Cass. civ. Sez. I, Sent., 02-03-2012, n. 3332 Danni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Iniziativa Granai di Nerva s.p.a. – proprietaria di un vastissimo appezzamento di terreno situato nel quartiere (OMISSIS), acquistato nel 1983, allorchè il Comune, a seguito dell’approvazione del piano di zona (OMISSIS), lo aveva già parzialmente destinato ad interventi di edilizia economica e popolare, – con citazione del 15.6.1988, convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma l’amministrazione della città per ottenerne la condanna al risarcimento dei danni subiti per la perdita di una porzione di mq.

14.638 che era stata irreversibilmente trasformata dall’ente, che vi aveva realizzato una rete viaria e fognaria, in difetto di emissione del decreto di esproprio.

Il Comune di Roma, costituitosi in giudizio, contestò genericamente la domanda. Il Tribunale, con sentenza dell’8.4.03, recepite integralmente le conclusioni della ctu disposta in corso di causa per accertare il valore del terreno, condannò il convenuto a pagare all’attrice la somma, già rivalutata e comprensiva dell’indennità di occupazione legittima, di Euro 657.776,00 oltre agli interessi legali sulla sola sorte capitale, calcolando l’importo dovuto a titolo risarcitorio ai sensi dell’allora vigente L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis.

La decisione fu impugnata da Iniziativa Granai di Nerva s.p.a. La Corte d’Appello di Roma, con sentenza del 28.1.08, in accoglimento del gravame, condannò l’ente territoriale a pagare all’appellante la maggior somma di Euro 1.149.838,30 oltre agli interessi legali sulla somma capitale anno per anno rivalutata. La Corte territoriale, per ciò che nella presente sede ancora rileva, pur reputando infondate le critiche rivolte da Granai di Nerva alla sentenza di primo grado in punto di determinazione del valore del terreno, affermò che, poichè nelle more del giudizio il Giudice delle leggi aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.L. n. 333 del 2001, art. 5 bis, comma 7 bis, convenuto dalla L. n. 359 del 1992, il risarcimento del danno andava liquidato in misura corrispondente al valore di mercato del bene.

Beni Stabili s.p.a. (incorporante per fusione Sviluppi Immobiliari s.p.a., a sua volta incorporante per fusione Iniziativa Granai di Nerva s.r.l.) ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, illustrato da memoria, cui il Comune di Roma ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

1) Con il primo motivo di ricorso Beni Stabili s.p.a. denuncia violazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37 T.U. sugli espropri e della L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 89, lett. a) violazione dei principi stabiliti dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 349 del 2007 e vizio di motivazione. Rileva che la Corte di merito ha liquidato il danno attraverso la mera rivalutazione della somma riconosciuta dal primo giudice, disattendendo le contestazioni da essa mosse alla ctu e non rispettando il principio del "serio ristoro" affermato dalla Consulta, che avrebbe dovuto indurla a disporre la rinnovazione dell’indagine peritale. Il motivo deve essere respinto.

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 349/07, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis, introdotto dalla L. n. 662 del 1996, per violazione dell’art. 117 Cost. rilevando che la norma, nel prevedere un criterio di liquidazione del danno da occupazione acquisitiva non ancorato al valore di mercato del bene, si poneva in contrasto con gli obblighi internazionali sanciti dall’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, nell’interpretazione datane dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.

La Corte capitolina ha riformato la decisione impugnata nella parte in cui aveva applicato il meccanismo riduttivo previsto dalla norma dichiarata incostituzionale, ed ha liquidato il danno subito da Granai di Nerva in misura corrispondente al ritenuto valore venale del terreno, in tal modo dando puntuale applicazione alla sentenza del giudice delle leggi.

Altra questione, che non attiene alla violazione dei principi di diritto invocati dalla ricorrente, ma alla correttezza dell’accertamento in fatto operato dal giudice del merito (e che è dunque deducibile unicamente sotto il profilo del vizio di motivazione), è se il bene, alla data della sua acquisizione da parte della p.a., avesse un valore di mercato superiore a quello accertato in sentenza. La questione, specificamente affrontata nel terzo motivo, sarà più avanti esaminata.

