Cass. civ. Sez. I, Sent., 02-03-2012, n. 3316 Effetti del fallimento per i creditori

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Nell’aprile 2000 il curatore del fallimento della CO.GE.I. s.p.a. esercitò nei confronti della Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio azione revocatoria, ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 2, in relazione a rimesse solutorie affluite in un conto corrente intrattenuto dalla società fallita con la convenuta. Quest’ultima resistette, ma il Tribunale di Roma, in accoglimento della domanda, dispose la revoca di quattro pagamenti eseguiti con altrettante rimesse per complessivi Euro 319.901,18 e condannò, conseguentemente, la convenuta al rimborso di detta somma oltre accessori alla curatela.

La banca propose appello, chiedendo anche accertarsi il difetto di provvisoria esecutività della sentenza di primo grado e, comunque, disporsi la sospensione ai sensi dell’art. 283 c.p.c..

La Corte di Roma, respinta con ordinanza l’istanza di sospensione, ha poi respinto il gravame con sentenza depositata il 14 novembre 2011, osservando:

che la consapevolezza, da parte della banca, dello stato di insolvenza e non di una semplice difficoltà momentanea della debitrice alla data del maggio 1997 (a cui risaliva, secondo quanto riferisce l’attuale ricorrente, l’accensione del conto e la prima delle quattro rimesse) era dimostrata da protesti per complessive L. 5.686.571.127 nei primi tre mesi di quell’anno, giunti al numero totale di 235, per complessive L. 9.468.947.715, alla fine dello stesso; da ulteriori 340 protesti levati nell’anno precedente per complessive L. 7.662.858.603; da 48 procedure esecutive nel 1996 e 98 nel 1997, per un ammontare di L. 3.883.961.961; dal collocamento del personale in cassa integrazione ordinaria; tutti dati estremamente significativi, specie per un operatore economico qualificato come la banca, la cui scelta di iniziare con la società un rapporto di conto corrente "a rischio" non era di per sè incompatibile con la scientia decoctionis;

che il versamento nel conto corrente di assegni circolari emessi da altre banche comportava la disponibilità delle relative somme soltanto dal giorno successivo e non da quello del versamento stesso, come erroneamente sostenuto dall’appellante; e di ciò doveva tenersi conto ai fini della determinazione della scopertura o meno del conto alle date delle rimesse in questione, che pertanto risultavano effettivamente eseguite, secondo quanto accertato dalla consulenza tecnica d’ufficio espletata nel giudizio di primo grado, allorchè il conto era privo di copertura, ed erano quindi revocabili;

che neppure poteva affermarsi la irrevocabilità delle medesime rimesse in quanto "operazioni bilanciate", ossia costituzione di semplice provvista per operazioni speculari a debito concordate fra banca e cliente, dato che il CTU, incaricato di specifica indagine in proposito, aveva escluso la sussistenza di alcun elemento di prova di uno specifico, preciso accordo fra banca e cliente che mettesse in correlazione operazioni di segno opposto;

che andava altresì esclusa la compensazione fra singole partite di dare e avere ai sensi dell’art. 1853 c.c. e della L. Fall., art. 56, difettando i requisiti della omogeneità e contemporaneità;

che andava confermata l’esattezza di quanto implicitamente ritenuto con l’ordinanza di rigetto dell’istanza di sospensione dell’esecutività della sentenza di primo grado, ossia la provvisoria esecutività di quest’ultima in quanto sentenza costitutiva accompagnata da statuizione di condanna.

La banca ha quindi proposto ricorso per cassazione articolato in sette motivi di censura. La curatela fallimentare ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno anche presentato memorie.

Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 67, comma 2, (nel testo anteriore alla novella di cui al D.L. 15 marzo 2005, n. 35, conv., con modif., in L. 14 maggio 2005, n. 80), R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736, art. 3 e segg. e art. 82 e segg., (Legge assegno), art. 2727 c.c. e segg. e art. 116 c.p.c., nonchè vizio di motivazione. Si deduce che la banca aveva, sin dall’inizio del rapporto di conto corrente, tacitamente riconosciuto alla CO.GE.I. l’immediata disponibilità degli assegni circolari, ancorchè tratti su altre banche, sin dalla data del versamento in conto degli stessi; con la conseguenza che alle date delle rimesse oggetto di revoca il conto della società non era affetto scoperto.

