T.A.R. Lazio Roma Sez. III quater, Sent., 03-11-2011, n. 8397 Equo indennizzo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ricorso notificato in data 13 settembre 2000 e depositato il successivo 12 ottobre la sig.ra C.G., infermiera presso l’Azienda U.S.L. Rm H di Albano Laziale, ha chiesto l’accertamento del proprio diritto al riconoscimento, quale causa di servizio, delle infermità sandiloartrosi dorso lombare con discreto impegno funzionale, modesti segni di artrosi gomito sinistro, con conseguente assegnazione di tabella di infermità più favorevole rispetto a quella goduta.

Con provvedimento del 21 luglio 1998 l’A.U.S.L. RM H, preso atto del parere del C.p.p.o. reso il 19 settembre 1997, ha negato l’iscrizione di dette patologie in tabella superiore alla B.

Sostiene la ricorrente che, a fronte del proprio grave quadro clinico, è illegittima detta determinazione. Chiede quindi l’accertamento del proprio diritto a che le patologie da cui è affetta siano inquadrate in una tabella superiore.

3. Il Ministero della salute si è costituito in giudizio per resistere al ricorso senza espletare alcuna attività difensiva.

4. L’A.U.S.L. Rm H non si è costituita in giudizio.

5. All’udienza del 26 ottobre 2011 la causa è stata trattenuta per la decisione.

Motivi della decisione

1. Preliminarmente il Collegio afferma la propria giurisdizione a decidere la controversia.

Nell’ambito del rapporto di lavoro intrattenuto con la Pubblica amministrazione spetta al giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 68, quarto comma, D.L.vo 3 febbraio 1993 n. 29, nel testo modificato dall’art. 29 D.L.vo 31 marzo 1998 n. 80 (ratione temporis applicabile) e successivamente riprodotto nell’art. 63 T.U. 30 marzo 2001 n. 165, la materia relativa alle procedure concorsuali e quella dell’organizzazione, comprendente le linee fondamentali di organizzazione degli uffici, i modi di conferimento della titolarità degli stessi, le relative dotazioni organiche e quant’altro sia espressione di potestà autoritativa nell’esercizio di pubbliche funzioni ovvero nell’organizzazione generale del lavoro, non inerenti all’attività paritetica nella cura del singolo o plurimo rapporto stesso, mentre rientra nella giurisdizione del giudice ordinario tutto ciò che riguarda direttamente la disciplina del rapporto individuale di lavoro, quale regolato dai contratti collettivi e decentrati. Esula, quindi, dalla giurisdizione di questo Tribunale la cognizione delle controversie che, come quella in esame, attengono al singolo rapporto di impiego e che siano state proposte dopo il 15 settembre 2000.

