Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 01-03-2012, n. 3188 Previdenza integrativa

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1- La sentenza attualmente impugnata rigetta l’appello dell’Istituto Nazionale Fisica Nucleare (d’ora in poi: INFN) avverso la sentenza del Tribunale di Pisa n. 226 dell’11 maggio 2007 proposto nei confronti di M.P., dichiara cessata la materia del contendere con riguardo agli altri dipendenti della locale struttura dell’INFN appellati, in conseguenza di una sopravvenuta conciliazione stragiudiziale.

La Corte d’appello di Firenze, per quel che qui interessa, precisa che:

1) è incontestato che M.P. è stato assunto dall’INFN il 3 agosto 2001 e ha cessato il suo rapporto di impiego il 17 febbraio 2008;

2) conseguentemente, la parte residua della controversia è unicamente concentrata sulla determinazione della natura del trattamento approntato al personale dall’INFN tramite polizza assicurativa presso l’INA e, in particolare, sulla possibilità, o meno, di considerare detto trattamento come di "previdenza integrativa", secondo quanto sostenuto dall’Istituto, il quale da tale assunto fa discendere l’impossibilità per il M. di accedere al trattamento stesso, sulla base della L. 17 maggio 1999, n. 144, art. 64, comma 2;

3) infatti, tale ultima disposizione ha previsto la soppressione, a decorrere dal 1 ottobre 1999, dei fondi di previdenza integrativa dell’assicurazione generale obbligatoria esistenti per i dipendenti degli enti elencati dalla L. 20 marzo 1970, n. 75 (Disposizioni sul riordinamento degli enti pubblici e del rapporto di lavoro del personale dipendente), tra i quali è compreso l’INFN;

4) ciononostante, è da ritenere che il Tribunale di Pisa, sulla base dei documenti in atti, abbia correttamente escluso la suddetta natura previdenziale integrativa e sia esattamente pervenuto a ritenere prevalenti i connotati della retribuzione differita, secondo i criteri interpretativi fissati dalla giurisprudenza di legittimità citata dal Tribunale stesso;

5) infatti, la forma previdenziale in oggetto: a) non si realizza tramite la costituzione di un fondo o di una gestione; b) difetta del carattere integrativo, perchè non fa riferimento nè ingloba in un trattamento complessivo la prestazione dell’a.g.o.; c) la polizza assicurativa INA in argomento presenta le caratteristiche della prestazione aggiuntiva a contribuzione definita, con accumulo di capitale su conto individuale (presso un soggetto terzo), la cui liquidazione avviene con la tecnica dell’una tantum; d) l’erogazione della prestazione è correlata alla cessazione del rapporto di lavoro e non al pensionamento di base (con possibilità di usufruire di presti o indennizzi per infortunio, anche nel durante il rapporto);

6) nessuno degli argomenti dell’INFN scalfisce il quadro ora delineato.

2- Il ricorso dell’lNFN domanda la cassazione della sentenza per sei motivi; resiste, con controricorso, M.P..

Motivi della decisione

1 – Profili preliminari.

1- Preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso proposta dal controricorrente sul rilievo che, nella parte conclusiva del ricorso, l’INFN non ha specificato che la propria richiesta di cassazione della sentenza impugnata si riferisce alla sola parte della sentenza stessa che riguarda il rigetto dell’appello proposto nei confronti del M. (e, quindi, non anche alla pronuncia di cessazione del contendere riguardante gli altri appellati).

Va, infatti, osservato che è jus receptum che il contenuto del ricorso per cassazione deve essere valutato nel suo complesso senza eccessivi formalismi e, pertanto, l’inammissibilità sancita dall’art. 366 cod. proc. civ., n. 2, per la mancata indicazione della sentenza o della decisione impugnata va limitata all’ipotesi in cui l’indicazione del provvedimento impugnato difetti del tutto o sia talmente incerta da renderne impossibile l’identificazione, nel senso che la parte cui il ricorso è diretto non abbia elementi sufficienti per individuare inequivocabilmente la sentenza o la decisione stessa (Cass. 2 aprile 2002, n. 4661; Cass. 2 dicembre 2004, n. 22661; Cass. 24 marzo 2009, n. 7053).

