Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 01-06-2011) 05-10-2011, n. 36141

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza 4.2.2010, la corte di appello di Catanzaro ha confermato la sentenza 21.2.08 del tribunale di Cosenza con la quale P. M. è stata condannata,previo riconoscimento delle attenuanti generiche prevalenti, alla pena di 9 mesi di reclusione e Euro 350 di multa, perchè ritenuta responsabile del reato di furto continuato, aggravato ex art. 61, n. 7 e art. 11 c.p., perchè, abusando della relazione di prestazione d’opera che la legava a Po.

C., amministratrice unica della società Gold Point srl, si impossessava di numerosi oggetti preziosi, sottraendoli alla predetta società, cagionandole un danno patrimoniale di rilevante gravità.

Il difensore ha presentato ricorso per mancanza, contraddittorietà, manifesta illogicità della motivazione, in riferimento alle seguenti ricostruzioni e valutazioni:

1. il furto del bracciale modello "tennis" e del girocollo di brillanti. Secondo i giudici di merito, questo fatto costituì il culmine dei furti già subiti dalla Po., che la indusse ad avvertire e ad ammonire le dipendenti, tra cui la P., che se quei preziosi le fossero stati restituiti non avrebbe presentato denuncia alle competenti autorità. Secondo il tribunale, la responsabilità dell’imputata sarebbe dimostrata dalla mancata soluzione di continuità tra l’avvertimento all’imputata e la restituzione dei gioielli, attraverso il sacerdote F., che li portò alla proprietaria, riferendo di averli ricevuti da una donna nel corso di una confessione. Se il giudice avesse tenuto conto che il teste precisò che i preziosi erano stati consegnati la sera prima della restituzione alla Po. e che la restituzione del maltolto era avvenuta il giorno prima del colloquio tra l’imputata e la persona offesa, non avrebbe potuto dire che non vi era stata soluzione di continuità tra l’avvertimento alla P. e questa restituzione. Il giudice di appello ha affermato che questo dato non ha rilevanza,rinnovando il vizio di motivazione e in più contrasta la sentenza di primo grado, secondo cui l’accertamento di questo furto è il dato sintomatico della responsabilità per l’intero complesso di reati contestati Dichiarazioni della persona offesa e riconoscimento di altri preziosi. I giudici di merito hanno riconosciuto la precisione e la coerenza manifestate dalla Po., specialmente quando le sono stati mostrati i beni sequestrati alla P.. Secondo la ricorrente, la testimonianza della persona offesa è invece costellata da affermazioni imprecise, incontrollate e incontrollabili. La mancata analisi della descrizione dei gioielli che sono stati sottratti alla persona offesa, che sono anonimi e privi di caratteristiche identificative e il mancato riconoscimento di questa carenza da parte della sentenza impugnata, ne rendono invalida la motivazione. La Po. ha riconosciuto come propri preziosi che sono stati riconosciuti come propri dai testi di difesa: da ciò deve desumersi che il riconoscimento di tutti i beni è avvenuto generalmente in base a dati non univoci, guardando semplicemente la marca o il metallo.

2. Insussistenza del patrimonio indiziario a carico della ricorrente.

Il tribunale ha dato rilievo al riconoscimento dei preziosi, effettuato dai fornitori U. e T.. Il primo ha dichiarato che la Po. non è esclusivista dei gioielli da lui trattati e che quindi non è in grado di precisare se quelli rinvenuti in possesso della P. provengano dalla gioielleria Gold Point o da altre, tenuto anche conto che lui fornisce altri esercizi commerciali in Cosenza. Il T. ha ugualmente fatto dichiarazioni dalle quali emerge il non riconoscimento dei beni in sequestro. L’amministratore unico dell’impresa Luirò, P. S. ha smentito l’affermazione della Po. che aveva sostenuto di essere fornita in esclusiva dalla Luirò. La ricorrente esclude rilevanza ad un altro argomento utilizzato come dimostrativo della responsabilità della P.: la sua preoccupazione, espressa alla teste G., per un’eventuale perquisizione domiciliare, in quanto questo stato d’animo è comune a tutti i cittadini che vedono profilarsi, per un qualsiasi motivo, un fatto comunque emotivamente traumatico come l’ingresso di agenti di polizia nella propria abitazione.

