T.A.R. Lazio Roma Sez. III, Sent., 03-11-2011, n. 8413 Sanzione amministrativa

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con il proposto gravame l’odierno ricorrente, componente del Collegio Sindacale della Cassa di Risparmio di F.E.C. ha impugnato la determinazione, in epigrafe indicata, con cui il resistente Istituto ha disposto l’irrogazione nei suoi confronti quale componente del citato organo delle sanzioni pecuniarie di cui all’art.145 del TUB.

Nella narrativa dei presupposti fattuali sottostanti la controversia in trattazione è stato fatto presente che:

1) nel periodo 5.2.200912.6.2009 la Cassa di Risparmio di F.E.C. è stata sottoposta ad accertamenti ispettivi in esito ai quali, essendo emerse delle irregolarità nella gestione dell’azienda ispezionata, la resistente amministrazione ha attivato il procedimento per l’irrogazione delle sanzioni pecuniarie di cui all’art.145 del D.lgvo n.385/1993, contestando, per quel che interessa la controversia in trattazione, ai singoli componenti del collegio sindacale:

I) Carenza nei controlli con particolare riferimento al credito;

II) Posizioni ad andamento anomalo e previsioni di perdite non segnalate all’organo di Vigilanza;

2) gli interessati sono intervenuti nel procedimento de quo presentando memorie difensive;

3) in esito a tale procedimento con provvedimento del 9.6.2010 assunto dal Governatore ex art.22 dello Statuto della Banca d’Italia, e successivamente ratificato dal Direttorio con deliberazione n.446 del 14.6.2010, sono state irrogate nei confronti del ricorrente le seguenti sanzioni:

3a) Euro 14.000,00 per le irregolarità sub I);

3b) Euro 14.000,00 per le irregolarità sub II);

Il ricorso è affidato ai seguenti motivi di doglianza:

1) Violazione degli artt. 1, comma 3, 5, e 7, comma 1, del regolamento della Banca d’Italia del 25.6.2008 in relazione all’art2 della L. n.241/1990;

2) Carenza di motivazione e violazione dell’art.3, comma 1, della L. n.241/1990 in relazione all’art.19, comma 5, della L. n.262/2005;

3) Eccesso e sviamento di potere e violazione dell’art.22, u.c., dello statuto di Banca d’Italia;

4) Violazione degli artt.7 e 8 della L. n.241/1990 in relazione all’art.19, comma 4, della L. n.262/2005;

5) Eccesso di potere, mancanza di motivazione e violazione di legge in relazione all’entità delle sanzioni pecuniarie.

Si è costituita l’intimata Banca d’Italia contestando con dovizia di argomentazioni la fondatezza delle dedotte doglianze e concludendo per il rigetto delle stesse.

Alla pubblica udienza del 19.10.2011 il ricorso è stato assunto in decisione.

Motivi della decisione

Con il proposto gravame l’odierno ricorrente ha impugnato la determinazione, in epigrafe indicata, con cui la Banca d’Italia gli ha irrogato, quale componente del Collegio sindacale della Cassa di Risparmio di F.E.C. la sanzione pecuniaria di euro 28.000,00 ai sensi dell’art. 145 del d.lgvo n.385/1003, in relazioni alle irregolarità di cui sopra accertate nell’ambito di un’ispezione di vigilanza cui era stata sottoposta l’azienda bancaria.

In primis il Collegio sottolinea che l’attuale istante ha avuto conoscenza nell’ambito del procedimento di tutti gli atti richiamati nel gravato provvedimento sanzionatorio e che ne hanno giustificato l’adozione; in particolare il resistente istituto ha provveduto a depositare in giudizio il rapporto ispettivo – le cui conclusioni peraltro sono state pedissequamente recepite nella contestazioni di addebiti formulata al ricorrente – negando al contempo e sulla base di esaurienti motivazioni, in alcun modo contestate sul punto, la sussistenza di ulteriori documenti ispettivi quali i verbali di ispezione giornalieri o i verbali delle operazioni eseguite nell’ispezione, la cui mancata ostensione avrebbe pregiudicato le possibilità di difesa del dottor Dall’Aglio.

Con il primo motivo di doglianza è prospettata l’illegittimità costituzionale dell’art.2 dell’allegato 3 del d.lgvo 104/2010, il quale stabilisce che per i termini che sono in corso alla data di entrata in vigore del codice continuano a trovare applicazione le norme previgenti – per violazione degli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione.

In merito è stato fatto presente che la citata normativa nel consentire l’impugnazione del provvedimento sanzionatorio a coloro che ne hanno ricevuto notifica dopo l’entrata in vigore dello stesso davanti al Tar del Lazio, mentre per coloro notificati prima dell’entrata in vigore del citato decreto e il cui termine era in corso l’impugnazione doveva essere proposta presso la Corte di Appello di Roma avente la giurisdizione in materia in forza dell’art.145 del d.lgvo n.386/1993 lederebbe i principi costituzionali di uguaglianza, del diritto di difesa e del giusto processo.

