T.A.R. Lombardia Milano Sez. I, Sent., 03-11-2011, n. 2612

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

E. S.p.A., già titolare di una autorizzazione all’esercizio di una struttura di vendita di medie dimensioni in Via Losanna, 20/22, avente superficie di mq 1003 inserita in un complesso di recente interessato da interventi edilizi promossi da I.T. S.r.l., in data 24.6.2010 ha richiesto all’Amministrazione comunale l’autorizzazione all’ampliamento delle propria superficie di vendita da mq. 1.003 a mq. 1.500 con riallocazione delle superfici all’interno del medesimo complesso commerciale cui oggi si accede, oltre che dall’originario ingresso di Via Losanna, anche da Via Fauchée.

L’Amministrazione comunale ha accolto l’istanza, rilasciando l’autorizzazione per una superficie complessiva di mq. 1.500.

L’odierna ricorrente, esercente un’attività commerciale in zona limitrofa, ha inoltrato alla Regione Lombardia una istanza di annullamento del titolo edilizio alla base del contestato intervento ex art. 39 del DPR n. 380/2001 ed ha rappresentato all’Amministrazione comunale le proprie riserve circa l’intervento realizzato procedendo, successivamente, all’impugnazione dei provvedimenti in epigrafe, deducendo la violazione tanto della disciplina vigente in tema di autorizzazioni commerciali quanto della normativa edilizia.

La Regione Lombardia, il Comune di Milano ed E. si sono costituiti in giudizio ed hanno replicato alle avverse censure, chiedendo la reiezione del ricorso.

Nella camera di consiglio del 27.4.2011 la causa è stata rinviata al merito.

Con atto depositato il 24.5.2011, la Società T.P. DUE S.r.l. è intervenuta ad opponendum ex art. 50 c.p.a.

Con atto depositato il 5.7.2011, la ricorrente ha proposto motivi aggiunti, impugnando il provvedimento con il quale la Regione ha, nel frattempo, comunicato l’archiviazione del procedimento di annullamento ex art. 39 del DPR n. 380/2001.

All’esito della pubblica udienza del 19.10.2011, la causa è stata trattenuta in decisione.

Con il primo motivo, parte ricorrente ha dedotto che il Comune, nell’ambito del procedimento autorizzatorio oggetto del presente giudizio, avrebbe illegittimamente omesso di indirizzarle la comunicazione ex art. 7 della L. n. 241/1990.

L’obbligo discenderebbe dalla circostanza che Coop gestisce nelle immediate vicinanze un supermercato di medie dimensioni che attinge dal medesimo bacino di utenza e che, in virtù della riapertura del punto vendita E., avrebbe registrato una diminuzione della propria clientela.

Il motivo è infondato.

L’intervento nel procedimento a mezzo deposito di memorie o la proposizione di istanze di accesso documentale, di per sé, non qualificano la posizione della ricorrente ai fini dell’applicazione della norma in esame, trattandosi di iniziative che, nel caso di specie, esprimono di per sé unicamente un mero interesse di fatto inidoneo a radicare il preteso obbligo di comunicazione in capo all’Amministrazione.

Nel caso di specie, inoltre, l’interesse sotteso alla comunicazione ex art. 7 sarebbe stato in ogni caso soddisfatto, avendo la ricorrente esercitato il proprio diritto di difesa intervenendo nelle varie fasi dello sviluppo procedimentale che ha preceduto le contestate determinazioni dell’Amministrazione.

Con il secondo motivo di ricorso, la ricorrente ha dedotto la violazione del D.P.R. n. 114/1998 e della D.G.R. n. 8/5054 del 4.7.2007, nonché l’omissione di una adeguata istruttoria da parte dell’Autorità procedente.

A sostegno delle censure formulate sostiene che l’esercizio commerciale di E. sarebbe solo "figurativamente riconducibile" ad un ampliamento della struttura preesistente, trattandosi, in realtà, di un nuovo punto vendita diversamente localizzato ed inserito in un manufatto di superficie complessiva pari a mq 4.880, quindi, di superficie superiore al doppio di quella di vendita autorizzata (mq. 1.500).

Tale rapporto fra la superficie complessiva e la superficie di vendita, avrebbe dovuto assoggettare l’intera procedura ad una disciplina più restrittiva di quella ritenuta applicabile dall’Amministrazione comunale, tale da determinare un diverso e negativo esito del procedimento autorizzatorio.

A tal proposito Coop rileva che la D.G.R. n. 8/5054, disciplinando le modalità applicative del Programma di sviluppo del settore commerciale, prevede che "ai soli fini della valutazione della domanda di autorizzazione di cui agli artt. 8 e 9 del D.lgs. 31 marzo 1998 n. 114, la superficie di vendita delle medie e grandi strutture che presentano una superficie lorda di pavimentazione superiore al doppio della superficie di vendita oggetto di richiesta di autorizzazione, viene incrementata di una quantità pari al 50% della superficie lorda di pavimentazione eccedente il predetto rapporto".

