Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 13-05-2011) 05-10-2011, n. 36021 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 12 febbraio 2010, la Corte di appello di Milano confermava la sentenza del 28 maggio 2008 del Tribunale di Milano, appellata da M.A., Ma.Ma. e C. V., condannati, con le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle circostanze aggravanti contestate, il primo, alla pena di anni sette di reclusione ed Euro 27.200 di multa, il secondo, a quella di anni sei, mesi nove di reclusione ed Euro 26.900 di multa, il terzo, a quella di anni sei, mesi sei di reclusione ed euro 26.600 di multa, in quanto responsabili del reati di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, artt. 314, 368 e 479 c.p., commessi in (OMISSIS).

2. Osservava la Corte di appello, riportando l’esposizione dei fatti contenuti nella sentenza di primo grado, che la vicenda processuale traeva origine dalle dichiarazioni del cittadino tunisino N. M., il quale, nel (OMISSIS), aveva riferito di una organizzazione dedita allo spaccio di sostanze stupefacenti posta in essere da cittadini tunisini grazie alla copertura di alcuni militari appartenenti all’Arma dei Carabinieri, che ricevevano denaro per eludere i controlli all’interno del locale "(OMISSIS)" e che in alcune occasioni si appropriavano del denaro degli extracomunitari a carico dei quali facevano talvolta falsamente collegare il possesso di quantitativi sostanze stupefacenti.

A seguito di dette dichiarazioni, venivano avviate intercettazioni telefoniche e ambientali, che offrivano un riscontro alle dichiarazioni del M..

Venivano così individuati circa centoquaranta soggetti a suo tempo arrestati da Carabinieri appartenenti al Nucleo radiomobile di Milano, trentuno dei quali, essendo gli altri non reperibili, riferivano di essere stati illegalmente arrestati dal 2001 al 2004 sulla base di un falso rinvenimento di sostanze stupefacenti.

Inoltre, i test effettuati sulle sostanze stupefacenti sequestrate nelle diverse occasioni riferibili a questi fatti, indicavano una composizione qualitativa pressochè identica.

Venivano poi dettagliatamente illustrati gli elementi probatori riferibili a ciascun imputato in relazione ai vari episodi contestati a ciascuno di essi.

3. Ad avviso della Corte di appello, la responsabilità penale degli imputati doveva ritenersi accertata sulla base delle dichiarazioni rese dai trafficanti tunisini – alcune utilizzate ex art. 512 c.p.p. – , del contenuto delle intercettazioni telefoniche e ambientali nonchè di sentenze irrevocabili pronunciate a carico di alcuni dei Carabinieri coinvolti, giudicati separatamente; elementi di cui si dava partita mente e dettagliatamente conto.

4. Ricorrono per cassazione i predetti imputati.

5. Gli avvocati Pellicciotta Massimo e Maurizio Pellicciotta, nell’interesse di M.A., deducono:

5.1. Nullità della sentenza in relazione agli artt. 40, 42, 43, 48 c.p. e artt. 192 e 530 c.p.p., e per mancanza o manifesta illogicità della motivazione.

Gli episodi contestati al M. sono solo quattro e sono ricompresi in un ristretto arco temporale che va dal 23 novembre 2003 al 17 gennaio 2004.

E’ contraddetta dai dati processuali (testimonianze P., Mi. e L.R.) l’affermazione resa nella sentenza impugnata, per la quale, sia pure correggendosi quella di primo grado, le intercettazioni telefoniche e ambientali, successive al gennaio 2004, vennero in parte pregiudicate da una fuga di notizie scoperta dagli indagati, tra cui il M..

Inoltre il M. nell’arco temporale tra il 2000 e il 2006 non ha sempre avuto incarichi di comandante di squadra e, soprattutto, non ha avuto una continuità nelle squadre del Nucleo Radiomobile:

egli infatti è stato in servizio presso l’Ufficio Reparti nel 2000 e presso l’Ufficio Logistico dal febbraio al marzo 2003.

