3785/1988; sez.un. 64/1986): anche per la sua corrispondenza con la riparazione integrale in rapporto ragionevole con il valore venale del bene garantita dall’art. 1 del Protocollo allegato alla Convenzione europea,nell’interpretazione offerta dalla Corte EDU. L’applicazione del criterio in questione da parte del giudice di rinvio comporta necessariamente l’estensione anche alla stima dell’indennizzo in questione dei medesimi principi già applicati per quello rivolto a risarcire l’espropriazione illegittima degli stessi fondi non edificatori; i quali impongono di tener conto delle obbiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini dell’area in relazione alle utilizzazioni autorizzate dagli strumenti di pianificazione del territorio: perciò consentendo pure al proprietario interessato da un’espropriazione rituale, di dimostrare sempre all’interno della categoria suoli/inedificabili, anche attraverso rigorose indagini tecniche e specializzate, che il valore agricolo, da determinarsi in base al relativo mercato, sia mutato e/o aumentato in conseguenza di una diversa destinazione del bene egualmente compatibile con la sua ormai accertata non edificatorietà. E, quindi, che il fondo, suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, pur senza raggiungere i livelli dell’edificatorietà, abbia un’effettiva e documentata valutazione di mercato che rispecchia queste possibilità di utilizzazioni intermedie tra l’agricola e l’edificatoria (parcheggi, depositi, attività sportive e ricreative, chioschi per la vendita di prodotti ecc.): seraprecchè assentite dalla normativa vigente sia pure con il conseguimento delle opportune autorizzazioni amministrative.

Cassata, pertanto, in parte qua, la sentenza impugnata che non ha compiuto i suddetti accertamenti, il giudizio va rinviato alla stessa Corte di appello di Roma, che in diversa composizione si adeguerà ai principi avanti enunciati.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo.

Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Cote di appello di Roma, in diversa composizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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