Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 01-06-2011) 05-10-2011, n. 36142

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza 12.2.2010, La corte di appello di Bologna ha confermato la sentenza 14.3.05 del tribunale della stessa sede con la quale P.B. è stato condannato alla pena di tre anni e due mesi di reclusione e alla conseguenti pene accessorie, perchè ritenuto responsabile dei seguenti reati, uniti dal vincolo della continuazione, A reato ex artt. 110, 216, in relazione all’art. 223, perchè, quale amministratore di fattorino al 20.9.1990, amministratore unico, fino 6.10.1993, e liquidatore, fino al 30.11.1995 della SIRIO, Centro di Medicina Alternativa srl. dichiarata fallita il (OMISSIS), concedendo, in data 17.5. e 1.10.1990, un finanziamento di L. 452 milioni alla Gemiral srl, poi denominata LAST BANK srl, distraeva la suddetta somma;

B. reato ex art. 110 c.p. L.Fall., art. 223 cpv, n. 2, perchè con la condotta sopra indicata cagionava il fallimento della SIRIO srl;

C, del reato L. Fall., ex artt. 216,219, 223 perchè nelle suindicate qualità, distraeva 96 cambiali, del complessivo importo di L. 48 milioni, girate dal beneficiario LAST BANK,alla società Sirio, documentazione contabile relativa alla Sirio; atti notarili, verbali di assemblea relativi a mutui IMER, altri documenti.

Il P. ha presentato ricorso per i seguenti motivi;

1. mancata assunzione di prova decisiva costituita dalla testimonianza di T.M.: i giudici di merito hanno ritenuto,in maniera erronea e immotivata, la superfluità della teste, che avrebbe dovuto riferire "sulle modalità di svolgimento dei fatti per cui è processo" e "circa la precipua posizione del P.B. e di L.T.". 2. violazione di legge in riferimento alla L. Fall., art. 217: la corte di appello ha affermato sbrigativamente la questione della reità del ricorrente, senza nemmeno prendere in considerazione che potesse contestarsi l’ipotesi colposa e non quella dolosa.

3. illogicità della motivazione e violazione dell’art. 192 c.p.p., comma 2: l’accusa è stata formulata in base ad indizi, che non risultano essere gravi, precisi e concordanti, nè sono rinvenibili i passaggi argomentativi attraverso i quali il giudice è giunto al suo convincimento. La corte di merito, ripercorrendo pedissequamente le argomentazioni della prima sentenza, non ha motivato la condanna del P.. Anche la mancata concessione delle attenuanti generiche non è stata giustificata adeguatamente, ma risulta fondata su pregiudizi.

I motivi del ricorso sono manifestamente infondati, in quanto contengono rilievi critici nei confronti della ricostruzione dei fatti e della loro qualificazione giuridica, che sono stati compiuti dai giudici di merito con perfetta aderenza alle risultanze processuali e con irreprensibile valutazione razionale di queste ultime.

La testimonianza richiesta dal ricorrente è stata ritenuta irrilevante dai giudici di merito, a fronte del completa forza dimostrativa delle prove formate ed acquisite nel corso dell’istruttoria dibattimentale. Correttamente la corte ha rilevato,inoltre, che la testimonianza della T. è stata richiesta e ribadita con riferimento a generiche circostanze.

Pienamente legittima è stata quindi l’ordinanza di revoca da parte del tribunale. La corte ha poi rilevato che, successivamente allo svolgimento dell’istruttoria dibattimentale, la difesa non ne ha ulteriormente chiesto l’audizione, eventualmente utile ai fini di contrastare o chiarire gli elementi probatori emersi a carico del P.. Quindi l’attuale doglianza è del tutto infondata e pretestuosa. Del tutto generica è stata in sede di motivi di appello e in sede del motivo di ricorso la prospettazione di mancanza dell’elemento psicologico del dolo, a fronte dell’accertato ruolo del P. di esclusivo protagonista in tutte le illecite ed anomale iniziative aziendali e finanziarie della Sirio in favore della Gemiral (entrambe amministrate di fatto dal P.) e della chiara efficacia negativa delle stesse sulla situazione economica della prima. Quanto all’accertato possesso illecito, da parte del P., delle cambiali e dell’altra documentazione di cui al capo di imputazione, la sentenza impugnata ha messo in evidenza come la tesi difensiva della mera dimenticanza della loro consegna al curatore sia stata oggettivamente smentita dal rinvenimento dei documenti non nei locali della società, ma nell’abitazione dell’imputato, a seguito di perquisizione, avvenuta successivamente alla ufficiale consegna, da parte del P., della documentazione della società fallita al curatore.

Quanto alla doglianza sui criteri di valutazione degli elementi acquisiti, va rilevato che, alla luce del suindicato quadro probatorio, risulta evidente che il ricorrente, pur denunziando formalmente una violazione di legge in riferimento ai principi di valutazione, ex art. 192 c.p.p., comma 2, non critica in realtà la violazione di specifiche regole preposte alla formazione del convincimento del giudice, bensì pretende la rilettura del quadro probatorio e, con esso, il sostanziale riesame nel merito. Tale doglianza è quindi inammissibile, in sede di verifica della legittimità del percorso giustificativo della decisione impugnata, che è fondata su una compatta e in equivoca serie di prove dirette, di carattere dichiarativo e documentale.

Quanto alla censura sul diniego della concessione delle attenuanti generiche, va rilevato che il giudice di appello ha correttamente esercitato il potere discrezionale riconosciutogli dalla legge e, senza ricorrere a un’analitica valutazione di tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli, indicati dalle parti o desunti dalle risultanze processuali, ha indicato gli elementi ritenuti decisivi e rilevanti. (sez. 1, 21.9.1999, n. 12496, in Cass. Pen. 2000, n. 1078, p. 1949).

Nel caso in esame,non è quindi censurabile la motivazione della sentenza impugnata, laddove fa riferimento alla spiccata capacità a delinquere, dimostrata, ex art. 133 c.p., comma 2, n. 2, dai precedenti penali dell’imputato.

Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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