3. La mancata valutazione dei testi di difesa. Alcune dichiarazioni hanno dimostrato che era facilissimo impossessarsi di preziosi di proprietà della Po., nelle cui gioiellerie venivano spostati senza registrazioni; altre hanno dimostrato che la P. lavorava come riparatrice e infilatrice per le migliori gioiellerie di Cosenza e che acquistava semilavorati per varie creazioni nonchè vari preziosi Tutti questi fatti dimostrano che è infondata ed è illogica l’affermazione dei giudici di merito, secondo cui non è possibile una visione alternativa al riconoscimento della responsabilità dell’imputata.

4. Sulla pena, i giudici hanno utilizzato per giustificare il trattamento sanzionatorio formule di stile, del tutto in conferenti, anche in riferimento all’aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità.

I motivi dell’impugnazione sono manifestamente infondati, in quanto sono diretti a una riproposizione di questioni di merito, attinenti alla ricostruzione dei fatti e alle valutazioni delle risultanze compiute dai giudici di merito in maniera assolutamente non censurabile in sede di giudizio di legittimità.

Le sentenze di merito si sono sviluppate in un comune apparato argomentativo di carattere storico e giuridico, concernenti la ricostruzione dei fatti e le logiche interpretazioni delle risultanze processuali. Costituiscono, quindi, un accertamento giudiziario organico e inscindibile.

Pertanto, la presente analisi parte dai fatti che risultano accertati nel complessivo giudizio di merito, all’esito del quale è emerso che il quadro probatorio a carico della P. ha un’indiscutibile forza dimostrativa della sua responsabilità.

La ricostruzione dei dati storici si sviluppa attraverso una inequivocabile successione nel tempo di eventi, le cui cadenze sono le seguenti:

a), inserimento nel personale della gioielleria della P. come addetta all’infilaggio delle collane, avvenuto circa due anni antecedenti i fatti in esame; la Po. inizialmente ha consegnato il materiale occorrente per la lavorazione (fili, chiusure e pietre da infilare le collane), ma con il tempo era la stessa P. a reperire e a prendere questo materiale; b) coincidenza temporale dell’ingresso dell’imputata nell’esercizio e della constatazione, da parte della persona offesa, della scomparsa di preziosi di vario valore;

c) allontanamento, nel settembre del 2004, dell’impiegata G. P., a causa di problemi familiari e presenza quotidiana nell’esercizio commerciale, in supplenza, della P.;

d) scomparsa ,verso la fine del 2004, di due monili in oro e brillanti di valore di molto superiore a quello dei preziosi fino ad allora sottratti;

e) esposizione, da parte della Po., al personale della propria intenzione – in caso della loro restituzione – di chiudere la vicenda in maniera bonaria, senza presentare denuncia alla polizia;

f) telefonata, in un lunedì mattina successivo, della persona offesa alla P., con reiterazione della proposta transattiva;

g) restituzione alla Po. dei preziosi, dopo uno stretto intervallo di tempo, da parte del sacerdote cattolico, M. F., che ha affermato di averli ricevuti da una donna, che, nel corso della confessione, aveva ammesso il furto, manifestato pentimento. Naturalmente, il sacerdote era tenuto al segreto, sull’identità della donna;

h) quasi contemporaneamente, comunque dopo un intervallo di tempo ugualmente ristretto, cessazione della collaborazione della P. e sua sostituzione con C.R., conoscente della prima;

i) percezione della Po., del possesso, da parte della nuova collaboratrice, di un anello, rientrante tra quelli mancanti dalla merce in esposizione;

l) ammissione della C. di averlo ricevuto in regalo, unitamente ad altri oggetti simili, dalla P. che le aveva venduto altri dello stesso tipo;

m) denuncia della Po.;

n) perquisizione domiciliare,da parte della polizia giudiziaria e rinvenimento di numerosi preziosi sia su un banco di lavoro, sia in altre stanze della casa.