Dalla sentenza irrevocabile del 5 dicembre 2007 della Corte di appello di Milano si ricava che alcuni carabinieri coinvolti potevano avere deciso di non appropriarsi di una somma di denaro proprio in considerazione della presenza del M..

Le dichiarazioni di J.B.L. e di T.F. lo scagionano: il primo ha riferito che nell’ambito di un controllo dei carabinieri, in cui gli fu sottratto del denaro, uno degli operanti tale "(OMISSIS)" e cioè il brig. G., gli disse di non dire nulla a un altro brigadiere che in quel momento era discosto, e che egli riconobbe nel M.; il F. ha riferito che, in occasione di un altro controllo, aveva dato del denaro al brig. Z. mentre l’altro operante e cioè il M. era intento a perquisire la sua macchina, senza accorgersi della dazione di denaro. Il F. ha poi riferito di un altro episodio, a seguito del quale il M. gli sequestrò Euro 800, regolarmente repellati.

D’altro canto Z., G. e B., imputati in separato procedimento, hanno ammesso di avere in diverse occasioni sottratto del denaro ai soggetti sottoposti a controllo alla totale insaputa del M..

Con riferimento, poi, al primo degli episodi addebitato al M. (capi 8, 8A, 8B; relativo al controllo operato nei confronti di A.S. e M.Z. del 26 novembre 2006), non è stata contestata alcuna sottrazione di denaro, e, quanto alla sostanza stupefacente rinvenuta nell’autovettura, il M. non aveva avuto alcun coinvolgimento in tale episodio, essendo stata solo la pattuglia di G. e B. a operare l’inseguimento, conclusosi con l’arrivo ai cancelli della Polizia stradale, dove il M. giunse successivamente.

Con riferimento al secondo episodio (capi 9, 9A, 9B, relativo al controllo operato nei confronti di M.L.), in relazione al quale non è stata contestata alcuna sottrazione di denaro, il M. ha proceduto alla perquisizione personale del fermato e ha rinvenuto nella tasca del L. la somma di Euro 2.920, che è stata integralmente sequestrata, circostanza riconosciuta dalla Corte di appello, che ha tra l’altro frainteso il contenuto della trascrizione del colloquio registrato tra Z. e G., attribuendo l’identità del terzo presente in tale frangente al M., mentre in realtà, come si desume anche dalla pagina 104 della ordinanza cautelare, allegata al ricorso, tale soggetto era da individuare in B.F.. L’operazione, del resto, non era stata frutto di una incursione estemporaneamente decisa dalla pattuglia, essendo stata interamente controllata dalla Centrale Operativa. Inoltre, contrariamente a quanto affermato dai giudici di merito, la sostanza stupefacente di cui il L. si era disfatto all’intervento dei militari, gettandola tra due autovetture, non era affatto corrispondente, per composizione, a quella sequestrata negli episodi di cui ai capi 8 e 11; e il M., che si preoccupò di richiedere via radio notizie alla Centrale sul nominativo del fermato, non poteva certo occuparsi della telefonata intercorsa tra lo Z. e il G..

Con riferimento al terzo episodio (capi 10, 10A, 10B, relativo al controllo operato nei confronti di S.B.), il M. non aveva motivi di sospetto, essendo stata l’operazione monitorata dalla Centrale ed egli, occupato a controllare il fermato, non poteva sospettare che lo Z. stesse chiamando con il proprio cellulare il B.. D’altro canto l’intervento della seconda pattuglia (comandata dal Ba., mai indagato, e non dal B.) era conforme alle direttive generali dell’Arma dei Carabinieri in relazione al numero dei fermati. In ogni caso lo Z. e il B. hanno reso piena confessione circa l’appropriazione del denaro, scagionando completamente il M., e sul punto della attendibilità di tali dichiarazioni i giudici di appello non svolgono alcuna considerazione. Nessuna idonea spiegazione, infine, è resa circa il convincimento della inesistenza del quantitativo di hashish sottoposto a sequestro, che verosimilmente anzi doveva ritenersi essere in possesso del Bo., noto spacciatore.

