Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 14-06-2011) 05-10-2011, n. 36179

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – La Corte d’Appello di Reggio Calabria, quale giudice dell’esecuzione, con ordinanza deliberata il 16 dicembre 2010:

a) in accoglimento della richiesta proposta dal Procuratore Generale della sede, revocava il beneficio della sospensione condizionale concesso a G.V. dal Tribunale di Locri con sentenza – deliberata il 21 dicembre 2005 e divenuta irrevocabile il 4 maggio 2010 – di condanna alla pena di anni due di reclusione ed Euro 6000,00 di multa inflitta per concorso in usura, relativa a fatti commessi in (OMISSIS), a ragione del rilievo che il predetto aveva riportato altra sentenza di condanna (emessa il 22 maggio 2009 dalla Corte adita e divenuta definitiva il 21 maggio 2010), per un delitto (usura) anteriormente commesso (nel 1997, con condotta permanente sino al 1999) ad una pena (anni uno e mesi sei di reclusione ed Euro 3000,00 di multa) che, cumulata a quella precedentemente sospesa, superava il limite di pena previsto dall’art. 163 cod. pen.;

b) in parziale accoglimento dell’istanza proposta nell’interesse del G., ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., diretta ad ottenere l’applicazione della disciplina della continuazione con riferimento ai reati oggetto delle due sentenze di condanna, precedentemente indicate, con conseguente determinazione di pena in misura tale da consentirne la sospensione condizionale, ravvisato il vincolo della continuazione, stimava "equo" rideterminare, però, la pena complessiva in anni due e mesi sei di reclusione, individuando quale pena base per la violazione più grave (il fatto di usura giudicato con la prima sentenza del 21 dicembre 2005) quella di mesi ventuno di reclusione ed Euro 4500,00 di multa, aumentata di un mese di reclusione ed Euro 500,00 di multa, per ciascuno dei tre episodi ritenuti in continuazione "interna", ulteriormente aumentata di mesi sei di reclusione ed Euro 1000,00 di reclusione, per l’ulteriore episodio di usura, oggetto della seconda condanna.

2. – Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il G., per il tramite del suo difensore, deducendone l’illegittimità:

– con un primo motivo, per violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento alla decisione del giudice dell’esecuzione di non rideterminare la pena complessiva in misura inferiore ad anni due di reclusione, così da escludere la revoca della sospensione condizionale, evidenziando al riguardo: a) che tale decisione doveva ritenersi contraria al principio del favor rei, tenuto conto che la scelta di non contestare nel primo procedimento anche l’episodio di usura oggetto della seconda condanna, sebbene la configurabilità dello stesso fosse emersa già in sede d’istruzione del primo procedimento, era stata fortemente penalizzante per il ricorrente; b) che il giudice dell’esecuzione non aveva motivato in alcun modo la sua decisione sul punto;

– con il secondo motivo, per violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento alla determinazione di un aumento di mesi sei di reclusione della pena base, con riferimento all’episodio di usura di cui alla seconda sentenza di condanna, sia perchè gli aumenti di pena per i fatti ritenuti in continuazione interna risultavano stabiliti in mesi uno di reclusione, sia perchè mancava qualsiasi motivazione in ordine a tale scelta, ritenuta dal ricorrente contraria al principio del favor rei.

3. – Il Procuratore Generale presso questa Corte nella sua requisitoria scritta, ha richiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata limitatamente alla determinazione in mesi sei di reclusione dell’aumento di pena per il delitto di usura oggetto del secondo procedimento, non avendo il giudicante fornito alcuna motivazione al riguardo, malgrado l’espressa richiesta dell’istante di contenimento della pena nei limiti che consentissero la sospensione condizionale e nonostante l’adozione di aumenti differenziati di pena, con riferimento a reati (usura) ritenuti in continuazione, di tipo "omogeneo" rispetto al bene giuridico tutelato.

Motivi della decisione

1. – L’impugnazione proposta nell’interesse del G., è basata su motivi infondati e va quindi rigettata.

1.1. – Privo di fondamento risulta, anzitutto, il primo motivo d’impugnazione dedotto, dovendo escludersi che la mancata riunione in sede di cognizione dei diversi procedimenti promossi nei confronti del G. per fatti di usura dallo stesso commessi in tempi diversi, possa costituire, da solo, argomento sufficiente a comportare, automaticamente, una rideterminazione della pena complessiva in termini tali da consentire la sospensione condizionale della pena inflitta al reo, e ciò sia perchè il provvedimento di riunione ha natura discrezionale ed in ricorso neppure si precisa se una istanza di riunione dei diversi procedimenti fosse stata avanzata nè le ragioni per cui la stessa, ove effettivamente proposta, non sia stata accolta; sia anche perchè costituisce solo una congettura del ricorrente che in caso di riunione dei due procedimenti la pena sarebbe stata poi effettivamente contenuta, nonostante la reiterazione delle condotte, in misura tale da consentire la concessione del beneficio invocato.

1.2. – Infondata deve ritenersi, altresì, anche la seconda censura prospettata al ricorrente.

In proposito va anzitutto osservato, infatti, che nel procedimento di esecuzione, come ripetutamele affermato da questa Corte (si veda ex multis Sez. 1, Sentenza n. 39306 del 21/10/2008, Rv. 241145), quando riconosca il vincolo della continuazione tra reati considerati In più sentenze o decreti di condanna, il giudice è soggetto, nella determinazione della pena, al solo limite indicato nell’art. 671 cod. proc. pen., comma 2 (consistente nella somma di tutte le pene Inflitte con i provvedimenti considerati), ma non a quello fissato all’art. 31 cod. pen., comma 2, (il triplo della pena relativa alla violazione più grave), trovandosi le due norme in concorso apparente (con prevalenza della prima sulla seconda in applicazione del principio di specialità enunciato all’art. 15 c.p.), e che nell’ipotesi in cui la determinazione della pena, rispettosa del predetto limite, non si discosti di molto dai minimi edittali, il giudice ottempera all’obbligo motivazionale di cui all’art. 125 c.p.p., comma 3, adoperando espressioni come "pena congrua", "pena equa", "congruo aumento". Soltanto allorquando ritenga, invece, di determinare l’entità della pena in misura non prossima ai minimi edittali, egli deve evidenziare concretamente le ragioni per cui ha così quantificato la pena, facendo ricorso a tutti o ad alcuni dei parametri di cui all’art. 133 cod. pen., non potendo la motivazione esaurirsi nel ricorso a delle mere clausole di stile.

Orbene l’impugnata ordinanza si è attenuta a tali principi, precisando che la pena complessiva ritenuta "equa" andava determinata in anni due e mesi sei, così riducendo in maniera significativa, in applicazione del principio del favor rei, quella massima conseguente alla mera sommatoria delle pene inflitte in sede di cognizione, espressamente precisando che il superamento dei limiti di cui all’art. 163 cod. pen. ostava "al riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale", sicchè nessun vizio di motivazione può fondatamente ravvisarsi relativamente alla rideterminazione della pena.

2. – Il rigetto del ricorso comporta le conseguenze di cui all’art. 616 cod. proc. pen. in ordine alla spese del presente procedimento.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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