Già questi fatti, nel loro rapido succedersi, dimostrano la responsabilità della P., nè la loro eloquente evoluzione può dirsi infranta e sminuita nella sua forza accusatoria dal breve intervallo di tempo intercorso tra l’acquisizione dei due preziosi, da parte del F. (che nel giorno della consegna trovò il negozio chiuso) e la restituzione alla P., avvenuta il mattino successivo. Questo intervallo non interrompe sul piano storico e logico la stretta correlazione temporale e la diretta e rapida successione dei fatti (proposta di transazione – atto di ravvedimento, indotto dal timore di conseguenze negative – restituzione dei preziosi, sia pure per l’interposta persona del sacerdote). Correttamente questi dati sono stati interpretati come prova diretta della responsabilità in ordine al fatto e come indizio grave, da associare agli altri di pari gravità, precisione e concordanza.

Quanto alla valutazione delle dichiarazioni testimoniali, rese nell’istruttoria, i giudici di merito hanno rilevato con precisa analisi e con razionale interpretazione la dimostrazione dell’assenza di lecita giustificazione della detenzione dei preziosi rinvenuti nell’abitazione della P., e conseguentemente la sua responsabilità in ordine al reato continuato di furto,attraverso: il riconoscimento degli oggetti, da parte della persona offesa, di cui è stata accertata, con assoluta precisione, la serietà, l’affidabilità e la serenità, manifestate in sede di esame dei preziosi, oltre che in sede di dichiarazioni accusatone; questa credibilità è stata riconosciuta pur tenendo conto che i preziosi trattati dalla Po. sono in gran parte anonimi e privi di caratteristiche identificative; le dichiarazioni dei fornitori M. e T., che hanno escluso di aver venduto preziosi alla P., l’inidoneità a smentire la tesi accusatoria di altre dichiarazioni, comprese quelle dei testi di difesa, che correttamente sono stata ritenute dai giudici limitate a una modesta parte degli oggetti sequestrati e comunque insuscettibili di oggettive conferme .

Le contrapposte interpretazioni di queste prove indicate dalla ricorrente sono del tutto inammissibili in sede di giudizio di legittimità, atteso il convincente apparato logico argomentativo delle decisione di giudici di merito, che si presenta fondato sul fedele riferimento a tutte le risultanze processuali e sulla loro razionale interpretazione.

Quanto alle censure sul trattamento sanzionatorio, esse sono del tutto infondate:in merito alla sussistenza dell’aggravante ex art. 61 c.p., n. 7, i giudici hanno dato il corretto rilievo al dato quantitativo , collegato all’arco di tempo in cui si è protratta l’attività predatoria della collaboratrice, sia alle singole sottrazioni, che sono avvenute,secondo l’incontestata ricostruzione dei fatti, in circostanze artatamente predisposte dall’imputata, in modo da consentirle massicce sottrazioni.

L’argomento critico sull’entità della pena è in contrasto con il consolidato e condivisibile orientamento interpretativo,secondo cui la determinazione della sanzione rientra nel potere discrezionale del giudice di merito e quindi non richiede un’analitica valutazione di tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli, indicati dalle parti o desunti dalle risultanze processuali, essendo sufficiente l’indicazione degli elementi ritenuti decisivi e rilevanti. (sez. 1, 21.9.1999, n. 12496, in Cass Pen. 2000, n. 1078, p. 1949).

Nel caso in esame, non è quindi censurabile la motivazione della sentenza impugnata, laddove fa riferimento alle modalità della condotta (emersa in maniera netta dalle risultanze processuali) e all’intensità del dolo, emersa dall’ampio arco di tempo in cui l’azione è stata posta in essere . Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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