Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 22-09-2011) 05-10-2011, n. 36106 Costruzioni abusive Reati edilizi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza del 17 gennaio 2011, il Tribunale di Savona, quale giudice del riesame, respingeva l’istanza di riesame proposta da C.V. avverso il decreto di sequestro preventivo emesso il 6 dicembre 2010 dal G.I.P. di quella città e concernente un terreno, in comune di Cisano sul Neva, oggetto di interventi di sistemazione a terrazze destinate ad agricoltura tradizionale e realizzazione di due edifici da adibire, rispettivamente, ad annesso rustico ed uso abitativo, con cospicua riduzione di superficie boscata ed in ordine ai quali era stato ipotizzato il reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c).

In particolare, il Tribunale rilevava come dalle risultanze degli atti del procedimento emergesse che le opere in questione interessavano un’area percorsa da incendio e che, conseguentemente, risultava applicabile, nella fattispecie, il disposto della L. n. 353 del 2000, art. 10 e che la superficie effettivamente coltivabile, prevista dal Piano Aziendale Agricolo presentato ai sensi degli artt. 29 e 35 delle NTA del PRG del Comune di Cisano sul Neva, era inferiore al minimo richiesto per la realizzazione di volumetria.

Avverso tale pronuncia il C. proponeva ricorso per cassazione.

Con un primo motivo di ricorso deduceva la violazione di norme processuali stabilite a pena di nullità, rilevando che la notifica della fissazione dell’udienza per il riesame non era stata effettuata al domicilio eletto presso lo studio del difensore, bensì solo tentata, peraltro senza esito, in luogo diverso, con conseguente nullità assoluta ed insanabile del procedimento e della relativa ordinanza.

Con un secondo motivo di ricorso deduceva la violazione di legge, osservando che gli interventi in contestazione erano stati debitamente autorizzati dalle autorità competenti e che, conseguentemente, difettava il fumus del reato.

Rilevava, inoltre, che era errata la lettura della L. n. 353 del 2000, art. 10 offerta dai giudici del riesame i quali avevano ritenuto che tale disposizione, nel consentire la realizzazione di edifici, strutture ed infrastrutture finalizzate ad insediamenti civili ed attività produttive nei soprassuoli percorsi dal fuoco, nei casi in cui la realizzazione sia stata prevista in data antecedente all’incendio dagli strumenti urbanistici vigenti a tale data, non sia riferito all’opera conforme a detti strumenti ma richieda una specifica previsione dell’opera medesima.

Osservava, a tale proposito, che se il legislatore avesse voluto prevedere quanto ritenuto dal Tribunale, avrebbe usato una diversa terminologia, riferendosi espressamente ad una preventiva autorizzazione e che non vi sarebbe motivo di vietare, dopo un incendio, ciò che prima era previsto, posto che l’incendio stesso non potrebbe essere stato provocato per ottenere ciò che già prima poteva realizzarsi.

Aggiungeva che, nella fattispecie, era evidente la compatibilità degli interventi autorizzati con le previsioni di piano regolatore che espressamente li prevedevano, seppure non individuandoli planimetricamente, in quanto non richiesto, poichè l’indice di edificabilità nelle zone ET è collegato alle dimensioni dell’azienda ed utilizzabile in qualsiasi parte del terreno.

Contestava, inoltre, il riferimento effettuato dal Tribunale alla giurisprudenza di questa Corte in quanto inerente a questione diversa.

Con un terzo motivo di ricorso deduceva la violazione di norme processuali relativamente al diniego, da parte del Tribunale, di esaminare la questione della fattibilità del Piano Aziendale in quanto questione demandata al giudice del processo.

Osservava, a tale proposito, che proprio sulla asserita fittizietà di tale piano era fondato il provvedimento di sequestro ed indicava le ragioni per le quali tale assunto doveva ritenersi infondato.

Insisteva, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Va in primo luogo rilevato che la eccezione procedurale di cui al primo motivo di ricorso è manifestamente priva di fondamento e basata su presupposti non rispondenti al vero.

Contrariamente a quanto affermato in ricorso, infatti, dalla semplice verifica degli atti – consentita a questa Corte in ragione della natura dell’eccezione – risulta che l’avviso di fissazione dell’udienza di riesame è stato regolarmente notificato presso il domicilio eletto.