Con riferimento al quarto episodio (capi 11, 11A, 11B, relativo al controllo operato nei confronti di Z.E.A.B., A.E., H.B.) non è stato contestata alcuna sottrazione di denaro e non si comprende per quale ragione debba ritenersi la falsità del verbale con riferimento alla detenzione di droga da parte dei tre fermati, considerato che sul cellulare sequestrato al B. giungevano numerose telefonate di tossicodipendenti che richiedevano consegne di droga. In ogni caso lo Z. e il G. hanno reso confessione circa l’appropriazione di una somma di denaro detenuta dai fermati, divisa anche con il Be., scagionando completamente il M.. Del resto i tre fermati, pur incorrendo in numerose contraddizioni, hanno affermato che i carabinieri che li avevano perquisiti sotto il ponte ove si trovavano erano tre, mentre un quarto era rimasto vicino alle macchine, parcheggiate sopra il ponte. Anche per questo episodio vale la considerazione per cui la droga sequestrata non aveva affatto composizione analoga a quella oggetto della operazione di cui al capo 9. 5.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in punto di mancata ammissione del M. al patteggiamento richiesto alla udienza preliminare e poi in apertura di dibattimento di primo grado e in sede di discussione finale con riferimento agli addebiti di falso ideologico di cui ai capi 9A e 10A. Erroneamente la richiesta è stata ritenuta inammissibile essendo stata formulata solo con riferimento a una parte delle imputazioni. Quanto alla ritenuta inadeguatezza della pena, ritenuta dalla Corte di appello, questa valutazione è sfornita di motivazione.

5.3. In subordine, violazione di legge e vizio di motivazione in punto di mancato riconoscimento dell’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, tenuto conto dei pochi fatti addebitati al M. e alla quantità modesta delle sostanze stupefacenti.

6. L’avv. Ciro M. Paparo, nell’interesse di M.M. e C.V., deduce:

6.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata acquisizione da parte della Corte di appello della documentazione inerente al separato procedimento davanti alla Decima Sezione del Tribunale di Milano conclusosi, in senso assolutorio, nei confronti di S.F., imputato del medesimo reato di cui ai capi 15 e seguenti e degli stessi M. e C., con riferimento ad altre ipotesi di reato, connesse alla vicenda riguardante il presente procedimento, nonchè di ulteriori atti processuali rilevanti.

6.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al mancato esame specifico della posizione dei ricorrenti, illegittimamente genericamente ricondotta alle complessive condotte, riguardanti diversi imputati, considerate nel presente procedimento.

6.3. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento ai punti specificamente dedotti nell’atto di appello sulla valutazione delle dichiarazioni degli imputati extracomunitari.

6.4. Violazione di legge ( art. 512 c.p.p.) e vizio di motivazione con riguardo alla lettura di dichiarazioni rese nel corso delle indagini da soggetti di cui, in base alle circostanze di fatto, doveva presumersi la successiva non reperibilità. 6.5. Erronea valutazione delle prove a carico degli imputati, sulla cui condotta specifica nulla è stato riferito da parte dei dichiaranti, che individuano nel "(OMISSIS)", e cioè nell’imputato G. il ruolo di comando in tutte le operazioni di polizia.

Con riferimento ai capi da 15 a 15C, il C. compare solo in virtù della sottoscrizione del verbale, essendo egli, in qualità di autista, rimasto sempre nell’autovettura di servizio; mentre il Ma. si trovava in locali diversi dal bagno dove il G. e il B. avrebbero trovato la droga.

Anche con riferimento ai capi da 16 a 16B, addebitati al solo M., l’imputato, come chiarito dalle ultime dichiarazioni di A.A. e da quelle di M.A., non era presente al rinvenimento della sostanza stupefacente, e, comunque, in relazione a questa operazione non è stato contestata alcuna appropriazione di denaro.