E’ evidente che, nella specie, dalla lettura del ricorso emerge, con chiarezza, fin dalle prime pagine, che le censure non sono riferite alla parte della sentenza relativa alla dichiarazione di cessazione della materia del contendere, pronunciata in seguito all’intervenuta conciliazione stragiudiziale nei confronti di tutti gli appellati ad eccezione dell’attuale controricorrente.

2 – Sintesi dei motivi di ricorso.

2- Con il primo motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Il ricorrente sottolinea che l’elemento cardine per risolvere la presente controversia è rappresentato dalla individuazione della natura del trattamento approntato dall’INFN ai propri dipendenti tramite la polizza assicurativa INA in oggetto.

La Corte d’appello ha ritenuto che tale trattamento abbia natura di retribuzione differita, ove invece tale trattamento fosse stato qualificato come previdenziale integrativo, la pretesa del M. sarebbe risultata infondata.

La suddetta qualificazione adottata dalla Corte d’appello, ad avviso del ricorrente, si pone in contrasto con gli elementi che caratterizzano la fattispecie, i quali sono coerenti con le disposizioni del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124 (Disciplina delle forme pensionistiche complementari), tuttora applicabili ai rapporti con le pubbliche amministrazioni in base alla disciplina transitoria di cui al D.Lgs. 5 dicembre 2005, n. 252, art. 26 (recte: del D.Lgs. n. 252 del 2005, art. 23).

In particolare, la motivazione adottata sul punto sarebbe del tutto insufficiente a fondare le conclusioni cui la Corte fiorentina perviene sia perchè gli elementi dai quali viene desunta la natura retributiva del trattamento in oggetto in realtà sono compatibili con le previsioni contenute nel D.Lgs. n. 124 del 1993 cit, sia perchè il Giudice del merito non ha tenuto conto nè di quanto affermato da questa Corte di cassazione nella sentenza 15 febbraio 2005, n. 3009 nè delle numerose decisioni della Corte costituzionale in materia (sentenze n. 421 del 1995 e n. 393 del 2000, nonchè ordinanza n. 319 del 2001).

3.- Con il secondo motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, violazione e falsa applicazione della L. 20 marzo 1975, art. 14 e art. 26, comma 3, art. 70 nonchè del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124.

Si sostiene che le medesime ragioni poste a base del primo motivo rilevano anche come violazioni di legge perchè l’affermazione della natura retributiva del trattamento di cui si tratta si pone in contrasto con la finalità perseguita dal legislatore con il D.Lgs. n. 124 del 1993, consistente nell’introduzione, con la previdenza complementare, di un istituto assimilabile nella struttura alla previdenza obbligatoria, come è stato più volte affermato e ribadito dalla Corte costituzionale, specialmente nelle decisioni prima richiamate, e come anche questa Corte di cassazione ha precisato.

In particolare, gli elementi che caratterizzano il fondo INA in oggetto corrispondono a quelli dei fondi di previdenza integrativa di cui al menzionato D.Lgs. n. 124 del 1993 per i seguenti profili: a) nomen juris identificativo, risultando la convenzione stipulata tra INFN e INA testualmente finalizzata alla "costituzione di un trattamento di previdenza in forma assicurativa a favore del personale dell’Istituto"; b) attuazione in forma assicurativa, analoga a quella espressamente prevista dal D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 9 ter; c) assenza di forme di solidarietà e operatività secondo il principio di capitalizzazione (proprio dei sistemi pensionistici e addirittura imposto per le forme di previdenza complementare di cui al D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 6, e segg.), in base al quale le contribuzioni del datore di lavoro e dei dipendenti dell’INFN sono sempre confluite in un unico fondo denominato "moneta forte", sistema che rende ininfluente la mancata adozione del principio della ripartizione, fondato sul principio di solidarietà tra lavoratori attivi e pensionati; d) modalità di finanziamento: il suddetto sistema di finanziamento del fondo relativo alla polizza INA è del tutto conforme alle modalità di finanziamento della previdenza complementare (D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 8 cit.); e) d’altra parte, anche le prestazioni della polizza INA sono comunque connesse con la cessazione del rapporto per raggiunti limiti di età;

