T.A.R. Lombardia Milano Sez. IV, Sent., 02-11-2011, n. 2600 Carenza di interesse sopravvenuta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

Con ricorso notificato in data 27 gennaio 2010 e depositato il 22 febbraio successivo, la ricorrente ha impugnato il provvedimento PG 57488/09 del 10 dicembre 2009 a firma del Direttore del Settore Patrimonio del Comune di Como con cui è stata comunicata alla stessa l’inaccoglibilità della sua richiesta in ordine alla concessione per occupazione di un’area demaniale lacuale.

Avverso il predetto provvedimento vengono dedotte le censure di violazione di legge con riferimento all’art. 10bis della legge n. 241 del 1990.

La memoria presentata dalla ricorrente in seguito al preavviso di rigetto non sarebbe stata assolutamente valutata dall’Amministrazione, che avrebbe dato conto della sola presentazione della medesima nell’emanazione del provvedimento finale, oggetto della presente impugnazione.

Un’ulteriore censura attiene alla violazione dell’art. 1bis della legge n. 241 del 1990 e dell’art. 97 della Costituzione.

Il mancato accoglimento della richiesta della ricorrente sarebbe stato motivato con la ravvicinata adozione di un nuovo Regolamento, la cui approvazione sarebbe stata ancora in itinere. Ciò sarebbe illegittimo, in quanto non si sarebbe potuto fare riferimento ad una normativa futura ed incerta, determinandosi in tal modo una violazione dei principi di buon andamento ed efficienza della Pubblica Amministrazione e del principio tempus regit actum.

Inoltre vengono dedotti la violazione dell’art. 97 della Costituzione e l’eccesso di potere per contraddizione.

La ricorrente avrebbe reiterato la richiesta di concessione dopo che in un precedente atto di rigetto sarebbe stato evidenziato come una modifica del progetto di concessione avrebbe determinato un parere favorevole dell’Amministrazione, che invece, con l’atto impugnato in questa sede, avrebbe smentito il suo precedente comportamento, generatore di un affidamento qualificato in capo alla ricorrente.

Infine, vengono dedotti la violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990 e l’eccesso di potere difetto di motivazione e per contraddizione.

La motivazione del provvedimento impugnato sarebbe del tutto generica e priva del carattere della concretezza e dell’attualità, sia da un punto di vista fattuale che giuridico.

Si è costituito in giudizio il Comune di Como, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Con successive memorie le parti hanno ribadito le rispettive posizioni. Il Comune di Como e la stessa parte ricorrente hanno depositato in giudizio, in vista dell’udienza di trattazione del merito della controversia, la deliberazione di approvazione del nuovo Regolamento per la valorizzazione e promozione del demanio lacuale.

Alla pubblica udienza del 24 maggio 2011, su conforme richiesta dei procuratori delle parti, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.

2. Successivamente alla proposizione del gravame, il Comune di Como ha adottato la deliberazione di approvazione del nuovo Regolamento per la valorizzazione e promozione del demanio lacuale che, come evidenziato dalla stessa parte ricorrente, non consente più l’installazione del pontile galleggiante richiesto da C. e negato dall’Amministrazione con il provvedimento impugnato.

Di conseguenza, la mancata impugnazione del nuovo Regolamento rende improcedibile il presente ricorso, visto che l’eventuale accoglimento dello stesso non potrebbe arrecare più alcuna utilità alla ricorrente (cfr. Consiglio di Stato, IV, 9 settembre 2009, n. 5402).

3. Tuttavia la stessa ricorrente ha manifestato, in sede di memoria difensiva, l’interesse alla definizione del merito della controversia in vista di una futura azione risarcitoria nei confronti del Comune.

Come già rilevato da questa Sezione, "con riferimento al permanere di un interesse risarcitorio, e quindi in relazione all’applicabilità alla presente fattispecie dell’art. 34, comma 3, cod. proc. amm., a mente del quale "quando, nel corso del giudizio, l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse ai fini risarcitori", va evidenziato che, nel caso di specie, non si ritengono sussistenti i presupposti per una decisione di merito.

Difatti la norma non può essere interpretata nel senso che, in seguito ad una semplice segnalazione della parte o, addirittura d’ufficio, lo stesso giudice debba verificare la sussistenza di un interesse ai fini risarcitori.

A ciò si oppongono due ordini di considerazioni: in primo luogo, se si considera l’id quod plerumque accidit, non vi è che un ristrettissimo numero di controversie in cui non si potrebbe, in astratto, individuare un interesse di natura risarcitoria. In particolare, con la valorizzazione della categoria del danno non patrimoniale, anche provvedimenti amministrativi non eseguiti, perché sospesi, potrebbero aver provocato dei danni risarcibili. Di conseguenza, si eliminerebbero quasi del tutto le pronunce di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse, espressamente contemplate dall’art. 35, comma 1, lett. c., cod. proc. amm.

Ma l’argomento più solido a supporto della tesi sostenuta in questa sede, è rappresentato dalla positivizzazione del principio dell’autonomia dell’azione risarcitoria (art. 30 cod. proc. amm. e, in giurisprudenza, Consiglio di Stato, Ad. plen., 23 marzo 2011, n. 3).

Essendovi la possibilità di proporre in via autonoma l’azione risarcitoria, indipendentemente dall’azione di annullamento, nessuna lesione al diritto del destinatario del provvedimento asseritamente illegittimo deriverebbe da una mancata decisione del merito del ricorso che fosse divenuto improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse. Anzi, tale mancata pronuncia eviterebbe di limitare la cognizione del giudice avanti al quale sarebbe proposta l’azione risarcitoria pura in ordine ad alcuni degli elementi necessari per individuare il danno risarcibile – ad esempio, l’illegittimità del comportamento amministrativo – e consentirebbe un giudizio pieno in relazione al complesso dei presupposti richiesti per ottenere un risarcimento. Del resto, non sempre all’accertata "non illegittimità" di un provvedimento segue il mancato risarcimento del danno (cfr., per esempio, T.A.R. Lombardia, Milano, IV, 29 settembre 2011, n. 2319), come pure nella proposizione successiva dell’azione risarcitoria il ricorrente non sembra tenuto a reiterare puramente e semplicemente le identiche censure proposte nel preventivo giudizio impugnatorio.

Infine, procedere in ogni caso alla definizione del merito della controversia potrebbe essere inutile, dato che il ricorrente potrebbe non proporre successivamente alcuna domanda risarcitoria.

Pertanto, l’art. 34, comma 3, cod. proc. amm. deve applicarsi in via restrittiva e soltanto allorquando la domanda risarcitoria sia stata proposta nello stesso giudizio (e ciò pare del tutto evidente), oppure quando la parte ricorrente dimostri che ha già incardinato un separato giudizio di risarcimento o che è in procinto di farlo" (T.A.R. Lombardia, Milano, IV, 5 ottobre 2011, n. 2352).

4. In conclusione, essendo stato approvato il nuovo Regolamento per la valorizzazione e promozione del demanio lacuale successivamente alla proposizione dei ricorsi, ed essendo tale Regolamento impeditivo della realizzazione richiesta dalla parte ricorrente, il ricorso indicato in epigrafe deve essere dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.

4. In relazione all’esito della controversia, le spese possono essere compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando, dichiara improcedibile il ricorso indicato in epigrafe.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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