Nella fattispecie in esame è accaduto che ad alcuni esponenti della citata Carispa il provvedimento sanzionatorio è stato notificato antecedentemente l’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, con la conseguenza che i relativi atti di opposizione sono stati proposti davanti la Corte di Appello di Roma, mentre l’attuale istante, cui il provvedimento è stato notificato successivamente alla citata data, lo ha dovuto impugnare davanti questo Tribunale.

La sollevata questione di costituzionalità è palesemente infondata.

In merito deve essere evidenziato che l’individuazione di un regime transitorio è affidata a scelte discrezionali del legislatore ordinario e non incide sul diritto di difesa costituzionalmente garantito, considerati i poteri che spettano al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva.

In ogni caso deve essere sottolineato che l’inconveniente denunciato sia dal ricorrente che dal resistente istituto in ordine alla circostanza che su provvedimenti sanzionatori analoghi con destinatari diversi siano chiamati a giudicare contestualmente sia la Corte di Appello che il Tar del Lazio in forza del regime transitorio introdotto dalla citata disposizione, non può in alcun modo essere evitato applicando il regime ordinario di cui all’art.5 del cpc secondo cui la giurisdizione si determina al momento della proposizione della domanda.

Da rigettare è anche il primo profilo di doglianza della seconda censura con cui l’interessato ha lamentato la tardiva conclusione del procedimento sanzionatorio, sul presupposto che il differimento del termine per la presentazione delle controdeduzioni concesso agli istanti non avrebbe determinato alcun differimento del termine finale di chiusura del procedimento medesimo.

In merito il Collegio sottolinea che:

a) giusta quanto stabilito dal Regolamento del 25.6.2008 il termine conclusivo del procedimento sanzionatorio con riferimento a tutti i soggetti coinvolti nello stesso è di 240 gg decorrenti dalla scadenza del termine per la presentazione delle controdeduzioni da parte del soggetto che per ultimo ha ricevuto la notifica della contestazione;

b) nella vicenda in esame il resistente istituto ha consentito una proroga di 15 gg per la presentazione delle controdeduzioni da parte di tutti i soggetti interessati, per cui il termine finale di 240 gg iniziava a decorrere dal 45 gg successivo (16.10.2009) alla data di notifica della contestazione all’ultimo dei soggetti de quibus (signor Crenna 1° settembre 2009), con la conseguenza che il provvedimento adottato in via di urgenza dal Governatore in data 9.6.2010 non è tardivo;

c) come affermato dal resistente Istituto la tesi ricorsuale secondo cui la concessione di una proroga per la presentazione delle controdeduzioni non vale ad impedire il decorso del citato termine di 240 gg risulta essere in palese contrasto con le richiamate disposizioni, atteso che il termine temporale de quo attinente alla fase decisoria non può che decorrere dalla data di ultimazione della fase istruttoria, per cui un’eventuale proroga della stessa non può che riverberarsi sulla decorrenza del termine de quo.

Da rigettare sono anche gli altri due profili con cui è stato fatto presente che:

a) non è stato rispettato il termine endoprocedimentale per la formulazione della proposta sanzionatoria;

b) il contestato provvedimento del Governatore risulta in ogni caso tardivo in quanto entro il termine di 240 gg non doveva essere solo adottato ma anche notificato ai soggetti interessati.

Riguardo alla censura di cui al punto a), in linea con quanto affermato dal resistente Istituto, il Collegio rileva che la previsione di un termine per la formulazione della proposta sanzionatoria era previsto nel quadro normativo previgente nel quale la Banca d’Italia proponeva al Ministero dell’Economia l’irrogazione delle sanzioni e risulta abrogato dalle successive disposizioni (art.26 della L. n.262/2005) che hanno devoluto alla Banca d’Italia il potere di adottare i provvedimenti sanzionatori.

Relativamente alla censura di cui al punto b) il Collegio sottolinea che la tesi ricorsuale si fonda sulla premessa, in alcun modo confortata dalla giurisprudenza in materia, che i provvedimenti di irrogazione di sanzioni pecuniarie abbiano natura ricettizia; al riguardo è sufficiente richiamare il consolidato indirizzo giurisprudenziale in materia, puntigliosamente evidenziato dal resistente istituto e colpevolmente ignorato da parte ricorrente, secondo cui la notifica del provvedimento rappresenta un adempimento ulteriore, estraneo alla fase procedimentale che conduce all’adozione dello stesso e rilevante al fine della sua efficacia, come chiarito altresì, dall’art.21 bis della L. n.241/1990, in base al quale i provvedimenti limitativi della sfera giuridica dei privati (tra cui vanno ricompresi anche quelli a carattere sanzionatorio) acquistano efficacia nei confronti dei destinatari con la comunicazione effettuata ai medesimi.