f) inoltre prima dell’entrata in vigore della L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 15, la possibilità di ottenere prestazioni assicurative a prescindere dalla maturazione del diritto a pensione era caratteristica comune dei fondi previdenziali integrativi; g) neppure dirimente è la prevista possibilità di conseguire prestazioni anticipate rispetto all’erogazione del trattamento pensionistico obbligatorio, visto che è una facoltà prevista anche per gli iscritti ai fondi di previdenza complementare (vedi: Cass. n. 3009 del 2005 cit.).

Nè va omesso di considerare che il TAR del Lazio, chiamato ripetutamente ad esprimersi sulla natura del trattamento di cui alla polizza INA in oggetto, ne ha affermato la similitudine con i fondi di previdenza integrativa, rilevando che l’unica differenza sostanziale tra i due tipi di trattamento – rappresentata dal fatto che nella specie la forma di gestione è assicurativa e viene attuata con polizze emesse da un istituto assicuratore che funge da soggetto terzo anzichè da un fondo gestito dallo stesso datore di lavoro – non è sufficiente ad escludere la natura previdenziale integrativa del trattamento, al quale quindi non potevano più avere accesso i dipendenti ESTIN assunti dopo l’abolizione dei relativi fondi esistenti presso gli enti di cui alla L. n. 70 del 1975 cit..

4.- Con il terzo motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 70 del 1975, art. 14 e art. 26, comma 3 cit..

Si sottolinea che la prima delle suddette norme ha previsto la conservazione dei "fondi integrativi di previdenza", mentre la seconda ha stabilito il generale divieto di attribuzione di trattamenti economici accessori ovvero di trattamenti integrativi relativi a singoli enti o categorie di enti, salva una limitata eccezione per le quote di aggiunta di famiglia e dell’indennità integrativa speciale.

Conseguentemente la qualificazione del trattamento in oggetto come retributivo collide con le suddette disposizioni.

5.- Con il quarto motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45.

La contestata attribuzione della natura retributiva alla polizza INA de qua si tradurrebbe, altresì, in un aggiramento della disposizione, contenuta nel richiamato art. 45, secondo cui nei rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche "il trattamento economico fondamentale e accessorio è definito dai contratti collettivi". 6.- Con il quinto motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, violazione e falsa applicazione della L. 29 maggio 1982, n. 297, art. 4.

La tesi della natura retributiva, sostenuta dalla Corte d’appello, renderebbe il trattamento di cui si tratta non erogabile nella specie, visto che finirebbe per rappresentare una indennità incompatibile con il TFR, mentre il richiamato della L. n. 297 del 1982, art. 4 (applicabile, in base al D.P.C.M. 2 marzo 2001, ai dipendenti assunti a tempo indeterminato dal 1 gennaio 2001, come il M.), sancisce il principio assoluto, coinvolgente ogni accordo collettivo stipulato in qualsiasi tempo, secondo cui, all’atto della cessazione del rapporto, è consentita l’erogazione solo di indennità aventi natura diversa dal TFR. 7- Con il sesto motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, violazione e falsa applicazione della L. 17 maggio 1999, n. 144, art. 64, comma 2, della L. 8 agosto 1991, n. 274 attuata con deliberazione ministeriale n. 4082 del 1991, nonchè del D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 479.

Si osserva che – sull’erroneo presupposto della natura retributiva del trattamento di cui si discute – la Corte territoriale – e prima il Tribunale – hanno erroneamente affermato la possibilità, per i dipendenti dell’INFN, di iscriversi all’INA senza alcun limite temporale, viceversa:

1) a decorrere dal 20 dicembre 1993 – data di approvazione ministeriale della deliberazione del Consiglio direttivo dell’INFN n. 4028 del 25 ottobre 1991, con la quale l’Istituto ha esercitato la facoltà di iscrivere il proprio personale alla CPDEL, in conformità con la L. n. 274 del 1991 – sono state revocate le iscrizioni del personale dell’INFN all’INA, essendo la forma pensionistica offerta dalla CPDEL incompatibile con altre forme integrative;

