Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 04-05-2011) 04-10-2011, n. 35856 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con sentenza del 14 giugno 2010, la Corte d’appello di Venezia, ha confermato la sentenza del Tribunale di Verona del 7 gennaio 2009, con cui l’imputato era stato condannato per i delitti di cui agli artt. 81, 609-bis e 628 c.p., art. 61 c.p., n. 2 e art. 582 c.p., rigettando gli appelli dell’imputato e del pubblico ministero.

Secondo la sentenza impugnata, i fatti per i quali è intervenuta condanna si sono svolti nella notte fra il (OMISSIS) e sono consistiti nell’avere, con il pretesto di un rapporto sessuale a pagamento, condotto la vittima – una prostituta – in un luogo appartato, averla percossa provocandole lesioni, averla minacciata e costretta ad avere un rapporto sessuale orale e uno vaginale, nonchè nell’averla rapinata di un telefono cellulare e di due banconote da Euro 50. 2. – Avverso tale sentenza, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, rilevando: 1) la nullità della sentenza e del procedimento di secondo grado, che conseguirebbe all’erroneità dell’ordinanza del 3 dicembre 2009, con cui si è rigettata l’eccezione di inammissibilità dell’appello del procuratore generale per tardi vita; 2) la violazione di legge consistente nell’aver proceduto a giudizio direttissimo, nonostante la mancanza dello stato di flagranza o quasi flagranza risultante dal provvedimento di convalida; 3) la carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, quanto all’attendibilità della persona offesa; 4) l’erronea applicazione dell’art. 628 c.p., perchè il fatto configurato come rapina sarebbe, invece, un esercizio arbitrario delle proprie ragioni; 5) l’erroneità in diritto e la carenza di motivazione in ordine al delitto di violenza sessuale.

Motivi della decisione

3. – Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

3.1. – Il primo motivo di ricorso – relativo alla nullità della sentenza e del procedimento di secondo grado, che conseguirebbe all’erroneità dell’ordinanza del 3 dicembre 2009, con cui si è rigettata l’eccezione di inammissibilità dell’appello del procuratore generale per tardività – è manifestamente infondato.

Deve infatti rilevarsi che l’appello del pubblico ministero, a prescindere dalla sua tempestività o tardività, è stato integralmente rigettato nel merito, con la conseguenza che la sua eventuale inammissibilità non ha avuto alcun rilievo sulla decisione nè, afortiori, sull’esplicazione del diritto di difesa dell’imputato.

3.2. – Il secondo motivo di ricorso – con cui si lamenta che si sia proceduto a giudizio direttissimo, nonostante l’accertata mancanza dello stato di flagranza o quasi flagranza – è infondato.

Il ricorrente rileva che il GIP, nella motivazione del provvedimento di convalida dell’arresto ha fatto riferimento al solo reato di rapina, mentre nel dispositivo ha convalidato l’arresto senza specifici riferimenti all’uno o all’altro reato. Ne consegue – sempre secondo il ricorrente – che il provvedimento di convalida va interpretato nel senso che si riferisce alla sola rapina e non anche agli altri reati contestati, con l’ulteriore conseguenza che il giudizio direttissimo avrebbe potuto essere legittimamente instaurato solo in relazione al reato di rapina.

Tali rilievi sono erronei.

Infatti – come correttamente evidenziato nella sentenza censurata – fra la motivazione e il dispositivo del provvedimento di convalida dell’arresto non sussiste alcun contrasto, perchè nella motivazione non si esclude la legittimità dell’arresto per i reati diversi dalla rapina e nel dispositivo si convalida l’arresto in via generale. Ne consegue la piena legittimità del giudizio direttissimo in relazione a tutti i reati contestati.

3.3. – Sull’attendibilità della persona offesa e, più in generale, sulla valutazione della prova dei reati, la sentenza impugnata contiene una motivazione ampiamente coerente e circostanziata.

Essa pone, infatti, a fondamento della colpevolezza dell’imputato, risultanze probatorie correttamente ritenute del tutto univoche, quali sono: a) le dichiarazioni della persona offesa; b) le dichiarazioni rese dai carabinieri che hanno proceduto all’arresto in flagranza, dalle quali risulta che l’imputato era in possesso del telefono cellulare della vittima; c) il ritrovamento sul luogo del fatto da parte dei carabinieri, su indicazione della persona offesa, dell’auricolare del telefono cellulare di questa e di un frammento di una banconota da Euro 50; d) le lesioni subite dalla vittima e riscontrate dai medici del pronto soccorso.

A fronte di una siffatta motivazione – la quale appare, come visto, del tutto completa e coerente – le censure del ricorrente relative alla ricostruzione del fatto si esauriscono nella richiesta di riesame del materiale probatorio già esaminato; riesame precluso in sede di legittimità. Trova, infatti, applicazione il principio affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il controllo sulla motivazione demandato al giudice di legittimità resta circoscritto, in ragione dell’espressa previsione normativa dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), al solo accertamento sulla congruità e coerenza dell’apparato argomentativo, con riferimento a tutti gli elementi acquisiti nel corso del processo, e non può risolversi in una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o dell’autonoma scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in ordine alla ricostruzione e valutazione dei fatti (ex plurimis, tra le pronunce successive alle modifiche apportate all’art. 606 c.p.p. dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46: Sez. 6, 29 marzo 2006, n. 10951; Sez. 6, 20 aprile 2006, n. 14054; Sez. 3, 19 marzo 2009, n. 12110; Sez. 1, 24 novembre 2010, n. 45578; Sez. 3, 9 febbraio 2011, n. 8096).

Ne consegue l’infondatezza dei motivi sub 3) e 5).

3.4. – Del pari infondato è il motivo sub 4), con il quale si prospetta l’erronea applicazione dell’art. 628 c.p., sul rilievo che il fatto configurato nella sentenza impugnata come rapina sarebbe da ricondurre, invece, all’esercizio arbitrario delle proprie ragioni.

La doglianza del ricorrente si basa sulla versione del fatto sostenuta dall’imputato, per cui egli aveva arbitrariamente trattenuto il telefono cellulare della vittima, allo scopo di conseguire un risarcimento del danno che questa aveva cagionato alla portiera della sua auto.

Deve rilevarsi che – a fronte dell’evidente inverosimiglianza di una tale ricostruzione del fatto – la sentenza censurata fornisce un’ampia e analitica motivazione circa l’attendibilità del racconto della vittima, la quale sostiene, sul punto, di essere stata rapinata del telefono e di due banconote; attendibilità che trova conferma – come visto – nel ritrovamento sul luogo del fatto da parte dei carabinieri, su indicazione della persona offesa, dell’auricolare del telefono e di un frammento di una banconota da Euro 50. 4. – Ne consegue il rigetto del ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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