Vi è infatti in atti notifica effettuata il 12/l/2011 all’indagato dal funzionario giudiziario D.M.F. presso il suddetto domicilio mediante consegna di copia all’Avv. Massimo Parodi dello studio dell’Avv. Giorgio Cangiano (l’avv. Parodi è stato poi nominato sostituto processuale dell’Avv. Cangiano per la trattazione del riesame).

Parimenti infondato risulta il secondo motivo di ricorso.

La L. 21 novembre 2000, n. 353 "Legge quadro sugli incendi boschivi" è volta "alla conservazione e alla difesa dagli incendi del patrimonio boschivo nazionale quale bene insostituibile per la qualità della vita" (art. 1, comma 1). Tale obiettivo, perseguito anche attraverso misure di "previsione, di prevenzione e di lotta attiva contro gli incendi boschivi" e di "formazione, informazione ed educazione ambientale" (art. 1, comma 2) giustifica anche i vincoli di destinazione e le limitazioni d’uso fissati dall’art. 10 quale deterrente del fenomeno degli incendi finalizzati alla successiva speculazione edilizia e per la conseguente salvaguardia del patrimonio boschivo.

L’art. 10, rilevante nella fattispecie, dispone che: "le zone boscate ed ì pascoli i cui soprassuoli siano stati percorsi dal fuoco non possono avere una destinazione diversa da quella preesistente all’incendio per almeno quindici anni. E’ comunque consentita la costruzione di opere pubbliche necessarìe alla salvaguardia della pubblica incolumità e dell’ambiente. In tutti gli atti di compravendita di aree e immobili situati nelle predette zone, stipulati entro quindici anni dagli eventi previsti dal presente comma, deve essere espressamente richiamato il vincolo di cui al primo periodo, pena la nullità dell’alto. Nei comuni sprovvisti di piano regolatore è vietata per dieci anni ogni edificazione su area boscata percorsa dal fuoco. E’ inoltre vietata per dieci anni, sui predetti soprassuoli, la realizzazione di edifici nonchè di strutture e infrastrutture finalizzate ad insediamenti civili ed attività produttive, fatti salvi i casi in cui detta realizzazione sia stata prevista in data precedente l’incendio dagli strumenti urbanistici vigenti a tale data".

Va poi ricordato che in una recente pronuncia, menzionata anche nel provvedimento impugnato (Sez. 3, n. 7608, 25 febbraio 2010), si è avuto modo di precisare che l’ipotesi di esclusione del divieto decennale di inedificabilità deve essere affrontata e risolta tenendo presente che il richiamo alla previsione della realizzazione delle infrastrutture. in data precedente l’incendio, dagli strumenti urbanistici vigenti, non si riferisce ad una previsione di zona, bensì ad una localizzazione di area.

In altra successiva decisione (Sez. 3, n. 16592, 28 aprile 2011) si è ulteriormente precisato che i riferimenti contenuti nella sentenza 7608/10 riguardano la L. 17 agosto 1942, n. 1150, art. 7, il quale indica i contenuti essenziali dello strumento urbanistico generale.

Tali contenuti sono individuati, con riferimento alla localizzazione:

nella rete delle principali vie di comunicazione stradali, ferroviarie e navigabili e dei relativi impianti;

nelle aree destinate a formare spazi di uso pubblico o sottoposte a speciali servitù;

nelle aree da riservare ad edifici pubblici o di uso pubblico nonchè ad opere ed impianti di interesse collettivo o sociale.

Sono invece riferiti alla zonizzazione i seguenti contenuti:

la divisione in zone del territorio comunale con la precisazione delle zone destinate all’espansione dell’aggregato urbano e la determinazione dei vincoli e dei caratteri da osservare in ciascuna zona;

I vincoli da osservare nelle zone a carattere storico, ambientale, paesistico;

le norme per l’attuazione del piano.

Si richiamava, inoltre, l’individuazione delle zone di recupero del patrimonio edilizio esistente di cui tratta la L. 5 agosto 1978, n. 457, art. 27, recante "Norme per l’edilizia residenziale" giungendo alla affermazione che il riferimento della disposizione in esame alla specifica localizzazione dell’area riservata all’intervento da parte dello strumento urbanistico e non anche alla previsione di zona, produce quale conseguenza la irrilevanza, ai fini della speciale deroga, della generica compatibilità dell’intervento con la destinazione dell’area, essendo invece richiesto che l’area medesima sia già riservata dallo strumento urbanistico alla realizzazione delle predette opere.

