Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 01-06-2011) 05-10-2011, n. 36159

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Napoli in funzione di Giudice del Riesame, con ordinanza del 16 febbraio 2011, ha annullato il decreto del 13 gennaio 2011 del GIP del medesimo Tribunale con il quale, nell’ambito del procedimento penale anche a carico di G.G. e G.P. per concorso nel delitto di cui alla L. n. 356 del 1992, art. 12 quinquies quali intestatari fittizi per conto di G.S., indagato a sua volta per associazione a delinquere di stampo camorristico e appartenente al cd. clan Maliardo, era stata applicata la misura cautelare reale del sequestro preventivo di quote societarie.

2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Pubblico Ministero lamentando, con unico articolato motivo, una violazione di legge e una motivazione illogica in merito all’esistenza dei presupposti cautelari di cui all’art. 321 c.p.p. con riferimento, in particolare, al fumus dell’ascritto reato presupposto al Gr..

Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato e merita accoglimento.

2. L’impugnata ordinanza fonda l’annullamento della misura cautelare reale in danno degli odierni ricorrenti, quali intestatari fittizi di beni, sul venir meno del presupposto della cd. "mafiosità" di Gr.Sa., effettivo titolare di tali beni, in quanto la gravità degli indizi dell’appartenenza di quest’ultimo ad un clan camorristico era stata affermata sulla sola base delle dichiarazioni di due collaboratori di giustizia, V.G. e I. S., mentre gli accertamenti patrimoniali erano stati effettuati proprio e soltanto per l’applicazione della contestata misura reale.

3. In diritto giova premettere, come la pacifica giurisprudenza di questa stessa Sezione affermi che il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio sia ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli "errores in iudicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal Giudice (v. Cass. Sez. 5 13 ottobre 2009 n. 43068).

4. Orbene, all’evidenza, l’indicata motivazione dell’impugnata ordinanza appare essere sicuramente contraddittoria proprio sul punto della "impermeabilità" ovvero della incomunicabilità degli indizi attinenti agli aspetti patrimoniali rispetto agli altri, concernenti la dimostrazione del reato di partecipazione del Gr. all’associazione camorristica cd. clan Maliardo, che, di converso sono contraddette e smentite dall’ineludibile e inscindibile collegamento e reciproco condizionamento di tutti i risultati delle indagini, sia pur svolte sui diversi piani dell’accusa.

Tale naturale e indissolubile intreccio dei risultati delle indagini, annunciato peraltro nell’imputazione formulata dagli organi inquirenti, è confermato e fatto proprio dall’ordinanza del GIP, che descrive un’attività partecipativa, ai sensi dell’art. 416 bis c.p., fondamentalmente consistente in attività imprenditoriali (compravendite immobiliari, gestione delle imprese nel campo della ristorazione, speculazioni finanziarie), dimostrabili solo dando un fondamentale rilievo agli accertamenti economici e patrimoniali.

Il Gr. viene, invero e conclusivamente, descritto nel capo A) come un soggetto "dedito allo sviluppo delle attività imprenditoriali necessarie per investimenti del sodalizio e per il reimpiego di provviste illecite, soprattutto nel settore commerciale e della ristorazione, in guisa da consentire alla stessa organizzazione di trarre ingenti profitti da tali attività economiche".

Questa posizione di imprenditore occulto, all’interno dell’organizzazione criminale, non può non dirsi dimostrata dai risultati delle indagini patrimoniali, che hanno giustificato un’area di ricchezza del tutto ingiustificata, riversata nel settore immobiliare, imprenditoriale e finanziario.

Tutto ciò è sufficiente, in uno con l’intestazione ad amici e parenti originariamente e autonomamente non abbienti, per dar vita al complesso d’indizi rilevanti, ai sensi dell’art. 273 c.p.p., in ordine al contestato reato di riciclaggio di cui al D.L. n. 306 del 1992, art. 12 quinquies.

La dimensione anomala di questa ricchezza, alla luce degli indiscutibili rapporti con l’ambiente criminale camorristico così come denunciato dai collaboratori di giustizia e in assenza di profili storici di smentita, la dimensione criminale, ex art. 416 bis c.p., della vasta ricchezza del Gr. non possono essere ignorate.

Da un lato, infine, non può negarsi, in uno con il complesso delle propalazioni dei collaboratori, la sicura qualità di base indiziaria in quanto dianzi esposto mentre, d’altra parte, le carenze delle chiamate in reità evidenziate nell’impugnata ordinanza, perdono decisiva rilevanza nella misura in cui alle dichiarazioni accusatorie siano riconosciute una funzione di spunto e una dimensione di frammenti per un complesso e multiforme quadro indiziario.

Si configura, quindi, la grave carenza motivazionale dell’ordinanza impugnata che, in maniera del tutto ingiustificata e contraddittoria, sia sul piano logico che sul piano dell’adeguato esame delle risultanze processuali, non da rilievo agli indicati accertamenti economici, nonostante l’indiscutibile dimensione degli stessi.

5. Alla luce di quanto fin qui esposto, in definitiva, l’impugnata ordinanza deve essere annullata con rinvio al Tribunale di Napoli per nuovo esame.

P.Q.M.

La Corte annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Napoli per nuovo esame.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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