La ricorrente, premesso che, secondo la giurisprudenza di legittimità, il saldo cui fare riferimento al fine di stabilire la revocabilità o meno delle rimesse di conto corrente non è nè quello contabile nè quello per valuta, bensì il saldo disponibile, ritiene che la disponibilità sussista, con riferimento alle somme portate da assegni circolari, sin dalla data del versamento dei titoli sul conto (e dunque il saldo disponibile coincida con il saldo contabile), perchè gli assegni circolari sono equiparati al danaro contante e perchè, comunque, nella specie vi era un accordo tacito fra banca e cliente, in forza del quale la prima attribuiva alla seconda la possibilità di disporre delle somme portate da assegni circolari sin dal momento del versamento dei titoli, ancorchè di regola il pagamento dei medesimi da parte delle banche emittenti non avvenga prima del giorno successivo. Si duole, pertanto, che la Corte d’appello si sia attenuta al criterio meramente presuntivo del saldo per valuta e non abbia invece tenuto conto che alla CO.GE.I. era stato, appunto, sistematicamente consentito, sin dall’inizio del rapporto, di emettere disposizioni di pagamento il giorno stesso in cui versava assegni circolari sul suo conto, secondo una prassi rivelatrice di un accordo di immediata disponibilità delle somme portate da quei titoli.

In particolare la ricorrente osserva – con riferimento agli scoperti posti dai giudici a base delle quattro operazioni revocate e sulla scorta delle risultanze degli estratti conto in atti – che: il (OMISSIS), primo giorno di apertura del conto, erano stati versasti assegni circolari per L. 3.500.000.000 e impartite una disposizione di pagamento per L. 100.000.000 e una disposizione di giroconto per L. 90.568.797; il (OMISSIS) erano stati versati assegni circolari per complessive L. 111.000.000, così incrementando il saldo attivo del conto sino a L. 377.654.198, ed erano stati impartiti due ordini di pagamento per complessive L. 292.137.500; il (OMISSIS) erano stati versati assegni circolari per complessive L. 1.001.070.315, che avevano fatto ascendere il saldo positivo a L. 1.028.363.331, ed erano stati impartiti due ordini di pagamento per complessive L. 345.000.000; il (OMISSIS) erano stati versati assegni circolari per complessive L. 2.301.903.094, con conseguente saldo positivo di L. 2.326.247.112, ed erano stati impartiti tre ordini di pagamento per complessive L. 110.000.000. 1.1. – La tesi giuridica su cui poggia la complessiva censura non può essere condivisa.

1.1.1. – Anzitutto, non è esatto che gli assegni circolari siano equiparati al danaro contante. Le Sezioni Unite di questa Corte, di fronte ad incertezze affioranti presso le sezioni semplici e richiamate dalla ricorrente, con la sentenza n. 26617 del 2007 hanno ribadito l’orientamento già dominante secondo cui la cessione di assegni circolari ha, di regola e salvo patto contrario, solo gli effetti di una cessione pro solvendo, e dunque resta a carico del cedente il rischio della inconvertibilità dei titoli, il cui importo in termini di moneta è acquisito dal cessionario solo nel momento in cui ne riceve la disponibilità giuridica dalla banca emittente.

L’equiparazione degli assegni circolari alla moneta contante è dunque esclusa.

Conseguentemente, ai fini della revocatoria fallimentare delle rimesse di conto corrente bancario, l’importo degli assegni circolari di altre banche versati dal correntista va computato nel saldo disponibile del conto non dalla data del versamento dei titoli, bensì dal momento in cui la banca emittente mette a disposizione le relative somme (cfr. Cass. 26171/2006) e che di solito coincide con la data della valuta riconosciuta al correntista dalla sua banca.

1.1.2. – La ricorrente, però, osserva che comunque nella specie, per accordo tacito delle parti, la disponibilità delle somme portate da assegni circolari di altre banche era riconosciuta alla cliente sin dal giorno del versamento in conto.

L’osservazione si basa su un equivoco riguardo al concetto di "disponibilità".