2) Col secondo motivo, Beni Stabili denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Lamenta che la Corte territoriale abbia respinto il motivo d’appello volto a contestare, attraverso ampi ed esaustivi rilievi critici, le conclusioni raggiunte dal ctu e integralmente recepite dal Tribunale, limitandosi a richiamare una propria precedente sentenza (pronunciata in causa connessa, avente parziale identità di parti e di petita ed identica causa petendi), in tal modo redigendo una motivazione per relationem che integrerebbe un vero e proprio vizio di omessa pronuncia.

La censura è infondata.

La Corte territoriale, contrariamente a quanto sostenuto da Beni Stabili, non ha motivato la propria decisione attraverso il mero richiamo alle argomentazioni contenute nella precedente sentenza, dichiarando di farle proprie, ma ha diffusamente spiegato le ragioni per le quali riteneva di dover pervenire al medesimo convincimento, autonomamente accertando, sulla scorta di una molteplicità di circostanze di fatto, singolarmente enunciate, la correttezza del criterio metodologico adottato dal ctu e la piena condivisibilità delle conclusioni da questi raggiunte.

3) Con il terzo motivo, Beni Stabili, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., degli artt. 115, 116, 196 c.p.c. e vizi di motivazione della sentenza impugnata, lamenta che la Corte capitolina abbia proceduto alla determinazione del valore venale dell’area avvalendosi del metodo sintetico-comparativo, anzichè di quello analitico – ricostruttivo, che, a suo dire, sarebbe maggiormente affidabile ed avrebbe, comunque, dovuto essere adottato nel caso di specie in ragione della sua qualità di imprenditrice commerciale, cui competeva il risarcimento sia del danno emergente sia di quello da lucro cessante. Osserva ancora, a riguardo, che, poichè il mercato immobiliare risente di variabili macroeconomiche diverse dalla fluttuazione della moneta nel tempo, appare preferibile stabilire il valore del bene espropriato in base alla considerazione dei diversi elementi che concorrono a determinare lo sviluppo edilizio di una zona ed a fornire il valore di mercato degli immobili in essa compresi, anzichè attraverso la rivalutazione all’attualità del prezzo di immobili omogenei, ma oggetto di trasferimento in epoca antecedente. Aggiunge che la sentenza non ha dato risposta alle numerose critiche da essa mosse, nel corso del giudizio di merito, all’indagine del ctu, inficiata da macroscopici errori, relativi alla determinazione dei valori di porzioni limitrofe, occupate da cooperative, e dall’omessa considerazione di atti di comparazione specificamente prodotti o indicati (accertamenti di valore, stime dell’UTE, atti dell’amministrazione comunale, consulenze tecniche disposte in altri giudizi) che avevano riguardato aree adiacenti a quella dedotta in causa, stimate in misura assai più elevata di quella ritenuta congrua dal consulente e dalla Corte di merito. Anche questo motivo deve essere respinto.

4)Priva di fondamento è la pretesa della società ricorrente di ottenere la liquidazione, oltre che dei danno emergente, anche del danno da lucro cessante che assume esserle derivatole dalla perdita del terreno.

Secondo la giurisprudenza costante sia della Corte Costituzionale sia di questa Corte di legittimità, dall’art. 42 Cost., comma 3 deve trarsi il principio che l’indennità di esproprio è unica ed ha come termine di riferimento il valore di mercato del bene espropriato, quale gli deriva dalle sue caratteristiche naturali, economiche e giuridiche e, soprattutto, dal criterio previsto dalla legge per apprezzarle; l’indennità, pertanto, al di fuori delle ipotesi previste dalla L. n. 865 del 1971, art. 15 non può mai superare detto valore e non può essere rapportata al pregiudizio che il proprietario risente per non poter più svolgere, mediante l’uso dello stesso immobile, la propria attività di impresa, industriale o commerciale.

Il medesimo principio trova applicazione anche nell’ipotesi in cui l’acquisizione del bene alla mano pubblica sia avvenuta in via di c.d. occupazione acquisitiva, che è fenomeno rientrante nella materia dell’espropriazione per p.u. considerata dal precetto costituzionale (cfr. art. 5 bis, comma 6). L’art. 42 Cost., comma 3, dal suo canto, riserva al legislatore il potere di modulare contenuto, ampiezza e denominazione dell’indennizzo nelle varie fattispecie disciplinate, sicchè, proprio in forza di questa norma, esso assume nell’espropriazione illegittima la massima estensione consentita, corrispondente al valore venale pieno dell’immobile espropriato ( L. n. 2359 del 1865, art. 36), maggiorato della rivalutazione monetaria e degli interessi dalla data in cui si è verificato il fatto acquisitivo.

