Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 14-06-2011) 05-10-2011, n. 36171

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – La Corte di Appello di Reggio Calabria, con sentenza deliberata l’8 luglio 2010, definendo in grado di appello il procedimento promosso nei confronti di N.R., riduceva ad anni 4 (quattro) di reclusione, la pena complessiva inflitta in primo grado dal GUP del Tribunale di Palmi, previa concessione dell’attenuanti generiche e di quella della provocazione, al predetto imputato, ritenuto colpevole, all’esito di giudizio abbreviato, del reato di tentato omicidio in danno di A.G., fatto commesso in (OMISSIS).

1.1 – Secondo la ricostruzione dei Giudici di merito – basta sulle dichiarazioni rese dalle persone escusse a sommarie informazioni testimoniali e sulle stesse ammissioni dell’imputato rese in sede di convalida del suo arresto – il N., allontanatosi dalla propria abitazione dopo aver subito l’ennesima ingiuria dall’ A. (che al suo passaggio aveva sputato per terra), vi aveva poco dopo fatto ritorno, ed impugnata la pistola semiautomatica da lui legittimamente detenuta, si era diretto verso la porta finestra dell’abitazione di colui che lo aveva ingiuriato, esplodendo in direzione della stessa e di altra finestra prospiciente la pubblica via, quattordici colpi, uno dei quali attingeva la persona offesa alla regione laterale destra del collo, ferendolo gravemente.

1.1.1 – La Corte territoriale, per quanto ancora rileva nel presente giudizio, riteneva infatti "non credibile" la tesi difensiva secondo cui la condotta dell’imputato, doveva qualificarsi come "un gesto di rappresaglia senza intento omiddiario" e di contro corretta la valutazione espressa dal giudice di prime cure, secondo cui la condotta del N., era stata invece sorretta "dal necessario elemento psicologico … ricostruito in termini di dolo diretto alternativo", avendo l’imputato "voluto l’evento e non semplicemente accettato il rischio del suo verificarsi".

Sul punto da parte dei giudici di appello si evidenziava, in particolare, che la valutazione in tal senso espressa dal primo giudice non poteva ritenersi "apodittica", fondandosi essa, al contrario, su "dati oggettivi", desunti da precise risultanze processuali: esplosione dei colpi senza preavviso; consapevolezza dell’Imputato circa la presenza in casa della persona offesa e di un suo "posizionamento" in un luogo raggiungibile dai colpi esplosi;

direzione dei colpi; esplosione degli stessi in sequenza ed in numero elevato; parti del corpo della vittima attinte dai colpi (regione laterale destra); altezza dei fori rinvenuti nelle finestre ed all’interno della finestra.

Con specifico riferimento, poi, alla ritenuta consapevolezza dell’imputato circa la presenza in casa della persona offesa e del suo "posizionamento" in un luogo raggiungibile dai colpi esplosi, i giudici di merito pervenivano a tale conclusione valorizzando sia la circostanza – riferita dallo stesso Imputato – che costui era solito sostare dietro la finestra "per spiare la gente", sia, soprattutto il dato fattuale che il N., solo poco tempo prima di far fuoco, aveva sentito l’ A. "inspirare fortemente, per poi sputare nella sua direzione". Ritenevano pure i giudici di appello assolutamente incongruo, l’argomento prospettato dall’appellante per escludere un’effettiva volontà omicida, secondo cui l’imputato, al momento di sparare, avrebbe fatto affidamento sull’agilità della persona offesa, ultrasessantenne, nello schivare dei colpi sparati in sequenza ed all’improvviso.

1.1.2 – Quanto poi alla decisione di ridurre la pena inflitta in primo grado – anni 5 (cinque) e mesi 6 (di reclusione) – ad anni 4 (quattro) di reclusione, operando la massima riduzione per effetto delle già concesse attenuanti generiche della pena base stabilita dal prima giudice – anni 12 (dodici) di reclusione – la Corte territoriale precisava che l’entità della pena così determinata appariva quella più "proporzionata" al fatto, avuto riguardo alla personalità dell’imputato, all’intensità del dolo ed alla necessità di adeguare la gravità della pena al caso concreto, precisando, per altro, che la condotta complessiva tenuta dall’Imputato, non giustificava una pena base attestata al minimo edittale.

2. – Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per Cassazione il difensore del N. chiedendone l’annullamento, per violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento sia alla qualificazione giuridica della condotta ascritta all’imputato come tentato omicidio, con specifico riferimento alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo della fattispecie ascritta in rubrica ed all’idoneità dell’azione, sia alla ritenuta irriducibilità della pena inflitta al minimo edittale.

2.1 – Più specificamente la difesa, quanto alla prima questione dedotta, denuncia violazione degli artt. 56 e 575 cod. pen. e difetto di motivazione, mancando nella sentenza impugnata l’indicazione di elementi effettivamente idonei a dimostrare, anche sotto il profilo della adeguatezza dell’azione, l’effettiva volizione dell’evento mortale da parte dell’imputato. Inoltre, sostiene il ricorrente, è contraddittorio attribuire rilevanza, ai fini della ricostruzione dell’episodio, alle dichiarazioni dell’imputato, ed ignorare, poi, quanto dallo stesso sostenuto in sede d’interrogatorio, e cioè che al momento di fare fuoco, l’ A. non era affacciato alla finestra della propria abitazione e che nè la persona offesa nè la sorella di questi, M., erano visibili ai suoi occhi; trattandosi, oltretutto, di circostanza confermata anche dai testi escussi ed in particolare dalla sorella della persona offesa. Una corretta valutazione delle risultanze processuali, quindi, si sostiene in ricorso, avrebbe dovuto senz’altro condurre ad una qualificazione della condotta contestata al N., in termini di lesioni colpose e danneggiamento.