Che cosa debba intendersi per saldo "disponibile" ai fini della revocatoria fallimentare delle rimesse di conto corrente bancario si ricava dal sistema di tale revocatoria come ricostruito nella giurisprudenza di legittimità (a partire da Cass. 5413/1982 – richiamata dalla ricorrente – e, prima ancora, Cass. 709/1980).

In tale sede è appurato che una rimessa è revocabile se affluisce su conto non solo passivo, ma anche scoperto, ossia privo di provvista. La provvista di un conto corrente può essere costituita o dal cliente, con mezzi monetari propri, o dalla banca, che glieli mette a disposizione mediante apertura di credito. La disponibilità assicurata dalla banca deve necessariamente derivare da un contratto di apertura di credito: è, infatti, soltanto grazie alle caratteristiche di tale contratto (il quale comporta l’obbligo della banca di tenere a disposizione del cliente la somma prevista sino alla scadenza o al recesso con preavviso) che si afferma che, non essendovi credito esigibile della banca allorchè il cliente utilizza il fido (il credito concesso con l’apertura sarà esigibile soltanto con la cessazione dell’apertura stessa), le conseguenti rimesse del medesimo cliente sul conto passivo non costituiscono pagamento, bensì meri atti ripristinatori della provvista messa a disposizione dalla banca e in precedenza da lui utilizzata.

Nella specie, è pacifico che il conto della CO.GE.I. non era assistito da apertura di credito; dunque la provvista necessaria ad evitare la scopertura poteva essere costituita soltanto con mezzi monetari propri della correntista. Ma allora alla banca ricorrente non basta sostenere che alla cliente era consentito emettere disposizioni di pagamento il giorno stesso in cui versava sul conto assegni circolari di altre banche, perchè ciò non va oltre l’affermazione del riconoscimento, alla medesima cliente, di una forma di credito (diversa dall’apertura di credito in conto corrente) sulla sostanziale garanzia dei titoli versati (e da riscuotere nell’immediato futuro).

2. – Con il secondo motivo, di nuovo denunciando violazione di legge e vizio di motivazione, la ricor-rente critica la negazione che le rimesse oggetto di revoca si riferissero ad operazioni bilanciate e fossero, dunque, per tale ragione irrevocabili. Lamenta che la Corte d’appello non si sia attenuta al principio affermato da Cass. 9698/2004, secondo cui, ove si accerti che la banca ripetutamente riceva, su di un conto del cliente (non rileva se ed in che misura scoperto), assegni circolari emessi da altri istituti, li registri e consenta al cliente una successiva operazione di prelievo per importo non superiore, quindi registrando detta operazione e successivamente (in termini cronologici o anche solo contabili) annotando la valuta dei versamenti, è configurabile un rapporto nel quale la banca non concede credito ma soltanto adempie – con ripetuta "contestualità" (sintomatica di un consenso implicito alla reiterazione di operazioni consimili) – ad ordini di operazioni di cassa e quindi ad un rapporto esattamente riconducibile nell’ambito delle c.d. operazioni bilanciate, con conseguente non revocabilità, ai sensi della L. Fall., art. 67, dei versamenti così effettuati, non riconducibili ad un pagamento di somme ad estinzione di un debito del cliente.

Tale fattispecie – osserva la ricorrente – corrisponde pienamente a quella oggetto del presente giudizio, così come descritta nell’illustrazione del primo motivo di ricorso.

2.1. – Neanche questo motivo può essere accolto.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, per potersi escludere la revocabilità di rimesse affluite su un conto scoperto in quanto dipendenti da operazioni bilanciate, è necessario dimostrare il venir meno della funzione solutoria delle stesse in virtù di accordi intercorsi tra il solvens e l’accipiens, che le abbiano destinate a costituire la provvista di coeve o prossime operazioni di prelievo o di pagamenti mirati in favore di terzi, in modo tale da potersi escludere che la banca abbia beneficiato dell’operazione sia prima, all’atto della rimessa, sia dopo, all’atto del suo impiego (da ult., Cass. 1834/2011, 6190/2008).