5) Inammissibili sono poi le censure con le quali Beni Stabili deduce che il giudice d’appello avrebbe dovuto demandare al ctu di eseguire la stima secondo il metodo analitico-ricostruttivo, volto ad individuare il valore di trasformazione del suolo, anzichè con quello sintetico-comparativo, basato sulla valutazione dei dati di mercato, nella specie utilizzato per l’indagine.

Questa Corte ha infatti costantemente affermato che l’adozione dell’uno o dell’altro metodo è scelta riservata al giudice del merito, che, per quanto possibile, dovrà improntarla a criteri di effettività, e quindi stabilire nel caso concreto (anche avvalendosi delle indicazioni del ctu), se ricorrano o meno sufficienti elementi di comparazione, se sia, ciò nonostante, preferibile calcolare il valore di trasformazione del suolo, o se non sia addirittura opportuno avvalersi di entrambi i metodi (Cass. n. 7200/011, 12877/010, 12771/07).

La Corte territoriale, come già si è accennato nell’esaminare il secondo motivo, ha ampiamente illustrato le ragioni della propria scelta, affermando l’indubbia adeguatezza dei riscontri assunti dal ctu a riferimento della valutazione (costituiti da ben 14 atti dispositivi o di accertamento, 10 dei quali aventi ad oggetto terreni compresi in zona PEEP con caratteristiche similari a quelli di proprietà di Granai di Nerva), compiendo dunque un apprezzamento di fatto che, siccome logicamente motivato, si sottrae al sindacato di legittimità (Cass. nn. 1901/010, 8307/01, 3839/99). Per completezza, va rilevato che entrambi gli argomenti sui quali Beni Stabili fonda le proprie doglianze (la maggiore rispondenza del metodo analitico ad individuare il valore che il terreno espropriato avrebbe potuto avere qualora fosse stato sfruttato per i fini imprenditoriali per i quali era stato acquistato – e dunque a quantificare anche il danno da mancato guadagno da essa subito- e la sua maggiore affidabilità, per non essere legato alle fluttuazioni della moneta nel tempo), sono privi di consistenza.

Si è appena detto dell’inaccoglibilità della pretesa della ricorrente di conseguire un risarcimento comprensivo anche del danno da lucro cessante. Qui va aggiunto che, volendo ragionare in astratto, sarebbe comunque stato onere dell’espropriata di provare che avrebbe ricavato dalla vendita dell’edificio, depurato dei costi di costruzione, un guadagno maggiore di quello che avrebbe ricavato dalla mera rivendita del suolo. Ciò senza contare che, allorchè Iniziative Granai di Nerva acquistò la ben più vasta area nel cui ambito ricade il terreno per cui è causa, il piano di zona era stato da tempo approvato e le porzioni destinate agli interventi di edilizia economica e popolare erano state già individuate ed occupate dal Comune, sicchè la società era ben consapevole che non avrebbe mai potuto commercializzarle.

Va escluso, d’altro canto, che l’accertamento condotto secondo il metodo comparativo sia condizionato dalle oscillazioni di valore della moneta: esso, al contrario, si fonda sulla ricognizione dei prezzi pagati, all’epoca dell’esproprio, per immobili aventi caratteristiche omogenee a quello oggetto di causa, e, dunque, su dati storici e certi.

Beni Stabili, peraltro, non ha richiamato il contenuto degli atti assunti in comparazione dal ctu, nè ha dedotto che questi ha, di fatto, ricondotto alla data dell’evento acquisitivo, mediante l’utilizzo degli indici ISTAT di devalutazione o di rivalutazione, i prezzi delle vendite di terreni omogenei attuate in periodi antecedenti o successivi: la censura, ove volta a contestare l’erroneità della concreta metodologia di calcolo adottata dal consulente, risulterebbe pertanto carente del requisito dell’autosufficienza ed andrebbe ugualmente dichiarata inammissibile.

6) Parimenti inammissibili, o infondate sono, infine, le censure volte a contestare l’intrinseca correttezza delle conclusioni raggiunte dal ctu e fatte proprie dal giudice del merito.