Alla luce di tali principi, condivisi dal Collegio, va dunque verificata l’esattezza dell’opzione ermeneutica posta dal giudice del riesame a fondamento della sua decisione.

Il Tribunale, come si è già detto, richiama il contenuto della già menzionata sentenza 7608/10 escludendo la possibilità di costruire sull’area in sequestro ostandovi la mancata previsione dell’intervento in data antecedente all’incendio, escludendo che la mera conformità dell’intervento alle previsioni di piano, presupposto essenziale per la realizzazione di qualsiasi opera, possa ritenersi sufficiente evidenziando il pleonasmo che caratterizza un simile assunto.

La difesa, al contrario, trova tale disposizione del tutto coerente e non ridondante, osservando come possa intervenire una modifica normativa che consenta comunque un intervento senza mutamento della destinazione urbanistica e come, diversamente argomentando, il proprietario del terreno verrebbe a sopportare, oltre al danno dell’incendio, anche quello derivante dall’impossibilità di realizzare ciò che prima di tale evento era invece consentito.

Va osservato, a tale proposito, che la questione non può essere risolta con riferimento a tale aspetto lessicale, bensì tenendo conto delle specifiche finalità di conservazione del patrimonio boschivo perseguite dalla L. n. 353 del 2000 e dei principi dianzi richiamati.

E’ pertanto evidente che il contenuto dell’articolo 10 deve essere letto nel senso, già indicato, che il riferimento alla previsione degli strumenti urbanistici riguarda esclusivamente la localizzazione specifica dell’area.

Si obietta tuttavia in ricorso che, nella fattispecie, tale previsione esisteva comunque, stante la particolare destinazione dell’area che prevede un indice di edificabilità collegato alle dimensioni dell’azienda ed utilizzabile in qualunque parte del terreno nel rispetto delle norme sulle distanze.

Tale affermazione non è corretta.

La destinazione urbanistica dell’area interessata dall’intervento è quella indicata nelle norme di attuazione del PRG del Comune di Cisano sul Neva (art. 9) come zona agricola ET per agricoltura tradizionale.

L’art. 2, avente ad oggetto "attuazione del PRG", precisa che nelle zone agricole "EM" ed "ET" si interviene mediante piano aziendale di sviluppo agricolo, come definito nel successivo capitolo 4.

L’art. 29 stabilisce che "la zona agricola ET si attua a mezzo dì Piano Aziendale di sviluppo agricolo".

Assume pertanto rilievo la natura del Piano Aziendale di sviluppo, il quale può essere qualificato come strumento urbanistico con finalità esecutive e, più precisamente, un piano attuativo convenzionato, alla stregua del piano di lottizzazione.

Tale caratteristica trova conferma, oltre che nel contenuto del menzionato art. 29, anche nel successivo art. 35 delle NTA che, nel descrivere i contenuti del Piano aziendale di sviluppo agricolo, indica una serie di elementi aventi specifica attinenza agli interessi urbanistici e precisa che "(…) l’azienda agricola definita secondo i parametri di cui ai punti precedenti non va tuttavia intesa, ai fini dell’applicazione della presente norme, unicamente in senso economico – imprenditoriale, ma soprattutto come strumento per il mantenimento di una fruizione agricola del territorio, indipendentemente dalla quantità di reddito prodotto".

Ne consegue che, in ragione delle specifiche caratteristiche e finalità del Piano aziendale di sviluppo agricolo, ai fini dell’applicabilità della deroga stabilita dalla L. n. 353 del 2000, art. 10 occorre che tale piano sia stato predisposto ed abbia già configurato l’assetto territoriale dell’area antecedentemente al verificarsi dell’incendio.

