Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 26-05-2011) 05-10-2011, n. 36133

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 9 aprile 2010 la Corte d’Appello di Salerno, confermando la decisione assunta dal locale Tribunale, ha riconosciuto S.A. responsabile del delitto di concorso in furto pluriaggravato di un’autovettura di proprietà di M. P..

Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del difensore, affidandolo a quattro motivi.

Col primo motivo il ricorrente eccepisce la nullità della vocatio in iudicium in grado di appello, per essere stata effettuata la notifica del decreto di citazione presso il difensore, ai sensi dell’art. 161 c.p.p., comma 4, sebbene non si fosse precedentemente tentato il rintraccio presso la residenza anagrafica, di cui produce certificazione.

Col secondo motivo rileva la contraddittorietà fra il dispositivo e la motivazione della sentenza, nella parte riguardante il termine per il deposito della motivazione.

Col terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 192 c.p.p. per essersi ritenuto il suo concorso nel furto, sebbene i coimputati lo avessero scagionato dichiarando di averlo preso a bordo dell’autoveicolo dopo l’impossessamento di questo.

Col quarto motivo contrasta l’applicazione dell’aggravante di cui all’art. 625 c.p., n. 2, non essendo a suo avviso provato il rapporto di strumentalità tra il furto e la presenza di attrezzi atti allo scasso a bordo dell’autoveicolo.

Il ricorso è privo di fondamento e va disatteso.

A norma dell’art. 161 c.p.p., comma 4, quando diviene impossibile notificare all’imputato gli atti del procedimento nel domicilio da lui dichiarato, eletto o determinato ai sensi del comma 2 del citato articolo, si provvede alla notificazione mediante consegna al difensore. Nel caso di cui ci si occupa la disposizione è stata correttamente applicata; infatti il tentativo esperito dall’ufficiale giudiziario di Salerno, in data 23 febbraio 2010, di notificare all’ A. il decreto di citazione per il giudizio di appello nel domicilio da lui dichiarato non è andato a buon fine, per essere risultato mancante il suo nominativo fra le targhette del citofono, e per avere dato esito negativo le informazioni assunte in loco:

sicchè, stante l’impossibilità di dar corso alla notifica a quell’indirizzo, l’atto è stato correttamente recapitato presso lo studio dei difensori.

Non rileva il fatto che l’imputato abbia medio tempore trasferito la propria residenza anagrafica ad altro indirizzo, non risultando che egli abbia di ciò dato comunicazione all’autorità procedente come era suo onere, proprio per garantire la continuità delle notificazioni, ai sensi del menzionato art. 161 c.p.p., comma 2.

Non sussiste, pertanto, la dedotta nullità della vocatio in iudicium.

La contraddittoria indicazione del termine stabilito per il deposito della sentenza, che si legge in giorni trenta nella motivazione e quarantacinque nel dispositivo, non è causa di nullità in quanto improduttiva di conseguenze pregiudizievoli ai danni dell’imputato.

Infatti il deposito della sentenza, avvenuto nel trentottesimo giorno dalla lettura del dispositivo in udienza, è stato trattato come tardivo e seguito dalla notifica dell’avviso di deposito ai sensi dell’art 548 c.p.p., comma 2, a tutela del diritto d’impugnazione dell’imputato: il quale infatti ha provveduto a proporre ricorso nel termine di legge, così pienamente esercitando il proprio diritto.

La censura con cui si prospetta, per la prima volta in questa sede, la violazione dell’art. 192 c.p.p. in rapporto alle dichiarazioni rese dai coimputati per lo stesso reato J.O. e K. M., è inammissibile nel giudizio di cassazione perchè non dedotta nei motivi di appello, contro il divieto di cui all’art. 606 c.p.p., comma 3.

L’applicazione dell’aggravante di cui all’art. 625 c.p., n. 2 è stata adeguatamente motivata dalla Corte di merito. Questa, infatti, ha rimarcato che dai rilievi effettuati dai carabinieri era emerso che l’autoveicolo assoggettato al furto non soltanto presentava all’interno dell’abitacolo un cacciavite ricurvo e delle chiavi rotte verosimilmente utilizzati per l’effrazione, ma risultava manomesso nel quadro di accensione ed aveva lo sportello dal lato guida piegato verso l’esterno; su tali premesse fattuali ha ravvisato la sussistenza dell’aggravante, riconducendo alla nozione di violenza sulle cose qualsiasi attività che determini un danneggiamento o un mutamento di destinazione della res tale da richiedere un’attività di ripristino. Siffatta linea argomentativa, ineccepibile dal punto di vista logico e conforme ai principi giurisprudenziali enunciati in materia (v. da ultimo Cass. 14 maggio 2010 n. 24029; Cass. 6 novembre 2006 n. 41952), da pienamente conto della decisione assunta e resiste alle critiche del ricorrente.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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