La norma tenderebbe a coordinare i procedimenti autorizzatori con quelli urbanistici per impedire che, ottenendo titoli edificatori per la realizzazione di superfici commerciali sovradimensionate alle reali esigenze, si pongano in essere i presupposti per ottenere in un secondo tempo ampliamenti degli spazi di vendita al di fuori di ogni controllo amministrativo e senza necessità di ulteriori titoli edilizi.

Nella specie E., coma già precisato, ha realizzato spazi commerciali per mq. 4.883,77 e l’Amministrazione avrebbe eluso le prescrizioni della richiamata norma, istruendo il procedimento con riferimento ad una superficie di soli mq. 1.500 anziché a mq. 2.441,89 (dato ricavabile applicando la sopra riportata disposizione regionale).

L’errato riferimento alla estensione reale in luogo di quella virtuale dell’esercizio di vendita avrebbe, quindi, influito sulla corretta qualificazione dell’esercizio commerciale e sulle relative valutazioni di compatibilità ambientale e urbanistica.

Le suesposte censure sono strettamente correlate a quelle formulate con il terzo motivo di ricorso, con il quale la ricorrente deduce la violazione dell’art. 8 del D.P.R. n. 114/1998, della determinazione del 27.7.2010, degli artt. 53, 54 e 55 del P.R.G. 1980 e 27 delle NTA del Piano delle Regole del P.G.T. 2010.

Sulla base delle prescrizioni richiamate, le varie tipologie di insediamento commerciale sono classificate in "medie piccole strutture di vendita" (fino a mq. 600), medie strutture di vendita di grado inferiore" (fino a mq. 1.500) e "medie strutture di vendita di grado superiore" (fino a mq. 2.500).

L’estensione della superficie rileverebbe in quanto per le strutture sino a mq. 1.500 sarebbero previste procedure semplificate tanto con riferimento ai profili edilizi che a quelli commerciali mentre, oltre tale superficie, non si potrebbe prescindere da una pianificazione particolareggiata esecutiva a norma dell’art. 55 delle NTA. del vigente PRG e dell’art. 27.2, lett. b) del Piano delle Regole del PGT adottato in salvaguardia in difetto della quale mancherebbe il requisito di compatibilità urbanistica che legittima l’insediamento.

Nel caso di specie, si rileva sempre da parte della ricorrente, il Comune avrebbe rilasciato l’impugnata autorizzatone sulla base di una relazione di conformità urbanistica riferita ad una struttura di mq, 1,500 determinatasi in ampliamento di una precedente superficie di mq. 1.003 e, quindi, non soggetta a preventiva pianificazione urbanistica attuativa a norma del PRG e del PGT.

Assumendo a riferimento la superficie di mq. 2.441,89, così come la ricorrente ritiene imponesse la DGR n. 5054/2007, l’Amministrazione avrebbe dovuto negare l’autorizzazione per assenza dei requisiti di conformità urbanistica.

Con il medesimo capo di impugnazione la ricorrente deduce, altresì, l’omissione da parte del Comune delle valutazioni in ordine alla sostenibilità dell’intervento nel suo complesso. che avrebbe così mirato unicamente a soddisfare le "esigenze di investimento dell’operatore privato", consentendo la predisposizione di una struttura commerciale idonea ad accogliere punti vendita di dimensioni superiori a quello oggi autorizzato, precostituendo le condizioni per una successiva richiesta di ampliamento della superficie di vendita senza necessità di titoli edilizi e controlli a questi connaturati.

Ciò contrasterebbe con la determinazione dirigenziale comunale del 27.7.2004 con la quale sarebbe stato prescritto a pena di inammissibilità "lo studio dell’impatto sulla rete commerciale esistente e del contesto sociale", nonché la "valutazione delle ricadute sul sistema commerciale locale".

Tanto il secondo che il terzo motivo di ricorso sono infondati in quanto basati su di un’erronea lettura della disciplina vigente e, in particolare, della DGR n. 5054/2007.

La superficie di mq. 2.441,89 che la ricorrente individua come dato rilevante ai fini della conformità della struttura alla disciplina edilizia rappresenta, infatti, una estensione virtuale rilevante, come specifica la stessa DGR che si assume violata, "ai soli fini della valutazione della domanda di autorizzazione di cui agli artt. 8 e 9 del D.lgs. 31 marzo 1998 n. 114" mentre ai fini edilizi ciò che rileva è la effettiva superficie del punto vendita che è di soli mq. 1.500.

La circostanza trova conferma nel chiarimento interpretativo fornito dalla Regione Lombardia in esito alla richiesta avanzata da E. in data 5.10.2010, con il quale è stato precisato che "nel caso prospettato (s.l.p. pari a 5.000 mq. e superficie di vendita pari a 1.500 mq) si tratta evidentemente di autorizzare una media struttura, considerando, però, che la domanda dovrà essere valutata come se fosse stata richiesta una superficie di vendita di 2.500 mq" e che "il comune, quindi, dovrà effettuare la verifica di compatibilità degli impatti ed attribuire la relativa quantità di standard su una superficie di 2.500 mq, ma rilascerà un’autorizzazione commerciale di 1.500 mq, come richiesto"

Chiarito nel senso suesposto il significato dell’art. 2.4 della D.G.R. n. 8/5054, la superficie di riferimento ai fini del rilascio del titolo edilizio non può che essere quella di mq. 1.500 e non la misura virtuale di mq. 2.441,89 rilevante ai soli fini del rilascio dell’autorizzazione.

Privo di pregio è, altresì, il richiamo alla determinazione del 27.7.2004 in tema di studio dell’impatto dell’insediamento commerciale sulla rete commerciale esistente e sul contesto sociale circostante.

Il provvedimento in esame deve, infatti, ritenersi superato dalla sopravvenuta normativa in tema di liberalizzazioni ( L. n. 248/2006), che vieta restrizioni all’apertura di nuovi esercizi commerciali che si fondino su quote di mercato calcolate su volumi di vendita o su apprezzamenti autoritativi dell’adeguatezza dell’offerta alla presunta entità della domanda, imponendo il contingentamento di esercizi in una determinata area.

Con il quarto motivo di ricorso viene dedotto che, nel computo dell’ effettiva superficie del punto vendita, non sarebbero stati considerati gli spazi occupati dal "Punto Fidaty" posti al di là della barriera delle casse ove i clienti ritirano merce in virtù di punti fedeltà accumulati e che dovrebbe essere considerato area di vendita, ma non figura ricompresa in quella di mq. 1.500, cui è riferita l’autorizzazione impugnata.

La censura è infondata, non potendosi assimilare gli spazi in questione a quelli che la dettagliata disciplina di settore qualifica quali spazi di vendita.

L’art. 4, comma 1, lett. c) del D.Lgs n. 114/1998 precisa che si intende "per superficie di vendita di un esercizio commerciale, l’area destinata alla vendita, compresa quella occupata da banchi, scaffalature e simili. Non costituisce superficie di vendita quella destinata a magazzini, depositi, locali di lavorazione, uffici e servizi".

La D.G.R. n. 8/5054, all’art. 2.3.3 dispone conformemente che "la superficie di vendita di un esercizio commerciale è l’area destinata alla vendita, compresa quella occupata da banchi, scaffalature e simili con esclusione della superficie destinata a magazzini, depositi, locali di lavorazione, uffici e servizi, aree a disposizione dei consumatori (quali gallerie, scale mobili, ascensori, nastri trasportatori, aree di sosta degli automezzi, anche se coperte ed i relativi corselli di manovra)".

L’art. 52, punto 3 delle N.T.A al P.R.G. approvato il 26.2.1980, nel testo vigente, prevede che "per superficie commerciale lorda si intende l’insieme delle superfici destinate alla vendita, ai servizi e ad altri usi inerenti alle attività dell’esercizio commerciale che avvengono su aeree private o pubbliche, calcolate, eccezion fatta per il commercio ambulante come per l’indice S.l.p. di cui all’art. 6 delle presenti Norme."

Al successivo punto 4 viene specificato che "per superficie di vendita si intende la somma della: superficie utilizzata dal personale addetto alle operazioni di vendita; superficie destinata all’accesso e alla permanenza del pubblico; superficie occupata da banchi, scaffalature e vetrine contenenti prodotti esposti al pubblico".

Ne deriva che la definizione di superficie di vendita deve essere intesa come spazio destinato all’apprensione dei prodotti e al pagamento del relativo corrispettivo con esclusione degli altri spazi non strettamente funzionali alla vendita.

Quanto al punto Fidaty, sul quale si appunta il motivo in questione, le operazioni in quegli spazi effettuate non sono assimilabili ad una vendita, mancando il rapporto di apprensione del bene previo pagamento del prezzo e la contabilizzatone dell’acquisto.

La evidenziata conformità della struttura di vendita di E. alla disciplina normativa vigente determina, altresì, l’infondatezza dell’impugnazione riferita al provvedimento di archiviazione adottato dalla Regione Lombardia in esito alla richiesta di annullamento ex art. 39 del DPR n. 380/2001.

Per quanto precede il ricorso deve essere respinto.

Le spese seguono al soccombenza e vengono liquidate in favore del Comune di Milano e di E. S.p.A. nella misura di Euro 4.000,00 pro capite, oltre al 12,5% a titolo di spese forfetariamente calcolate, I.V.A. e C.P.A.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione I)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese a carico come da motivazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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