Nessun peculato è stato contestato, inoltre, con riferimento ai capi da 17 a 17B, a fondamento del quale sono state poste le dichiarazioni di R.B., illegittimamente acquisite ex art. 512 c.p.p..

Con riferimento a tutte le imputazioni, poi, nessun coinvolgimento degli imputati si può ricavare dalle dichiarazioni dei coimputati B., G., F. e R. nè dalle intercettazioni ambientali eseguite nei loro confronti.

6.6. In subordine, mancata valutazione delle deduzioni avanzate in via gradata circa il riconoscimento dell’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, l’assorbimento del reato di falso in quello di calunnia e la derubricazione del reato di peculato in quello di abuso di ufficio.

6.7. Erronea configurazione della fattispecie di cui all’art. 40 c.p., comma 2, non essendo gli imputati a conoscenza della condotta posta in essere dai loro colleghi, in quanto impegnati in diverse operazioni.

6.7. Assoluta omessa valutazione della riconoscibilità delle attenuanti generiche, su cui verteva uno specifico motivo di appello, e illogica reiezione del motivo concernente la configurabilità dell’attenuante di cui all’art. 114 c.p..

6.7. Declaratoria di prescrizione dei reati di cui ai capi 15, 15B, 16 e 17, maturata prima della sentenza impugnata.

In data 7 maggio 2011, l’avv. Paparo, nell’interesse dei suoi assistiti, ha depositato memoria, cui è allegata copia della sentenza del Tribunale di Milano in data 15 dicembre 2009 a carico di C.V. e altri.

Motivi della decisione

1. Va innanzi tutto preso atto, nei confronti di M. e C., della intervenuta prescrizione dei reati di calunnia di cui ai capi 15, 16 e 17, commessi, nell’ordine, il (OMISSIS), essendo decorso il termine massimo (tenuto conto delle interruzioni) di sette anni e sei mesi ex art. 157 c.p., e art. 161 c.p., comma 2, e considerato che il massimo della pena per tale reato è edittalmente fissato in sei anni.

2. E’ infondato il motivo proposto da M. in punto di mancata ammissione al patteggiamento con riferimento agli addebiti di falso ideologico di cui ai capi 9A e 10A, posto che, come più volte affermato da questa Corte, è inammissibile una richiesta di patteggiamento parziale, ossia proposta per talune soltanto delle imputazioni contestate nell’ambito di un processo cumulativo (v. fra le altre Sez. 2, n. 28696 del 08/07/2010, Azzolina, Rv. 248208), dato che verrebbe altrimenti frustrata la funzione deflativa propria di tale rito speciale (Sez. 1, n. 6703 del 12/01/2006, Ignacchiti, Rv.

233409; Sez. 3, n. 20899 del 16/02/2001, Ardigò, Rv. 218837).

3. E’ manifestamente infondata la doglianza di M. e C. in punto di mancata ammissione della produzione del dispositivo di altra sentenza riguardante un coimputato giudicato separatamente, ostandovi il disposto dell’art. 238 bis c.p.p. (che non si riferisce a "dispositivi" ma a "sentenze", per di più irrevocabili); nonchè di mancata ammissione della produzione degli atti probatori assunti in quel procedimento, svoltosi, a quanto dedotto, con il rito abbreviato, ostandovi il disposto dell’art. 238 c.p.p. (che consente esclusivamente la produzione di "prove assunte nell’incidente probatorio o nel dibattimento").