Può, in definitiva, affermarsi il principio secondo il quale, il Piano Aziendale di sviluppo agricolo, in quanto funzionale anche alla concreta realizzazione delle scelte urbanistiche delineate dal Piano Regolatore Generale, ha natura di strumento di attuazione, con la conseguenza che, ai fini dell’applicazione della L. n. 353 del 2000, art. 10, laddove consente la realizzazione di edifici, strutture ed infrastrutture finalizzate ad insediamenti civili ed attività produttive nei soprassuoli percorsi dal fuoco, nei casi in cui la realizzazione sia stata prevista in data antecedente all’incendio dagli strumenti urbanistici vigenti a tale data, occorre che lo stesso sia stato già adottato.

L’ordinanza impugnata appare dunque, sul punto, del tutto immune da censure.

A conclusioni analoghe deve pervenirsi per quanto attiene il terzo motivo di ricorso.

Occorre preliminarmente individuare l’ambito di operatività della competenza del giudice del riesame, ricordando che lo stesso è stato delimitato, dalla giurisprudenza di questa Corte, alla verifica delle condizioni di legittimità della misura cautelare che non può tradursi in anticipata decisione della questione di merito concernente la responsabilità della persona sottoposta ad indagini in ordine al reato oggetto di investigazione, ma deve limitarsi al controllo di compatibilità tra la fattispecie concreta e quella legale, rimanendo preclusa ogni valutazione riguardo alla sussistenza degli indizi di colpevolezza ed alla gravita degli stessi (SS. UU. n. 7, 4 maggio 2000 ed altre succ. conf.) pur permanendo l’obbligo di esaminare anche le confutazioni e gli elementi offerti dagli indagati che possano avere influenza sulla configurabilità e sulla sussistenza del "fumus" del reato contestato (Sez. 3, n. 18532, 17 maggio 2010; n. 27715, 16 luglio 2010).

Va comunque ricordato che la giurisprudenza di questa Corte ha anche affermato che compito del Tribunale del riesame è pure quello di espletare il proprio ruolo di garanzia non limitando la propria cognizione alla astratta configurabilità del reato, dovendo invece considerare e valutare tutte le risultanze processuali in modo coerente e puntuale esaminando, conseguentemente, non solo le allegazioni probatorie del Pubblico Ministero ma anche le confutazioni e gli altri elementi offerti dalla difesa degli indagati che possano influire sulla configurabilità e sussistenza del fumus del reato ipotizzato (ex pl. Sez. 3, n. 27715/2010 cit; Sez. 3, n. 26197, 9 luglio 2010; Sez. 3, n. 18532/2010 cit., con ampi richiami ai precedenti).

Si tratta di argomentazioni che il Collegio condivide e che chiariscono esattamente come il sindacato del Tribunale del riesame, lungi dall’estendersi ad ogni questione prospettata dall’indagato, resti comunque vincolato entro limiti ben precisi, rappresentati dalla effettiva influenza della questione dedotta sulla fondatezza del fumus del reato.

Il principio di diritto è stato conseguentemente riaffermato di recente (Sez. 3, n. 7242, 25 febbraio 2011), con l’ulteriore precisazione che la valutazione richiesta al Tribunale del riesame non può ritenersi dovuta in presenza di qualsiasi allegazione difensiva che si risolva in una mera negazione degli addebiti o in una diversa lettura degli elementi acquisiti, ma solo quando la rilevanza dell’apporto della difesa sia di immediata evidenza ed oggettivamente determinante in relazione al "fumus commissi delicti".

Date tali premesse, deve rilevarsi che il Tribunale ha correttamente operato entro i limiti della propria cognizione, ritenendo sussistenti i presupposti per l’applicazione della misura reale ed indicandone compiutamente le ragioni.

La ulteriore questione, relativa alla natura fittizia o meno del Piano aziendale è stata giustamente demandata all’esame del giudice del processo, presupponendo complessi accertamenti, verosimilmente anche di natura tecnica ed implicando una valutazione sulla fondatezza dell’accusa che eccede l’ambito di operatività del giudice del riesame, come è dato agevolmente rilevare dal complesso delle articolate argomentazioni sviluppate in ricorso sul punto.

Il Tribunale aveva inoltre esaustivamente indicato le ragioni per le quali doveva ritenersi sostenibile l’ipotesi accusatoria e la sua prevalenza rispetto alle deduzioni difensive con riferimento alle altre questioni prospettate, la cui natura assorbente rendeva peraltro superflua ogni ulteriore verifica.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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