Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 27-05-2011) 05-10-2011, n. 36139 Reati commessi a mezzo stampa diffamazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

P.A. propone ricorso contro la sentenza del tribunale di Nuoro del 30 giugno 2010, resa in appello su sentenza del giudice di pace di Nuoro, con la quale è stato condannato alla pena di Euro 400 di multa e alla rifusione delle spese processuali sostenute dalle parti civili; con pena condonata in applicazione dell’indulto.

La condanna è stata inflitta per il reato di cui all’art. 595 c.p. per avere l’imputato, tramite lettera datata 11 novembre 2002 ed indirizzata ai soci della cooperativa Fidi Terfidi, offeso la reputazione di G.T. e di C.L. con frasi contenenti le seguenti parti offensive: "studiando brogli elettorali (…) hanno sempre e solo visto la cooperativa come una cassaforte da svuotare" e, per quanto riguarda il D.C., affermando che avrebbe detto bugie apparse sui quotidiani locali.

Il ricorso si articola su sei motivi:

1. erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 192, primo comma, del codice di procedura penale. Secondo il ricorrente il provvedimento impugnato non individua alcun elemento probatorio dotato di consistente pregnanza, dal quale far discendere la rilevanza penale delle frasi adoperate dal P., nè indica le ragioni per le quali alle frasi indicate nel capo d’imputazione si debba riconoscere valore diffamatorio. Cita poi una sentenza del tribunale di Nuoro con cui è stata accertata l’irregolarità nella convocazione dell’assemblea, il che giustificherebbe le critiche comparse nella lettera incriminata, nonchè il decreto di archiviazione del gip di Sassari del 1 dicembre 2004, che avrebbe ritenuto irrilevanti, sotto il profilo penalistico, gli stessi fatti giudicati dalla sentenza impugnata.

2. Mancanza ed illogicità della motivazione in relazione agli artt. 42, 43 e 595 c.p., perchè il tribunale non avrebbe spiegato in che modo si sarebbe realizzata la lesione dell’onore e della reputazione delle parti offese e perchè la motivazione non definisce, quanto all’elemento soggettivo, se ed in che modo vi sia stata nel ricorrente l’accettazione del rischio di offendere l’onore ed il decoro delle parti lese.

3. Erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 51, in quanto il tribunale ha escluso la possibilità di discriminare la condotta dell’imputato senza valutazione degli antefatti ai quali è conseguita l’accesa reazione del P.; in particolare il tribunale non avrebbe motivato con riferimento agli elementi costitutivi della scriminante e dunque la veridicità del fatto narrato, la continenza espositiva, l’interesse pubblico meritevole di tutela.

4. Mancanza di motivazione in relazione all’art. 599 c.p., comma 2, per non aver il tribunale motivato l’esclusione del riconoscimento della scriminante dell’aver commesso il fatto nello stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui e subito dopo di esso.

5. Mancanza di motivazione in relazione all’art. 185 c.p., avendo omesso il tribunale di indicare le ragioni per le quali dalla condotta del P. derivi una qualche forma di danno a cui accordare adeguata tutela risarcitoria.

6. Erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 62 bis, 132 133 c.p., perchè l’entità della pena inflitta rispetto all’oggettiva entità dei fatti non rispecchierebbe il concetto di discrezionalità; la scelta della sanzione sarebbe avvenuta all’insegna dell’incuranza e dell’arbitrarietà. La modesta gravità dei fatti, il comportamento dell’imputato prima e dopo il fatto, la serietà e la correttezza dello stesso, nella dimensione pubblica e privata, non hanno avuto, secondo il ricorrente, come sbocco naturale un contenimento di pena ed il riconoscimento delle attenuanti generiche nella massima estensione.

Per questi motivi il ricorrente chiede l’annullamento della sentenza, con ogni consequenziale pronuncia.

Motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente lamenta l’assenza di consistenti elementi probatori in ordine alla rilevanza penale delle frasi adoperate dal P. e la mancata motivazione sul perchè alle frasi indicate nel capo d’imputazione si debba riconoscere valore diffamatorio. Invece risulta dal testo della sentenza impugnata, che ha riportato le motivazioni di primo grado, condividendole ed integrandole, che il giudice ha indicato i motivi per cui sono state ritenute diffamatorie le frasi contenute nella lettera dell’11 novembre 2002, per l’inequivocità delle espressioni utilizzate, da ritenersi inutilmente umilianti e dileggianti l’onore delle persone offese.

Per quanto riguarda, poi, la citata sentenza del tribunale di Nuoro, con cui sarebbe stata accertata l’irregolarità nella convocazione dell’assemblea, il che giustificherebbe le critiche comparse nella lettera incriminata, deve rilevarsi che la sentenza dichiara la cessazione della materia del contendere e condanna comunque il P. al pagamento delle spese processuali di tale procedura, senza contare che, anche se si ritenesse accertata la irregolare costituzione dell’assemblea, ciò nulla toglierebbe al valore diffamatorio delle frasi del P., riferite non alla illegittimità dell’assemblea, bensì alla qualifica delle odierne persone offese come bugiarde e dai vari appetiti, nonchè accusate di brogli elettorali. Quanto invece al prodotto decreto di archiviazione del gip di Sassari del 1 dicembre 2004, che avrebbe ritenuto irrilevanti sotto il profilo penalistico gli stessi fatti giudicati dalla sentenza impugnata, si rileva invece dall’esame dello stesso e della richiesta di archiviazione, che in quel caso si trattava di frasi di tenore completamente diverso e prive, appunto, del carattere diffamatorio (proprio, invece, di quelle oggi in esame); in quel caso le critiche, pur pungenti, del P. si erano mantenute nei limiti del diritto di critica, non erano state ritenute volgari o dileggianti e pertanto erano state considerate penalmente irrilevanti.

Quanto al secondo motivo, con cui si deduce mancanza ed illogicità della motivazione in relazione agli artt. 42,43 e 595 c.p., perchè il tribunale non avrebbe spiegato in che modo si sarebbe realizzata la lesione dell’onore e della reputazione delle parti offese e perchè non avrebbe definito, quanto all’elemento soggettivo, se ed in che modo vi sia stata nel ricorrente l’accettazione del rischio di offendere l’onore ed il decoro delle parti lese, questa Corte rileva che la sentenza ha dato compiuta motivazione in ordine alla capacità lesiva delle frasi utilizzate, precisando che l’esercizio del diritto di critica non può costituire un pretesto per giustificare l’utilizzo di espressioni gratuite, non necessarie, offensive e miranti all’aggressione dell’altrui reputazione. Anche con riferimento al dolo, il tribunale ha motivato in modo sufficiente e logico ritenendo che l’utilizzo degli appellativi rivolti alle parti offese e il notevolissimo numero di destinatari della missiva manifestassero inequivocabilmente la consapevolezza del P. di offendere l’onore e la reputazione altrui, tanto più in quanto la condotta si era materializzata in una lettera scritta che comportava una più attenta elaborazione e la naturale rilettura prima dell’invio.

Quanto all’asserita erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 51, in quanto il tribunale avrebbe escluso la possibilità di scriminare la condotta dell’imputato senza valutazione degli antefatti ai quali è conseguita l’accesa reazione del P. (in particolare il tribunale non avrebbe motivato con riferimento agli elementi costitutivi della scriminante e dunque la veridicità del fatto narrato, la continenza espositiva, l’interesse pubblico meritevole di tutela), basti rilevare che il tribunale ha più volte affermato proprio l’assenza di continenza espositiva, ed anzi l’ingiustificato utilizzo di espressioni gratuite, non necessarie ed offensive e che sotto il profilo della veridicità del fatto, in relazione alle frasi offensive, nulla è stato provato in relazione alla falsità delle affermazioni del presidente della cooperativa e soprattutto in relazione ai brogli elettorali e agli appetiti vari da cui sarebbero affette le odierne parti lese, asseritamente finalizzate allo svuotamento della cassaforte della cooperativa.