4. E’ infondato il motivo con il quale i predetti due ricorrenti si dolgono della lettura delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini da parte di tre persone offese, disposta a norma dell’art. 512 c.p.p.: come esattamente osservato dalla sentenza di primo grado (cui si rifà quella di appello) si trattava di soggetti extracomunitari detenuti o residenti in Italia, ove essi coltivavano interessi familiari o lavorativi, e di cui, pertanto, nonostante la loro condizione di irregolari, non era prevedibile la successiva irreperibilità, sulla base di una valutazione prognostica per nulla irragionevole (v. tra le altre, in simile fattispecie, Sez. 1, n. 32616 del 19/05/2009, Dumani, Rv. 244294; Sez. 1, n. 17212 del 17/03/2008, Butler, Rv. 239617; Sez. 3, n. 6636 del 17/11/2009, dep. 18/02/2010, Dzbari, Rv. 246181); nè risulta violato il disposto dell’art. 526 c.p.p., comma 1 bis, dato che la prova della responsabilità degli imputati è stata solo parzialmente fondata su tali dichiarazioni (v. Sez. U, n. 36747 del 28/05/2003, Torcasio, Rv.

225470).

5. Con riferimento alla prima parte di ciascun addebito enunciato nei capi 9A e 10A, riguardanti M. (quanto al primo, falsa attestazione che Mo.Lb., datosi alla fuga, aveva gettato tra le auto in sosta un quantitativo di eroina; quanto al secondo, falsa attestazione secondo cui dall’autovettura condotta da Bo.Sa. erano scesi due extracomunitari prima dell’intervento dei carabinieri), l’imputato è sostanzialmente confesso. E le argomentazioni del ricorrente circa la mancanza dell’elemento psicologico del reato o circa la innocuità della falsificazione della realtà appaiono generiche e comunque frutto di mere ipotesi ricostruttive, sicchè esse devono ritenersi inammissibili.

Il ricorso va pertanto rigettato su detti capi.

6. Quanto ai restanti reati (compresa la parte residua di cui ai capi 9A e 10A), occorre preliminarmente precisare che, secondo l’assunto accusatorio, recepito dai giudici di merito, alcuni militari appartenenti al Nucleo Radiomobile dei Carabinieri di Milano, tra cui gli attuali ricorrenti e altri separatamente giudicati, sfruttavano deliberatamente occasioni propizie per appropriarsi di denaro in possesso di cittadini extracomunitari sottoposti a controllo in operazioni di polizia giudiziaria in relazione a reati di detenzione illecita di sostanze stupefacenti, facendo falsamente apparire nelle relazioni di servizio, a giustificazione di dette operazioni, che i soggetti sottoposti a controllo erano stati trovati per l’appunto in possesso di tali sostanze, in realtà spesso provenienti da una illecita "provvista" precedentemente costituita dai militari.

La causale di una simile reiterata condotta criminosa (intenzione di appropriarsi di denaro lecitamente in possesso degli extracomunitari anche attraverso false operazioni di sequestro di sostanze stupefacenti) presuppone che negli addebiti mossi agli imputati ci si riferisca, appunto, ad abusive sottrazioni di denaro; poichè in difetto di tale elemento materiale, e in mancanza di una contestazione che faccia riferimento a una realtà associativa ex art. 416 c.p., idonea a collegare le varie condotte nell’ambito di un generico e unitario programma criminoso a prescindere dalle sue concrete realizzazioni, viene messa in crisi la decifrabilità del costrutto accusatorio; con la conseguenza che dovrebbe essere rivisitata, in una diversa luce, la tenuta dei vari elementi probatori addotti a sostegno dell’affermazione di responsabilità penale dei vari concorrenti nei singoli reati.

Per la verità, nella sola sentenza di primo grado si avanza la ipotesi (p. 76) che il movente di simili azioni criminose possa rinvenirsi anche nella finalità degli imputati di acquisire meriti presso i superiori onde ottenere vantaggi di carriera; ma di tale supposizione non si offre alcun preciso riscontro obiettivo, anche di natura logica, atto a confortarla.