2) con l’entrata in vigore del D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 479, tali iscrizioni sono state tutte convogliate presso l’INPDAP, che ha sostituito ope legis le altre assicurazioni previdenziali per i dipendenti pubblici;

3) l’art. 18 del suddetto D.Lgs. n. 124 del 1993 ha previsto la possibilità per i dipendenti già iscritti ai fondi come quello dell’INA di optare per l’iscrizione ai fondi integrativi costituiti presso l’ente di appartenenza;

4) tale ultima disposizione è stata abrogata nel 2005, sicchè non può rappresentare il fondamento della "intera pretesa" del M., il quale ha lavorato alle dipendenze dell’INFN dal 2001 al 2008;

5) il M. si vorrebbe giovare di una norma operante chiaramente per il passato, con la quale è stata riconosciuta l’iscrizione all’INA a decorrere dal 1975, in favore dei lavoratori che ne avessero fatto richiesta;

6) peraltro, in base al D.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, art. 75 (relativo ai dipendenti delle aziende sanitarie locali) la suddetta opzione doveva essere esercitata entro sei mesi, a decorrere dal dicembre 1979;

7) infine, la L. 17 maggio 1999, n. 144, art. 64, ha previsto la soppressione, a decorrere dal 1 ottobre 1999, dei fondi di previdenza integrativa dell’assicurazione generale obbligatoria esistenti per i dipendenti degli enti elencati dalla L. 20 marzo 1970, n. 75 (Disposizioni sul riordinamento degli enti pubblici e del rapporto di lavoro del personale dipendente), tra i quali è compreso l’INFN. Tale articolato e complesso quadro normativo dimostra, ancora una volta, la natura previdenziale del trattamento in oggetto.

3 – Esame delle censure.

8.- I motivi del ricorso – da esaminare congiuntamente, data la loro intima connessione – non sono da accogliere.

Come afferma lo stesso Istituto ricorrente, tutte le censure hanno il loro fulcro nella contestazione della statuizione della Corte territoriale di esclusione della natura previdenziale integrativa del trattamento di cui si discute, con conseguente affermazione della sussistenza in esso dei prevalenti connotati della retribuzione differita.

Tale statuizione è, invece, da considerare corretta, per le ragioni di seguito illustrate.

8.1.- Per quanto riguarda la principale normativa di riferimento, va, in primo luogo, ricordato che, com’è noto, in base al D.Lgs. n. 124 del 1993 (ancora applicabile nella specie, in base alla disciplina transitoria contenuta nel D.Lgs. 5 dicembre 2005, n. 252, art. 23, commi 1 e 5, come modificato dalla L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 749, abrogativo del suddetto D.Lgs. n. 124 del 1993) sono definibili come integrative tutte le forme di previdenza preordinate all’erogazione di trattamenti pensionistici che (così come si esprime anche il D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 1) sono complementari del sistema obbligatorio pubblico, e hanno "il fine di assicurare più elevati livelli di copertura previdenziale" (vedi, per tutte:

Cass. 24 maggio 2000, n. 6839; Cass. 15 febbraio 2005, n. 3009).

Già da questa definizione si desume – come ha sottolineato la Corte costituzionale nella sentenza n. 421 del 1995 – che il legislatore ha inteso inserire i fondi di previdenza complementare "nel sistema dell’art. 38 Cost.", sicchè le relative contribuzioni, da parte dei datori di lavoro, sono state configurate quali "contributi di natura previdenziale, come tali estranei alla nozione di retribuzione imponibile ai sensi e agli effetti della L. n. 153 del 1969, art. 12, potendo (e dovendo) formare oggetto soltanto di un contributo di solidarietà alla previdenza pubblica, il quale non è un contributo previdenziale in senso tecnico (come si argomenta, tra l’altro, dal D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 80, art. 5, comma 5, lett. b)", ma "è una contropartita necessaria dell’esclusione delle contribuzioni ai fondi di previdenza complementare dalla base imponibile per la determinazione dei contributi di previdenza e di assistenza sociale" (nello stesso senso: Corte cost. sentenza n. 178 del 2000).

