Cass. civ. Sez. VI, Sent., 02-03-2012, n. 3351 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Rilevato che L.P.M. ricorre per cassazione nei confronti del decreto della Corte d’appello di Genova, in epigrafe indicato, che, liquidando Euro 6.000,00 per anni sei di ritardo, ha accolto parzialmente la domanda di riconoscimento dell’equa riparazione per violazione dei termini di ragionevole durata del procedimento relativo al fallimento della Capital Italia s.r.l. svoltosi avanti al Tribunale di Lucca e nell’ambito del quale erano decorsi circa diciotto anni dalla data della presentazione da parte del ricorrente della domanda di ammissione al passivo;

che il Ministero della giustizia resiste con controricorso;

che in prossimità dell’udienza le parti hanno depositato memorie illustrative.

Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione semplificata;

Ritenuto che, preliminarmente, non si ravvisano le condizioni per la riunione dei ricorsi proposti avverso decisioni diverse, giacchè – a differenza dei casi esaminati con le sentenze n. 13377 del 2011, n. 18693 del 2011 e n. 23831 del 2011 – le pretese delle parti, pur traendo origine dalla durata, ritenuta eccessiva, della stessa procedura fallimentare, presentano elementi di differenziazione in punto di data della domanda di insinuazione al passivo e di conseguente durata del processo presupposto al quale ciascuna di esse ha partecipato, talora anche con diversa posizione e assistenza defensionale;

che priva di fondamento è l’eccezione di parte resistente circa l’inammissibilità del ricorso perchè proposto oltre il termine previsto dall’art. 325 c.p.c.: invero in atti non vi è prova della dedotta notificazione del decreto, bensì della sua sola comunicazione all’odierno ricorrente da parte della Cancelleria della Corte d’appello, comunicazione evidentemente inidonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione;

che con i primi sei motivi si censura l’impugnato decreto, sotto il profilo della violazione di legge e del difetto di motivazione, nella parte in cui ha ritenuto ragionevole una durata della procedura de qua di dodici anni;

che la censura è fondata, nei limiti di seguito precisati;

che, in tema di ragionevole durata del procedimento fallimentare e tenendo conto della sua peculiarità, il termine è stato ritenuto elevabile fino a sette anni allorquando il procedimento si presenti particolarmente complesso: ipotesi, questa, che è ravvisabile in presenza di un numero particolarmente elevato dei creditori, di una particolare natura o situazione giuridica dei beni da liquidare, di proliferazione di giudizi connessi nella procedura ma autonomi (e quindi a loro volta di durata vincolata alla complessità del caso), di pluralità di procedure concorsuali indipendenti;

che, sebbene la procedura in questione – come già riconosciuto da questa Corte in fattispecie identica (Sez. 1^, 14 novembre 2011, n. 23831) – si presenti senz’altro di particolare complessità, non è conforme al richiamato principio il decreto impugnato che ha ritenuto di poter individuare un termine di durata ragionevole superiore ai setti anni;

che l’accoglimento degli esaminati motivi e la necessità di rideterminare, insieme al periodo di irragionevole durata, l’ammontare dell’indennizzo e di regolare le spese, comporta l’assorbimento degli ulteriori motivi;

che il ricorso va dunque accolto nei limiti di cui in motivazione;

che non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito;

che va fatta applicazione della giurisprudenza di questa Corte (Sez. 1^, 14 ottobre 2009, n. 21840), a mente della quale l’importo dell’indennizzo può essere di Euro 750,00 per anno per i primi tre anni di durata eccedente quella ritenuta ragionevole, in considerazione del limitato patema d’animo che consegue all’iniziale modesto sforamento, mentre solo per l’ulteriore periodo deve essere richiamato il parametro di Euro 1.000,00 per ciascun anno di ritardo;

che, pertanto, il Ministero della giustizia deve essere condannato al pagamento di Euro 10.250,00 a titolo di equo indennizzo per il periodo di undici anni di irragionevole durata, quale risulta sottraendo dalla durata complessiva di anni diciotto quella, da ritenersi ragionevole, di anni sette;

che su tale somma sono dovuti gli interessi legali dalla data della domanda, in conformità ai parametri ormai consolidati ai quali questa Corte si attiene nell’operare siffatte liquidazioni;

che le spese di entrambi i gradi – liquidate come da dispositivo – seguono la soccombenza, ravvisandosi giustificati motivi per la compensazione della metà delle spese del giudizio di cassazione, essendo il ricorso accolto in parte.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della giustizia a corrispondere a L.P.M. la somma di Euro 10.250, con interessi legali a decorrere dalla data della domanda, nonchè al pagamento delle spese processuali, liquidate, quanto al giudizio di merito, in complessivi Euro 1.140,00 (di cui Euro 490,00 per onorari ed Euro 600,00 per diritti), e, quanto al giudizio di legittimità, previa compensazione della metà, nell’importo, ridotto per effetto della compensazione, di Euro 482,50 (di cui Euro 50,00 per esborsi), oltre, in ambo i casi, alle spese generali e agli accessori di legge, con distrazione, limitatamente al giudizio di merito, in favore del difensore antistatario.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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