Nella fattispecie decisa da Cass. 9698/2004, richiamata dalla ricorrente, il giudice d’appello aveva ritenuto che la caratteristica dell’operazione bilanciata rappresentata dalla previa costituzione della provvista (in vista di un determinato impiego) non ricorreva in quel caso proprio perchè la provvista era rappresentata dal versamento di assegni circolari, la disponibilità delle somme portate dai quali si verificava soltanto con l’incasso (successivo) delle stesse; con la conseguenza che l’operazione di impiego, effettuata prima di tale incasso, doveva ritenersi effettuata allo scoperto e dunque le somme portate dagli assegni circolari dovevano ritenersi destinate ad estinguere la passività indotta dall’operazione.

Questa Corte cassò la sentenza perchè disattese il presupposto da cui muoveva il ragionamento dei giudici di merito, ossia la posteriorità della disponibilità delle somme portate dagli assegni circolari rispetto alla data del versamento degli stessi nel conto, sul rilievo che gli assegni circolari sono "titoli di credito che, per nome e prassi, sono considerati equivalenti a denaro contante".

Va da sè che, superato tale rilievo alla luce della giurisprudenza delle Sezioni Unite sopra richiamata esaminando il primo motivo di ricorso, restano superate anche le conseguenti affermazioni di Cass., 9698/2004, cit..

3. – Con il terzo motivo di ricorso si denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., dell’art. 1852 c.c. e segg., della L. Fall., art. 67, comma 2, art. 116 c.p.c., nonchè vizio di motivazione. La ricorrente lamenta l’omessa pronuncia del giudice d’appello in ordine a una serie di ragioni, da essa prospettate, necessariamente conducenti al rigetto della domanda avversaria, incentrate sul rilievo decisivo, ai fini della revocatoria fallimentare, del "saldo di fine giornata", consistente nella somma algebrica delle operazioni di segno opposto annotate in conto: saldo che, essendo positivo per tutti i giorni ((OMISSIS), secondo quanto si legge nel ricorso) in cui erano state compiute le operazioni fatte oggetto di revoca, escludeva la presenza di scoperture alle medesime date e, quindi, la stessa possibilità di operazioni di rientro revocabili.

3.1. – La censura, nella parte in cui non è ripetitiva di quelle già svolte con il primo motivo di ricorso, è inammissibile perchè generica, omettendo la ricorrente di precisare in quali atti e in quali esatti termini abbia formulato i corrispondenti rilievi avverso la sentenza di primo grado facendone oggetto di specifici motivi di appello: precisazione indispensabile dato che la sentenza di appello non fa alcuna riferimento a siffatti rilievi.

4. – Con il quarto motivo, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 1853 c.c. e della L. Fall., art. 56 e art. 67, comma 2, nonchè vizio di motivazione, si censura l’esclusione della compensazione ai sensi delle prime due norme invocate.

4.1. – Neppure questo motivo può essere accolto.

4.1.1. – La ricorrente, muovendo dal presupposto che la compensazione opera non soltanto fra più "conti", ma anche fra più "rapporti", ai sensi dell’art. 1853, cit., sostiene – e in tal senso articola la censura di violazione di norme di diritto – che essa si sarebbe nella specie verificata, appunto, fra il rapporto cui da luogo il versamento in conto corrente di un assegno circolare emesso da altro istituto di credito e il rapporto cui da luogo l’ordine di pagamento impartito alla banca dal cliente.

4.1.2. – La censura è infondata, perchè il versamento sul conto corrente di un assegno circolare emesso da altro istituto di credito non configura affatto un "rapporto" diverso da quello di conto corrente, ma rientra, invece, nell’esecuzione del contratto di conto corrente stesso, nel quale rientra senza dubbio lo svolgimento del servizio d’incasso di assegni di qualsiasi natura.

4.2. – La censura di vizio di motivazione è poi inammissibile per difetto del requisito di cui all’art. 366 bis c.p.c., comma 2, sotto il profilo della indicazione del fatto controverso. La ricorrente, invero, fa riferimento soltanto al "punto decisivo della controversia costituito dalla corretta applicazione delle norme di cui all’art. 1853 c.c. e alla L. Fall., art. 56 con riguardo ad una fattispecie avente le connotazioni sopra rappresentate"; in tal modo individuando, però, una questione relativa, semmai, all’applicazione di norme di diritto, non già all’accertamento di un fatto, costituente invece l’esclusivo oggetto della censura di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e che deve, dunque, essere chiaramente indicato dal ricorrente, secondo quanto impostogli dall’art. 366 bis, comma 2, cit..