Secondo lo stesso D.Lgs. n. 124 del 1993 (art. 3) le fonti istitutive delle forme pensionistiche complementari sono esclusivamente i contratti collettivi di lavoro e con i regolamenti aziendali (vedi, sul punto: Cass. 8 marzo 2010, n. 5542) e l’attuazione delle suddette forme pensionistiche avviene con la costituzione di appositi fondi "la cui denominazione deve contenere l’indicazione di fondo pensione, la quale non può essere utilizzata da altri soggetti".

Tali disposizioni hanno portata generale, come si desume dal medesimo D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 18, comma 1.

Infine, il successivo comma 9 dello stesso art. 18 stabilisce che: "i dipendenti degli enti di cui alla L. 20 marzo 1975, n. 70, assunti successivamente alla data di entrata in vigore della legge medesima, possono chiedere di essere iscritti al fondo integrativo costituito presso l’ente di appartenenza, con facoltà di riscatto dei periodi pregressi".

Tra questi ultimi enti è compreso l’INFN, come risulta dall’art. 6 della tabella annessa alla L. n. 70 del 1975 cit..

In materia di previdenza integrativa degli enti di cui alla L. n. 70 del 1975 è poi intervenuto la L. 17 maggio 1999, n. 144, art. 64, che nei primi due commi, dispone che:

"1. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, con accordo contrattuale di comparto saranno istituite, ai sensi del D.Lgs. 21 aprile 1993, a 124, e successive modificazioni, forme di previdenza complementare per il personale a rapporto d’impiego degli enti disciplinati dalla L. 20 marzo 1975, n. 70, ivi compresi gli enti privatizzati ai sensi del D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509, nel rispetto dei criteri finanziari stabiliti dal predetto decreto legislativo sulla base di aggiornate valutazioni attuariali.

2. A decorrere dal 1 ottobre 1999 i fondi per la previdenza integrativa dell’assicurazione generale obbligatoria per i dipendenti dagli enti ti cui al comma 1 del presente articolo nonchè la gestione speciale costituita presso l’INPS ai sensi del D.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, art. 75, sono soppressi, con contestuale cessazione delle corrispondenti aliquote contributive previste per il finanziamento dei fondi medesimi".

L’INFN fa discendere dall’assunto secondo cui il trattamento in oggetto avrebbe natura previdenziale integrativa l’impossibilità per il M. di esserne beneficiario, facendo principale riferimento al su riportato dalla L. n. 144 del 1999, art. 64, comma 2. 8.2 – Tale assunto e la conclusione che se ne trae appaiono, tuttavia, non condivisibili, come rilevato dalla Corte d’appello di Firenze.

Come si desume con chiarezza dalla lettura sia della disciplina generale in materia di previdenza integrativa contenuta nel D.Lgs. n. 124 del 1993 sia della speciale normativa dettata per la previdenza integrativa degli enti di cui alla L. n. 70 del 1975 tale tipo di previdenza viene concepito dal legislatore – secondo quanto risulta dallo stesso uso dell’aggettivo "integrativo" -come necessariamente collegato e/o coordinato con il sistema della previdenza obbligatoria e come destinato ad essere attuato da fondi, che fin dalla rispettiva inequivoca denominazione, risultino appositamente destinati ad erogare le relative prestazioni, correlate al pensionamento (non alla cessazione del rapporto in quanto tale).

Ciò è stato più volte sottolineato anche dalla giurisprudenza di questa Corte che ha posto in rilievo come, anche la disciplina speciale della L. n. 144 del 1999, art. 64, è stata dettata nella prospettiva di riequilibrare l’intero sistema "pensionistico" onde ricondurre la previdenza integrativa nell’ambito della gestione obbligatoria, secondo quanto affermato anche dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 393 del 2000 (vedi, per tutte: Cass. 9 settembre 2008, n. 23094 nonchè Cass. 15 febbraio 2005, n. 3009).

Nel trattamento previsto in favore dei dipendenti dell’INFN di cui si tratta, non si rinvengono i suddetti elementi qualificativi delle forme di previdenza complementare, sopra sinteticamente indicati.