Motivi della decisione

1. – L’impugnazione proposta nell’interesse del N. è basata su motivi infondati e va quindi rigettata.

Tutte le deduzioni difensive svolte nel ricorso, volte a confutare la sussistenza di elementi di prova sufficienti a dimostrare, oltre ogni ragionevole dubbio, la penale responsabilità del ricorrente e l’esattezza della qualificazione in termini di tentato omicidio della condotta allo stesso contestata, si risolvono, infatti, nella sostanziale riproposizione, in sede di legittimità, di questioni già esaminate e decise dai giudici di merito, con argomentazioni immuni da vizi logici o giuridici. Al riguardo non è superfluo ricordare che questa Corte ha da tempo chiarito, in tema di vizi della motivazione, che "il controllo di legittimità … non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile …. con i limiti di una plausibile opinabilltà di apprezzamento" (In tale senso, ex multis, Sez. 5, Sentenza n. 1004 del 31/1/2000, Rv. 215745).

1.1 – Applicando tali principi al caso in esame, e ribadito che il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all’affidabilità delle fonti di prova, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti (così Cass., Sez. U, Sentenza n. 930 del 29/01/1996, Rv. 203428), è agevole rilevare come nessun profilo di Illegittimità è fondatamente ravvisarle nella decisione impugnata. In particolare la Corte territoriale – come già illustrato nel paragrafo 1.1 – ha fornito più che adeguate e logiche motivazioni in merito alla sussistenza, nel caso in esame, di tutti gli elementi costitutivi, tanto oggettivi che soggettivi, della contestata fattispecie.

Ed invero la Corte territoriale, nell’evidenziare che il N., per sua stessa ammissione, il 20 gennaio 2009, poco dopo aver subito l’ennesima ingiuria dell’ A., ebbe ad esplodere, senza preavviso, quattordici colpi di pistola, diretti verso gli infissi (finestra e porta finestra) dell’abitazione del suo offensore, ha diffusamente argomentato sulle ragioni per cui le dichiarazioni dei testi, i rilievi obiettivi (ritrovamento di uno dei colpi conficcatisi su di una parete ad una altezza da terra di circa un metro e mezzo), dovevano ritenersi elementi univocamente dimostrativi di una volontà dell’imputato di produrre, alternativamente, quali esiti altamente probabili della condotta da lui posta in essere, il ferimento o la morte della persona offesa.

In presenza di un siffatto quadro probatorio e di una approfondita disamina dello stesso da parte dei giudici di appello, infondate si rilevano dunque le deduzioni difensive sviluppate in merito alla insufficienza ed incompletezza degli elementi di prova ed a pretese insufficienze motivazionali nella valutazione degli stessi. In particolare del tutto incongruo si rivela il riferimento contenuto in ricorso, ad una mancata consapevolezza da parte dell’imputato della presenza nell’abitazione della persona offesa anche della sorella M., vuoi perchè al N. non si imputa di aver compiuti atti diretti a cagionare la morte anche di A.M., si anche perchè, tale circostanza, non è idonea di per sè ad escludere la configurabilità, nel caso in esame, dell’elemento psicologico del reato nelle forme, si badi, non già del dolo eventuale, del quale è stata esclusa la configurabilità, ma di un dolo alternativo, nel senso che il ricorrente, proprio perchè convinto che la donna, verso la quale non nutriva particolare risentimento, non era in casa, può aver previsto e voluto alternativamente, con scelta sostanzialmente equipollente, il ferimento della persona offesa o la sua uccisione.

Quanto poi all’asserita idoneità ed inequivocità dell’azione del N., nessuna rilevante inadeguatezza argomentativa può fondatamente ravvisarsi nella sentenza impugnata, avendo i giudici di appello valorizzato, al riguardo, alcuni dati inconfutabili, quali, si ribadisce, il contesto in cui l’episodio si inseriva, il tipo di arma utilizzata (una pistola) e la distanza relativamente ridotta esistente tra l’imputato e la persona offesa. Elementi questi, rispetto ai quali, la semplice rilevazione ex post del fallimento dell’azione, e l’asserita inconsapevolezza della presenza dell’ A. nel luogo In direzione del quale i colpi vennero sparati, non possono ritenersi argomenti sufficienti per considerare lacunoso o illogico il percorso argomentativo sviluppato dai giudici di merito, che si rivela, al contrario, del tutto aderente alle risultanze processuali.

2. – Infondata deve ritenersi, altresì, anche la seconda censura sviluppata in ricorso, relativa alla mancata riduzione della pena inflitta al minimo edittale, ove si consideri che il giudice non è tenuto a dar conto di tutti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. nell’ambito della valutazione della fattispecie criminosa sottoposta al suo esame, al fine del giudizio di valenza tra attenuanti ed aggravanti e della gradazione della pena, bensì unicamente di quelli, tra essi, cui specificamente si riferisce (in tal senso ex multis, Sez. 2, Sentenza n. 5787 del 16/04/1993, dep. Il 09/06/1993, imp. Croci, Rv. 194056) e che nel caso in esame i giudici di appello hanno fornito più che adeguata spiegazione delle ragioni che ostavano all’applicazione del minimo edittale, facendo riferimento alla natura del reato ed alla sua gravità, nonchè all’intensità del dolo.

2. – Il rigetto del ricorso comporta le conseguenze di cui all’art. 616 cod. proc. pen. in ordine alla spese del presente procedimento.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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