In merito alla asserita mancanza di motivazione in relazione all’art. 185 c.p., per omissione delle ragioni per le quali dalla condotta del P. derivi una qualche forma di danno a cui accordare adeguata tutela risarcitoria, si rileva che in caso di accertata sussistenza del reato, il danno non patrimoniale è in re ipsa e non avendo il giudice penale provveduto alla sua quantificazione, ma avendo rimesso le parti davanti al giudice civile, non vi era alcun obbligo di ulteriore specificazione.

Quanto alla dedotta erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 62 bis, 132 e 133 c.p., perchè l’entità della pena inflitta rispetto all’oggettiva entità dei fatti, non rispecchierebbe il concetto di discrezionalità e per assoluta arbitrarietà nella scelta, si deve preliminarmente rilevare che si tratta di una censura di merito e che la quantificazione della pena, se correttamente motivata, sfugge ad ogni censura in sede di legittimità. In proposito, la Corte risulta avere motivato in modo logico e coerente, pertanto immune da censure, ancorando la pena alla natura della violazione contestata ed alle modalità e circostanze dei fatti, precisando che la sanzione non poteva essere ridotta, rispetto a quella inflitta in primo grado, perchè ciò avrebbe fatto venir meno la stessa funzione sanzionatoria della pena, rimarcando inoltre che la sanzione era stata condonata per indulto. Vale poi la pena di rilevare come sia stata applicata la sola pena della multa ed in misura ridotta rispetto al massimo irrogabile, con esclusione della certamente più afflittiva pena detentiva, il che manifesta che i giudici di primo e secondo grado hanno certamente tenuto conto della oggettiva scarsa gravità del fatto.

Quanto, infine, all’asserita mancanza di motivazione in relazione all’art. 599 c.p.,, comma 2, per non aver il tribunale motivato l’esclusione del riconoscimento della scriminante dell’aver commesso il fatto nello stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui e subito dopo di esso, deve rilevarsi che -pur essendo la reazione del P. successiva di circa un mese ai fatti, dal che si potrebbe desumere l’assenza di immediatezza della reazione e ciò proprio sulla base della giurisprudenza richiamata dal ricorrente (Ad esempio, la prima delle pronunce indicate (Cassazione penale, sez, fer., 31 luglio 2007, n. 32323) afferma che non rileva il trascorso del tempo, ove il ritardo nella reazione sia dipeso unicamente dalla natura e dalle esigenze proprie degli strumenti adoperati per ritorcere l’offesa (Fattispecie avente ad oggetto il riconoscimento della scriminante nel caso di ingiuria realizzata a mezzo di una missiva, spedita quattro giorni dopo la commissione del presunto fatto ingiusto). Nel caso oggetto della pronuncia richiamata, dunque, era stato ritenuto non rilevante un ritardo di quattro giorni in un caso di diffamazione commessa a mezzo di lettera, ma proprio sulla base dei principi affermati da questa Corte non si può ritenere che il ritardo di un mese sia dipendente unicamente dalla natura dello strumento adoperato, potendo essere la lettera inviata nell’arco di pochissimi giorni. Anche nelle altre sentenze richiamate, il lasso temporale era molto breve: nella sentenza 8 aprile 2008, n. 16790 si trattava di dieci minuti, nella sentenza 11 gennaio 2007, n. 8097 si trattava di un giorno).

– effettivamente sul punto manca qualsivoglia motivazione nella sentenza impugnata, per cui è necessario rimettere gli atti al Tribunale di Nuoro per nuovo esame sul punto.

Per i motivi esposti, il ricorso deve essere accolto, nei limiti di cui al dispositivo.

P.Q.M.

La Corte annulla la sentenza impugnata limitatamente all’omessa motivazione circa il diniego della scriminante di cui all’art. 599 c.p. e rinvia per nuovo esame al tribunale di Nuoro.

Rigetta nel resto il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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