Infatti, come riconosce lo stesso Istituto ricorrente, non solo dal punto di vista formale, la denominazione del relativo fondo è diversa da quella legislativamente prevista per le suddette forme previdenziali e non contiene alcun riferimento al pensionamento, ma risulta altresì che le prestazioni offerte, benchè possano avere contenuto genericamente previdenziale, siano dovute al lavoratore come prestazioni del datore di lavoro nell’ambito di una forma di previdenza interna a carattere aziendale, sia pure materialmente erogate dall’assicurazione INA in seguito all’accensione da parte dell’INFN di polizze singole per ciascun dipendente – con gestione, da parte dell’INA, per ragioni economico-finanziare, dei rispettivi premi in un unico fondo – alimentate da un premio annuo calcolato in misura percentuale della retribuzione lorda dei lavoratori interessati, corrisposto in parte dall’INFN stesso e in parte dai lavoratori stessi. Infatti le somme in tal modo raccolte hanno natura del tutto diversa da quella assunta dai contributi previdenziali perchè appartengono ai soggetti del rapporto di lavoro e costituiscono l’accantonamento di una parte della retribuzione a fini previdenziali, così assolvendo ad una funzione previdenziale (di cui all’art. 38 Cost.) non direttamente, ma solo per il tramite della retribuzione.

In particolare, ciò che emerge è che le prestazioni ottenibili dai dipendenti dell’INFN – anche nel corso del rapporto di lavoro – nonostante la possibile natura latamente previdenziale non risultano essere fornite da un ente specificamente e chiaramente finalizzato alla erogazione di provvidenze di carattere previdenziale, in base ad un titolo idoneo a far nascere un autonomo rapporto previdenziale, rispetto al quale il rapporto di lavoro sia configurabile come mero presupposto di fatto e non come momento genetico del diritto alle prestazioni (arg. ex Cass. SU 14 aprile 2010, n. 8831; Cass. 2 aprile 2007, n. 8200).

Ne consegue che la stretta inerenza sostanziale con il rapporto di lavoro, fa sì che le suddette somme siano da configurare come una parte della prestazione retributiva.

Di ciò si ha conferma, del resto, nella cospicua giurisprudenza delle Sezioni unite di questa Corte che, ai fini dell’individuazione del giudice dotato di giurisdizione in ordine a controversie analoghe alla presente aventi ad oggetto similari trattamenti corrisposti a dipendenti di enti compresi nella L. n. 70 del 1975, ha costantemente affermato che è necessario fare riferimento al giudice del rapporto attraverso l’applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69 (onde stabilire se vengano, o meno, dedotte situazioni giuridiche soggettive maturate anteriormente alla data del 30 giugno 1998) al fine di regolare i rapporti tra la giurisdizione del giudice ordinario e quella del giudice amministrativo (vedi, per tutte: Cass. SU 12 ottobre 2009, n. 21224, n. 21555, 21556; Cass. SU 14 aprile 2010, n. 8831). Viceversa, non risulta che sia stata presa in considerazione la giurisdizione della Corte dei conti (afferente la materia pensionistica del settore pubblico) e la specifica normativa che ne disciplina i rapporti con la giurisdizione ordinaria, che del resto neppure l’Istituto ricorrente ha menzionato nei precedenti gradi del presente giudizio.

E’, inoltre, da sottolineare che, come si è rilevato e come ripetutamente affermato dalla Corte costituzionale, la caratteristica principale e indefettibile dei contributi destinati ai fondi di previdenza complementare è l’estraneità rispetto alla nozione di retribuzione imponibile. Orbene, tale connotato non si riscontra rispetto al trattamento in oggetto perchè l’accensione delle polizze INA si configura come un beneficio accessorio del rapporto di lavoro, essendo collegato sia alla relativa retribuzione (per la determinazione della misura della parte di premio posta a carico del dipendente) sia all’anzianità lavorativa maturata (per l’entità delle prestazioni ottenibili). Ne deriva che alle relative erogazioni deve essere riconosciuta natura retributiva sia pure con funzione previdenziale, analogamente a quel che è stato affermato dalla giurisprudenza di questa Corte per i trattamenti integrativi aziendali, con riferimento al quadro normativo antecedente l’entrata in vigore della riforma della previdenza complementare, al quale può farsi riferimento nella specie (vedi, per tutte: Cass. SU 1 febbraio 1997, n. 974; Cass. 2 novembre 2001, n. 13558; Cass. 12 gennaio 2011, n. 545).