Da questa premessa segue come corollario obbligato il richiamo alla disposizione dettata dall’art. 45 D.L.vo n. 80 del 1998, il quale prevede, per l’ipotesi che il ricorso, afferente a controversie anteriori alla suddetta data, sia stato proposto oltre il 15 settembre 2000, la decadenza sostanziale (e non sono processuale) dall’azione. Come chiarito dalla giurisprudenza, anche con riferimento all’analoga disposizione dettata dall’art. 69, settimo comma, D.L.vo 30 marzo 2001, n. 165 (secondo cui "sono attribuite al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, le controversie di cui all’articolo 63 del presente decreto, relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro successivo al 30 giugno 1998. Le controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore a tale data restano attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo solo qualora siano state proposte, a pena di decadenza, entro il 15 settembre 2000"), il termine in questione costituisce un termine di decadenza sostanziale della situazione giuridica soggettiva di cui si assume titolare il dipendente. Infatti tale situazione giuridica, qualora non sia stata fatta valere con azione proposta entro il 15 settembre 2000, si estingue, non potendo essere più esperito alcun mezzo processuale a sua tutela né dinanzi al giudice amministrativo né dinanzi al giudice civile (Cons. Stato, A.P., 21 febbraio 2007 n. 4; Sez. IV, 5 aprile 2003, n. 1804; Sez. IV, 14 giugno 2005, n. 3120, Sez. VI, 13 maggio 2008, n. 2212). Peraltro la disposizione di legge sopra richiamata, nell’interpretazione ormai univoca datane sia dalla Corte regolatrice che dal Consiglio di Stato, va intesa nel senso che il termine del 15 settembre 2000 rileva non quale limite alla persistenza della giurisdizione amministrativa, ma quale limite alla proponibilità della domanda giudiziale, che, ove introdotta dopo tale data, incorre nella decadenza sostanziale fissata dall’art. 69 cit., con conseguente irricevibilità della stessa (cfr., ex multis, Cass. Civ., SS. UU., n. 9101 del 2005 e n. 15340 del 2006; Cons. Stato, Sez. IV, n. 1804 del 2003). Tale interpretazione della norma è stata ritenuta conforme alla Costituzione, sia sotto il profilo del rispetto del criterio di delega da parte del Governo, rientrando la decadenza tra le misure processuali atte a "prevenire disfunzioni dovute al sovraccarico del contenzioso", sia sotto quello della dedotta violazione degli artt. 3, 24 e 113 Cost., risultando ragionevole e non discriminatoria la previsione di un termine di decadenza di oltre ventisei mesi, certamente non tale da rendere "oltremodo difficoltosa" la tutela giurisdizionale (v. Corte cost. nn. 213 e 382 del 2005, n. 197 del 2006; v. anche sul punto, da ultimo, Cons. St., A.P., 21 febbraio 2007, n. 4). Ne deriva che la pretesa azionata, in quanto attinente al periodo del rapporto di lavoro anteriore al 1° luglio 1998, è inammissibile, in quanto il relativo ricorso risulta proposto ben oltre il termine di decadenza fissato dall’art. 69, settimo comma, D.L.vo n. 165 del 2001, alla data del 15 settembre 2000, in quanto a tale data (30 dicembre 2008) il ricorrente era ormai decaduto dalla situazione giuridica sostanziale fatta valere (Tar Catanzaro, sez. II, 1 dicembre 2010, n. 2830; Tar Bari, sez. III, 10 giugno 2010, n. 2409; Tar Lazio, sez. III, 14 ottobre 2009, n. 9905).

Tutto ciò chiarito, occorre ora verificare se per considerare il termine del 15 settembre 2000 occorre far riferimento alla data di notifica del ricorso e non a quella del suo deposito.

Ed invero, costituisce giurisprudenza ormai pressoché consolidata quella secondo cui al fine della corretta discriminazione dei limiti temporali per l’individuazione della giurisdizione in materia di controversie attinenti al rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti deve farsi riferimento alla data di notifica dell’atto introduttivo di giudizio e non a quella del successivo perfezionamento del rapporto processuale, che si realizza con il deposito del ricorso (Cons. Stato, sez. IV, 22 marzo 2011, n. 1753). Ciò in quanto il richiamo contenuto nell’art. 45, D.L.vo 31 marzo 1998 n. 80 alla data del 15 settembre 2000 deve considerarsi come termine di decadenza per la proponibilità della domanda giudiziale e non come limite temporale della persistenza della giurisdizione (Cons. Stato, Sez. IV, 27 novembre 2010, n. 8259; 4 giugno 2010, n. 3554; sent. 18 febbraio 2009, n. 946; Sez. VI, 8 agosto 2008, n. 3909; 13 giugno 2008, n. 2939; Sez. V, 21 giugno 2007, n. 3390).

In altri termini, come è stato recentemente chiarito (Cons. Stato, Sez. V, 2 agosto 2010, n. 5074) la chiave di soluzione del problema sta nello stabilire non il momento in cui il giudice viene concretamente investito dell’onere di decidere la controversia, ma quello in cui, alla stregua delle norme processuali, debba intendersi concretamente esercitato il diritto d’azione. Diritto, che aldilà della sua connotazione formale, si ricollega sul piano sostanziale alla situazione giuridica soggettiva che costituisce il titolo della domanda giudiziale, secondo la formula contenuta nell’art. 24 Cost., in forza del quale " tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi". Ora, se l’azione "deve essere intesa come il diritto potestativo di ottenere, non già una sentenza favorevole, bensì una decisione di merito" (Cass. civ., sez. I, 29 settembre 2006, n. 21192), sfuggono le ragioni del perché nel processo civile, sia pur ispirato al modello della " vocatio in ius", l’esercizio di tale potere si manifesta, conformemente al ricordato art. 39, ultimo comma, c.p.c., con la notifica della citazione, dell’atto cioè con cui l’attore formula la domanda giudiziale e chiama il soggetto che egli assume essere legittimato passivamente a comparire davanti al giudice ( art. 163 c.p.c.), mentre nel processo amministrativo, per il solo fatto che questo è ispirato al modello della "vocatio iudicis" debba attendersi, per ciò solo, anche l’ulteriore adempimento del deposito del ricorso.

