T.A.R. Lazio Roma Sez. II quater, Sent., 03-11-2011, n. 8420

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con il ricorso in epigrafe, il ricorrente ha impugnato il provvedimento con il quale è stata respinta la domanda di rilascio del permesso di soggiorno a seguito di emersione di lavoro irregolare ai sensi della L. 102/09. Il provvedimento di rigetto è motivato con riferimento alla condanna subita dal ricorrente per il reato previsto dall’art. 14 comma 5 ter del D.Lgs. 286/98, ritenuta dall’Amministrazione ostativa alla legalizzazione del lavoro irregolare.

Sulla questione della ostatività della condanna per il reato previsto dall’art. 14 comma 5 ter del D.Lgs. 286/98 alla regolarizzazione si erano registrati diversi orientamenti della giurisprudenza amministrativa, cosicché la questione era stata rimessa all’adunanza plenaria.

L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con decisione n. 8 del 10 maggio 2011, ha affermato che, in conformità a quanto affermato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea con la sentenza 28 aprile 2011, in causa C61/11, dovesse ritenersi immediatamente applicabile anche nel territorio italiano la direttiva 2008/115, posto che era inutilmente decorso il termine fissato per il recepimento da parte dello Stato italiano e che le disposizioni di cui agli art. 15 e 16 si presentavano sufficientemente precise ed incondizionate.

Pertanto, la Plenaria ha ritenuto, sempre secondo quanto statuito dalla Corte di giustizia con la citata sentenza, che la direttiva 2008/115 dovesse essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa di uno Stato membro, che preveda l’irrogazione della pena della reclusione al cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sia irregolare per la sola ragione che questi, in violazione di un ordine di lasciare entro un determinato termine il territorio di tale Stato, permane in detto territorio senza giustificato motivo.

Poiché la disciplina italiana in tema di regolarizzazione dei lavoratori extracomunitari condannati prevedeva, all’art. 14, comma 5 ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, il reato di violazione dell’ordine del questore di lasciare il territorio dello Stato, punito con una pena edittale fino a quattro anni di reclusione e per il quale era previsto l’arresto obbligatorio, tale normativa doveva ritenersi non più compatibile con la disciplina comunitaria delle procedure di rimpatrio di cui alla direttiva 2008/115/CE.

Ed infatti, il legislatore (articolo 3, comma 1, lettera d), numero 5), del D.L. 23 giugno 2011, n. 89) ha immediatamente modificato la norma prevedendo ora che "La violazione dell’ordine di cui al comma 5bis è punita, salvo che sussista il giustificato motivo, con la multa da 10.000 a 20.000 euro, in caso di respingimento o espulsione disposta ai sensi dell’articolo 13, comma 4, o se lo straniero, ammesso ai programmi di rimpatrio volontario ed assistito, di cui all’articolo 14ter, vi si sia sottratto. Si applica la multa da 6.000 a 15.000 euro se l’espulsione è stata disposta in base all’articolo 13, comma 5."

La procedura prevede quindi l’adozione di un nuovo provvedimento di espulsione per violazione all’ordine di allontanamento adottato dal questore ai sensi del comma 5bis dell’art. 14 tu immigrazione nonché il ricorso all’accompagnamento alla frontiera.

In conclusione, l’entrata in vigore della normativa comunitaria ha prodotto l’abolizione del reato previsto dalla disposizione sopra citata e oggi abrogata, con efficacia retroattiva ai sensi dell’art. 2 del codice penale. Tale retroattività, come ha spiegato sempre la Plenaria, non può non riverberare i propri effetti sui provvedimenti amministrativi negativi dell’emersione del lavoro irregolare, adottati sul presupposto della condanna per un fatto che non è più previsto come reato, in quanto il principio del tempus regit actum esplica la propria efficacia allorché il rapporto cui l’atto inerisce sia irretrattabilmente definito, e, conseguentemente, diventi insensibile ai successivi mutamenti della legge.

Il ricorso quindi è fondato, in quanto l’abolitio criminis riverbera i suoi effetti sul provvedimento amministrativo impugnato, che deve essere pertanto annullato.

Quanto alle spese di lite, ritiene il collegio che sussistono giusti motivi per disporne la compensazione tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato.

Compensa le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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