Nella descritta situazione risulta evidente che non hanno pregio neppure gli argomenti tratti dall’Istituto ricorrente: a) dalla disposta revoca – a decorrere dal 20 dicembre 1993 (data di approvazione ministeriale della deliberazione del Consiglio direttivo dell’INFN n. 4028 del 25 ottobre 1991, con la quale l’Istituto ha esercitato la facoltà di iscrivere il proprio personale alla CPDEL, in conformità con la legge n. 274 del 1991) – delle iscrizioni del personale dell’INFN all’INA, in considerazione della ritenuta incompatibilità della forma pensionistica offerta dalla CPDEL rispetto ad altre forme integrative; b) dal successivo trasferimento presso l’INPDAP (che ha sostituito ope legis le altre assicurazioni previdenziali per i dipendenti pubblici) delle iscrizioni alla CPDEL, in seguito all’entrata in vigore del D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 479;

c) dalla possibilità, prevista dal suddetto D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 18, per i dipendenti già iscritti ai fondi diversi, di optare per l’iscrizione ai fondi integrativi costituiti presso l’ente di appartenenza.

Va, infatti, osservato che tutte le citate disposizioni riguardano, con modalità rispettivamente diverse, rapporti tra trattamenti tutti ugualmente di natura previdenziale e si possono considerare espressione del principio secondo cui non possono coesistere per lo stesso rapporto di lavoro una pluralità di forme assicurative direttamente o indirettamente correlate con il sistema della previdenza obbligatoria. Esse, pertanto, in questa ottica, del tutto razionalmente sono finalizzate a favorire o imporre la costituzione di un’unica posizione assicurativa per ciascun lavoratore.

Ne consegue che esse rispondono ad una logica diversa rispetto a quella (di tipo retributivo, sia pure con le rilevate particolarità) cui va riferito il trattamento in oggetto.

8.3- Dalle esposte considerazioni si desume che la sentenza attualmente impugnata ha fatto corretta applicazione della complessa normativa di riferimento e della giurisprudenza che su di essa si è formata, dandone conto con congrua e logica motivazione, la quale, pur essendo piuttosto sintetica, consente di individuare in modo chiaro l’iter logico-argomentativo che sorregge la decisione e non presenta alcun profilo di manifesta illogicità o insanabile contraddizione.

3- Conclusioni 9- In conclusione, tutti i motivi del ricorso devono essere rigettati. Può essere formulato il seguente principio di diritto:

"Il trattamento previsto in favore del personale dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, per effetto di polizze assicurative attivate, in base alla convenzione sottoscritta in data 1 luglio 1963, singolarmente per ciascun dipendente, dallo stesso Istituto presso la compagnia di assicurazioni INA – gestito, da parte dell’INA, attraverso un unico fondo, comprensivo dei diversi premi – alimentate con un premio annuo calcolato in misura percentuale della retribuzione lorda dei lavoratori interessati (corrisposto in parte dall’INFN stesso e in parte dai lavoratori stessi) non ha natura di trattamento di previdenza integrativa. Infatti non solo, come risulta anche dalla stessa denominazione del suddetto fondo, le relative prestazioni non sono esclusivamente correlate al pensionamento, ma l’accensione delle suindicate polizze INA si configura come un beneficio accessorio del rapporto di lavoro, perchè è collegato sia alla relativa retribuzione (per la determinazione della misura della parte di premio posta a carico del dipendente) sia all’anzianità lavorativa maturata (per l’entità delle prestazioni ottenibili)".

Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna l’Istituto ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in Euro 40,00 per esborsi, Euro 2500,00 (duemilacinquecento/00) per onorari di avvocato, oltre IVA, CPA e spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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