5. – Con il quinto motivo si deduce la nullità della consulenza tecnica d’ufficio per difetto di contraddittorio del consulente di ufficio con il consulente di parte convenuta.

5.1. – Il motivo è inammissibile, dovendosi ritenere che esso non abbia formato oggetto di specifico motivo di appello. Di una tale motivo, infatti, non si fa parola nella sentenza impugnata, mentre nel ricorso per cassazione (pag. 47) si rileva soltanto, genericamente, che l’appellante aveva al riguardo "formulato uno specifico capo di domanda alla Corte territoriale", senza precisare in quale atto tale "domanda" fosse stata formulata.

6. – Con il sesto motivo, denunciando violazione di norme di diritto (L. Fall., art. 67, comma 2, art. 2697 c.c. e art. 2727 c.c. e segg. e art. 116 c.p.c.) e vizio di motivazione, si censura l’accertamento della scientia decoctionis in capo alla banca creditrice.

Sotto il profilo della violazione di norme di diritto, si sostiene che ai fini di tale accertamento le risultanze processuali debbono essere esaminate ed apprezzate in modo unitario e globale, avendo riguardo ai concreti collegamenti del creditore con i sintomi dell’insolvenza e tenendo anche conto del comportamento delle parti nello svolgimento del rapporto, in modo da conseguire la certezza della conoscenza effettiva e concreta dello stato di insolvenza del debitore inteso come situazione definitiva ed irreversibile.

Sotto il profilo del vizio di motivazione si evidenzia: a) che le procedure esecutive mobiliari e la concessione della cassa integrazione ordinaria erano sprovvisti di pubblicità e di concreto, diretto collegamento con la banca; b) che i protesti levati negli anni 1994, 1996 e 1997 risalivano ad epoca largamente precedente l’instaurazione del rapporto fra le parti; c) che non è stata adeguatamente considerata la valenza dell’apertura di un rapporto di conto corrente con un soggetto con cui la banca non aveva intrattenuto in precedenza rapporti; d) che gli assegni circolari erano stati versati lo stesso giorno di apertura del conto corrente e non era plausibile che già nel giorno dell’apertura del conto la banca fosse consapevole dello stato di insolvenza della cliente; e) che non era stato sufficientemente considerato l’andamento ondulatorio della movimentazione del conto.

6.1. – Il motivo è inammissibile sotto entrambi i profili dedotti.

Sotto il profilo della violazione di norme di diritto va osservato, infatti, che la Corte d’appello non ha fatto alcuna esplicita affermazione contraria alla tesi della ricorrente, nè si è discostata da essa nell’operazione di sussunzione, come emerge con evidenza dalla sintesi della motivazione sul punto della scientia decoctionis riportata sopra nella parte narrativa della presente sentenza.

La verità è che la Corte d’appello ha accertato, in fatto, la presenza del requisito soggettivo della revocatoria fallimentare valutando gli elementi istruttori acquisiti.

Dunque era tale accertamento in fatto che andava sottoposto a critica deducendo il vizio di motivazione. Sennonchè le censure svolte dalla ricorrente sotto tale profilo non colgono nel segno. Posto, infatti, che il rilievo sub a) non è di per sè decisivo, dato che l’accertamento è stato condotto dai giudici di merito sulla base anche di altri e determinanti indizi (quali, in particolare, i numeriosissimi protesti levati nei confronti della debitrice per somme ingentissime), va osservato che i restanti rilievi – da b) ad e) – sono di puro merito, sostanziandosi in null’altro che la diversa valutazione del materiale istruttorie.

7. – Con il settimo motivo viene posta – anche in questo caso sotto entrambi i profili di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – la questione del difetto di provvisoria esecutività della sentenza di primo grado che accoglie la domanda di revoca, atteso il suo carattere costitutivo.

7.1. – Anche quest’ultimo motivo è inammissibile per l’assorbente considerazione che ogni questione relativa alla provvisoria esecutività della sentenza di primo grado è superata, in presenza della sentenza di appello, dalla definitva esecutività di quest’ultima.

8. – Il ricorso va pertanto respinto, con condanna della parte soccombente alle spese processuali liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, liquidate in Euro 8.200,00, di cui 8.000,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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