6.1) Iniziative Granai di Nerva ha contestualmente promosso dinanzi al Tribunale di Roma 42 separati giudizi per ottenere il ristoro dei danni subiti per la perdita di altrettante porzioni di terreno di sua proprietà ricomprese ne PEEP adottato dall’amministrazione comunale ed irreversibilmente trasformate, in parte dal Comune ed in parte da cooperative assegnatarie.

Il Tribunale ha tuttavìa affidato ad un solo consulente il compito di stimare il valore di tutte le zone occupate, siccome comprese nella medesima area ed appartenenti al medesimo soggetto.

Il fatto che l’indagine sia stata condotta in via unitaria non autorizza però a riversarne per intero le conclusioni in ogni singolo procedimento: eventuali carenze od errori imputabili al ctu, asseritamente incidenti sulla stima di singoli lotti, ma non ricadenti sugli elementi generati posti a fondamento dell’intera valutazione, non possono infatti pregiudicare gli accertamenti concernenti lotti diversi da quelli oggetto di contestazione.

Risultano pertanto prive di attinenza alla decisione le critiche rivolte alla ctu, e riportate nel motivo, inerenti la valutazione di terreni sicuramente diversi da quello occupato per la costruzione dell’edificio scolastico (e, se ben si è compreso, erroneamente considerati dal consulente, in quanto oggetto di giudizi di opposizione alla stima), cui pertanto, del tutto correttamente, il giudice del merito ha ritenuto di non dover replicare.

6.2) Beni Stabili lamenta, poi, che il giudice d’appello non abbia tenuto conto dei numerosi atti di comparazione prodotti dalla sua dante causa, provenienti dalla stessa amministrazione comunale o da altri enti pubblici o, ancora, costituiti da ctu espletate nel corso di altri giudizi.

Sennonchè, a parte il rilievo che non risultano illustrate nel motivo le caratteristiche degli immobili contemplati nei predetti atti, necessarie per giustificarne il giudizio di omogeneità con i terreni di cui si controverte, appare dirimente la constatazione che le valutazioni richiamate dalla ricorrente sono state operate in un periodo compreso fra gli anni 91/97, di gran lunga successivo all’anno (1983) in cui si è verificato l’evento acquisitivo ed al quale, correttamente, è stata riferita la stima del ctu. Ne consegue che, atteso il continuo variare dei prezzi degli immobili, che, come posto in luce dalla stessa Beni Stabili, non sono legati alle fluttuazioni del valore della moneta ed hanno subito un notevolissimo incremento proprio negli anni 90, gli elementi offerti in comparazione erano privi di qualsivoglia utilità allo scopo.

6.3) La Corte territoriale ha, infine, chiarito che l’abbattimento del 75% del prezzo, determinato in via astratta, di alcuni dei suoli considerati da ctu si giustificava in ragione della loro inclusione in zona E, avente possibilità di sfruttamento edilizio solo a distanza di un rilevante intervallo temporale, con conseguente necessità di depurarne il valore dei presumibili costi di lottizzazione ed urbanizzazione.

La ricorrente lamenta l’erroneità di tale assunto, osservando che l’intera area fu acquistata " per un corrispettivo che teneva già conto del predetti valori di riduzione .. con la conseguenza che l’ulteriore riduzione del valore in misura pari al 75% è del tutto fuori luogo".

La critica finisce però col rivelarsi controproducente: il ctu ha infatti operato l’abbattimento a partire da un prezzo assai più elevato di quello (di poco più di L. 8.000 a mq.) al quale Granai di Nerva aveva acquistato l’area in questione (estesa oltre 240.000 mq.) nel 1983.

Il giudice capitolino, del resto, non ha mancato di sottolineare che il prezzo pagato da Granai di Nerva (che avrebbe, se mai, potuto far dubitare della correttezza dell’indagine sotto il profilo opposto a quello qui esaminato) costituiva decisivo riscontro della congruità della stima del ctu, che si riferiva la medesimo periodo temporale, ed appare persino superfluo rilevare come siffatto argomento, fondato su una circostanza di fatto incontestabile e non sottoposto ad alcuna censura dalla ricorrente, sarebbe stato di per sè sufficiente a giustificare la decisione. Al rigetto del ricorso consegue la condanna di Beni Stabili s.p.a. al pagamento delle spese processuali in favore del Comune di Roma, che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte: rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore del Comune di Roma, che liquida in Euro 10.000,00 per onorari ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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