Non suscettibile di favorevole esame è anche il successivo motivo di doglianza con cui il ricorrente ha lamentato che la proposta della Commissione era sostanzialmente immotivata in ordine ai presupposti di fatto e di diritto che ne avevano giustificato la formulazione

Al riguardo nella citata proposta sono ben evidenziate le irregolarità ascritte al Collegio Sindacale (limitato spessore delle verifiche svolte dal Collegio, che ha trascurato aree di primaria rilevanza, quali il credito e l’intermediazione finanziaria, e ha mancato di verificare l’applicazione della normativa antiriciclaggio, interpretando il proprio ruolo in modo riduttivo e prevalentemente formale senza svolgere quelle funzioni di sorveglianza attiva e incisiva che la regolamentazione assegna all’organo di controllo delle banche), in rodine alle quali, peraltro, nessuna censura è stata, peraltro, prospettata dall’odierno istante.

Pure da rigettare è la successiva doglianza con cui è stato fatto presente che il provvedimento del Governatore assunto in via d’urgenza in sostituzione del Direttorio non spiegherebbe le ragioni che ne hanno giustificato l’adozione.

Al riguardo deve essere sottolineato, in linea con la precedente giurisprudenza della Sezione dettagliatamente richiamata da parte resistente ma totalmente ignorata dall’odierno istante, che:

a) l’art. 22 dello Statuto della Banca d’Italia stabilisce che nei casi di necessità ed urgenza i provvedimenti di competenza del Direttorio in composizione collegiale possono essere presi dal Governatore ovvero da uno degli altri membri del Direttorio secondo i criteri di surroga di cui agli artt.25 e 27 e che tali provvedimenti vengono sottoposti alla ratifica del Direttorio nella prima riunione utile;

b) è incontestabile che tra i casi di urgenza rientra quello relativo all’impossibilità di convocare una riunione collegiale in tempo utile nell’approssimarsi dello spirare del termine previste dalla legge e dal regolamento per l’adozione di un provvedimento;

c) tale situazione legittimante è stata correttamente rappresentata nella delibera del 14 giugno 2010 in cui il Direttorio dopo aver fatto presente che "in data 9 giugno 2010, stante l’impossibilità di convocare in tempo utile una riunione collegiale e data la necessità di provvedere con urgenza il Governatore ha esaminato la proposta della Commissione per l’esame delle irregolarità… in merito alla procedura amministrativa avviata… nei confronti di esponenti della Cassa di Risparmio di Fabriano e Capramontana" ha preso atto dell’urgenza e concordando con la decisione assunta dal Governatore l’ha approvata all’unanimità.

Pure infondata è la successiva censura prospettante la violazione della L. n.241/1990 per mancata indicazione nell’atto di comunicazione di avvio del procedimento del nome del responsabile dello stesso e per indeterminatezza nell’indicazione dell’ufficio responsabile del procedimento.

Premesso che l’asserita omissione in sostanza non ha in alcun modo pregiudicato il ricorrente che ha regolarmente interloquito nel procedimento presentando le sue controdeduzioni che sono state correttamente esaminate, deve essere evidenziato che:

a) nell’atto di contestazione era stato menzionato il Servizio Rapporti Esterni e Affari Generali il quale esiste unicamente presso l’Amministrazione Centrale della Banca il cui organigramma è pubblicato sul sito internet della stessa accessibile a chiunque;

b) per quanto riguarda l’indicazione del nominativo del responsabile trova applicazione l’art. 5, comma 2, della L. n. 241/1990 il quale testualmente prevede che "Fino a quando non sia effettuata l’assegnazione di cui al comma 1, è considerato responsabile del singolo procedimento il funzionario preposto alla unità organizzativa determinata a norma del comma 1 dell’articolo 4".

Con l’ultimo motivo di doglianza il ricorrente adducendo alcune circostanze attenuanti (grande mole di lavoro, assenza di solo e di colpa, esiguità dei compensi ricevuti, comprovata onestà nell’assolvimento degli incarichi bancari) ha, infine, contestato l’entità della sanzione irrogatagli sostenendo che risulta essere del tutto sproporzionata.

Premesso che l’entità della sanzione de qua è di gran lunga inferiore al massimo previsto dalla normativa in materia, il Collegio sottolinea che la quantificazione della sanzione amministrativa è riservata ad una valutazione ampiamente discrezionale dell’amministrazione non sindacabile nel merito tranne che per manifesta illogicità e per errore di fatto in nessun modo riscontrabili nella fattispecie in esame.

Ciò premesso, il proposte gravame deve essere rigettato.

Le spese di giudizio, quantificate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione III, definitivamente pronunciando sul ricorso n.10612 del 2010, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Condanna il ricorrente al pagamento a favore del resistente istituto delle spese di giudizio liquidate in complessivi Euro 3.000,00 (Euro tremila):

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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