Dal punto di vista strutturale, infatti, i due modelli, per quel che qui interessa, non divergono in modo significativo, perché sia nel processo amministrativo che in quello civile da citazione il giudice in realtà è concretamente investito della controversia solo successivamente alla notifica dell’atto introduttivo del giudizio. Il primo con il deposito del ricorso notificato, il secondo con la costituzione delle parti e la conseguente iscrizione della causa a ruolo (artt. 165. 166 e 168 c.p.c.)."

Nel caso in esame il ricorso risulta notificato il 13 settembre 2000 al Ministero della salute e il successivo 14 settembre all’A.U.S.L. RM H e, dunque, prima del 15 settembre 2000; è pertanto tempestivamente azionato ed ammissibile.

2. Accertata la tempestività del ricorso, il Collegio rileva però la sua inammissibilità, come è stato comunicato alle parti presenti in udienza ai sensi dell’art. 73, comma 3, c.p.a..

L’azione di accertamento della spettanza dell’equo indennizzo, presupponendo la titolarità di una posizione di diritto soggettivo che si assume lesa dal provvedimento contro il quale si insorge, non è proponibile nella controversia avente per oggetto il diniego di riconoscimento della dipendenza dell’infermità da causa di servizio o di liquidazione dell’equo indennizzo – o, come nel caso in esame, l’ascrizione dell’infermità in diversa e più alta tabella – atteso che la posizione giuridica da riconoscere al dipendente nelle dette vicende contenziose è quella del titolare dell’interesse legittimo, disponendo l’Amministrazione di poteri autoritativi e discrezionali proprio in ragione della particolare natura indennitaria dell’emolumento, e non del diritto soggettivo, che è consistenza che la detta posizione assume solo allorché il relativo procedimento si sia positivamente concluso e con riferimento, quindi, non all’an, ma alla corretta liquidazione del quantum effettivamente dovuto (Cons. St., sez. V, 9 dicembre 2009 n. 7694; Tar Napoli, sez. VII, 7 settembre 2010 n. 17330).

Per consolidata giurisprudenza, in materia di equo indennizzo, l’istante ha una posizione di interesse legittimo (Cons. St., sez. VI, 13 giugno 2000 n. 3299; sez. IV, 10 agosto 2004 n. 5502; sez. IV, 19 ottobre 2006 n. 6241) e non di diritto soggettivo che può essere fatta valere solo quando è in contestazione l’importo della somma liquidata dall’Amministrazione e che si assume essere inferiore a quella dovuta per effetto dell’iscrizione della patologia riscontrata in una determinata tabella.

Nel caso in esame la ricorrente ha avuto il riconoscimento dell’equo indennizzo con iscrizione nella tabella B. Contesta tale conclusione sul rilievo che le patologie da cui è affetta sono tali da portate all’iscrizione ad una superiore tabella. Si tratta, quindi, di questione che afferisce non a posizioni di diritto soggettivo ma di interesse legittimo, perché coinvolgono solo in via riflessa il quantum dell’indennizzo.

Il ricorso è dunque inammissibile atteso che con provvedimento del 21 luglio 1998 l’A.U.S.L. RM H, preso atto del parere del C.p.p.o. reso il 19 settembre 1997, alla ricorrente è stata negata l’iscrizione e in tabella superiore alla B. La ricorrente non ha impugnato tale diniego ma ha proposto, solo tre anni dopo, l’azione di accertamento oggetto dell’odierno gravame.

Quanto alle spese di giudizio, nulla è dovuto atteso che la A.S.L. RM H non si è costituita in giudizio, mentre il Ministero della salute, pur costituendosi, non ha svolto alcuna difesa.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Quater)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.

Nulla per le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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