Ora, solo per quanto concerne le operazioni cui si riferiscono il capo 10B ( M.) e il capo 15B ( Ma. e C.), sui quali subito oltre ci si soffermerà, è stata contestata la sottrazione di denaro, mentre per tutti gli altri episodi manca un simile riferimento, ed anzi in alcuni di essi si da atto dell’intervenuto sequestro di somme di denaro; e nè la sentenza impugnata nè quella di primo grado hanno offerto, per essi, una spiegazione logica della condotta criminosa ascritta agli imputati, atta, come detto, a chiarire le rispettive responsabilità.

Con riferimento agli episodi di cui ai capi 16A e 16B (contestati a M.), va inoltre osservato che nella sentenza impugnata si identifica il militare con il "pizzetto" nel G. (v. ivi a p. 21), con ciò introducendosi una radicale contraddizione su questo decisivo particolare (solo in via di mera ipotesi riconducibile a un errore materiale) con quanto risulta dalla sentenza di primo grado, che (v. p. 96) attribuisce tale descrizione a M..

7. Vanno dunque ora presi in considerazione gli episodi per i quali è stata contestata la sottrazione del denaro.

Per quanto concerne quello di cui trattano i capi 10 e 10B, contestati a M., in concorso con Z.M. e B.F. (giudicati separatamente), va osservato che questi ultimi, come appare dalla sentenza di primo grado (che giudica sbrigativamente la loro versione "non plausibile": p. 45) hanno escluso un coinvolgimento del ricorrente; e su tale decisivo punto, investito dai motivi di appello, la sentenza impugnata non reca alcuna risposta, affermandosi in essa solo che il ruolo di capo- pattuglia del M. comportava necessariamente un suo accordo con gli altri due.

Quanto all’altro episodio di cui ai capi 15A e 15B, contestato a Ma. e a C. (in concorso con G.G. e B.F.), va rilevato che la sentenza impugnata, dopo avere osservato che era stato G. (il "(OMISSIS)") a estrarre la droga da un cassetto della caserma (per addebitarne falsamente la riconducibilità ai soggetti arrestati), non tiene in adeguato conto le dichiarazioni di H.E., secondo cui nel momento antecedente della perquisizione domiciliare (ove la droga sarebbe stata falsamente "reperita" dallo stesso G.) non era presente C. (che era rimasto in macchina); e che, quanto a M., la stessa sentenza fa leva contraddittoriamente sulle dichiarazioni del coimputato B., che pure (come si evince più dettagliatamente dalla sentenza di primo grado, a p. 71) aveva affermato che era stato solo G. a entrare nel bagno dell’appartamento degli extracomunitari uscendone con un quantitativo di sostanza stupefacente. Si tratta di aspetti fondamentali, perchè solo la consapevolezza della falsità della rappresentazione del reperimento della droga in casa dei perquisiti può legare risolutivamente la posizione di C. e di Ma. a quello di G. (reo confesso nel separato procedimento). Il tutto considerando che se fosse vero il postulato di una "scorta" di droga precostituita dai militari, non si vede per quale ragione, essendo tutti d’accordo fosse necessario creare il messinscena del reperimento della droga nell’abitazione anzichè semplicemente costituire il "corpo del reato" in caserma, prelevandolo dal cassetto, come pure sembra essere stato accertato.

8. Date le precisate lacune logico-argomentative, la sentenza impugnata va annullata, con rinvio, per una più approfondita motivazione su tutti i capi diversi da quelli sub 9A, 10A, 15, 16 e 17, ad altra sezione della Corte di appello di Milano.

In tale statuizione devono ritenersi assorbiti i restanti motivi.

P.Q.M.

Rigetta i, ricorso di M.A. limitatamente ai capi 9A e 10A con riferimento alla prima parte di entrambe le contestazioni.

Annulla nel resto la sentenza impugnata nei confronti dello stesso M. con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano per nuovo giudizio Annulla la medesima sentenza nei confronti di M.M. e C.V., senza rinvio limitatamente ai reati di cui ai capi 15, 16 e 17 perchè estinti per prescrizione e rinvia per nuovo giudizio in ordine alle residue imputazioni ad altra sezione della Corte di appello di Milano.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *