T.A.R. Lombardia Milano Sez. II, Sent., 03-11-2011, n. 2618 Condono

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La ricorrente è comproprietaria di un compendio immobiliare catastalmente identificato al Fg. 11 mappali 53, 172 e 174, destinato in parte dal P.R.G. vigente a zona produttivaartigianale "D3", in parte ad area di interesse comunale "F1", sottoposta a vincolo paesaggisticoambientale in quanto ricadente nella fascia di rispetto del fiume Lambro.

Nel corso degli anni sul compendio in questione sono stati realizzati diversi interventi abusivi, per regolarizzare i quali, il 28.03.1986, è stata presentata una domanda di sanatoria ai sensi della L. n. 47/1985, riguardante un capannone principale, un capannone secondario ed una pensilina (cfr. relazione all. sub doc. n. 5 parte ricorrente).

Il Comune di Cologno Monzese (da ora anche solo il Comune) con la concessione in sanatoria n. 2505 del 01.09.1992 ha accolto solo in parte la domanda, limitatamente al capannone allocato in zona D2.

In pari data, tuttavia, lo stesso Comune, su richiesta della stessa parte, ha rilasciato la C.E. (pratica n.7430) per l’"ampliamento edificio artigianale previa demolizione del capannone oggetto del condono edilizio n. 2505 dell’1.9.1992" (cfr. doc. all. n. 14 di parte ricorrente), recante l’esplicita previsione (sub punto n.9) che "l’inizio dei lavori relativi alla presente concessione è subordinato alla demolizione del capannone oggetto del condono edilizio n. 2505 dell’1.09.1992".

In seguito a sopralluogo del 1° dicembre 1999, il Comune ha riscontrato che:

– l’ampliamento oggetto della concessione n.7430 è stato realizzato senza previa demolizione dell’immobile di cui al condono n. 2505;

– era presente una tettoia in ferro oggetto di diniego di condono del 9.12.1998.

Di tali opere il Comune ha ordinato la demolizione, con ordinanza datata 30.12.1999, che ha avuto specificamente ad oggetto:

– le opere interessate dal condono del 1992 (pratica n. 2505), con particolare riguardo all’edificio adibito a magazzinolaboratorio, realizzato in ferro, con tamponamenti in muratura, che avrebbe dovuto essere demolito in forza della previsione di cui alla C.E. del 1992 (pratica n.7430), avendo la ricorrente realizzato l’ampliamento dell’edificio artigianale previsto da quest’ultima concessione;

– la tettoia in ferro oggetto della richiesta di condono presentata il 28.03.1986, denegata con provvedimento datato 9.12.1998.

Detta ordinanza, benché notificata all’interessata il 04.01.2000, non è mai stata eseguita, pur non essendo mai stata oggetto d’impugnazione, come confermato da parte ricorrente che da ciò, cioè dalla circostanza che il Comune non avrebbe mai eseguito l’ordinanza, trae argomento per sostenere che l’inerzia del Comune avrebbe ingenerato un legittimo affidamento dell’esponente, sulla possibilità di mantenimento in loco degli abusi come sopra realizzati.

Si giunge, così, al 10.12.2004, data in cui l’esponente – facendo leva sul nuovo P.R.G., che ormai destina tutta l’area ad attività industriale – ha presentato al Comune una nuova domanda di condono edilizio, concernente tutte le opere abusive realizzate nel compendio in questione.

A questo punto il Comune, con provvedimento del 12.12.2007, notificato il 20.12.2007, ha respinto la domanda di condono, facendo leva sull’art. 32, co. 27° della L.n. 326/2003.

Contro tale atto è insorta l’istante, deducendone la illegittimità sotto più profili.

Si è costituito il Comune di Cologno Monzese, controdeducendo con separata memoria alle censure avversarie.

Con successivi motivi aggiunti, notificati il 22.12.2010 e depositati il 29.12.2010, la ricorrente ha esteso l’impugnazione all’ingiunzione di ripristino dello stato dei luoghi n. 239 del 01.10.2010, notificata il 22.10.2010, relativa a sopralluogo del 7.7.2010 (da cui sarebbe emersa la mancata ottemperanza alla precedente ordinanza di demolizione del 30.12.1999, mai impugnata).

Ha resistito il Comune con memoria depositata il 10.01.2011.

In data 11 gennaio 2011 la ricorrente ha depositato materiale fotografico a dimostrazione della rimozione della "struttura con copertura in pvc".

Con ordinanza del 14 gennaio 2011, n.108, la Sezione ha accolto, limitatamente alla ordinanza di demolizione impugnata con i motivi aggiunti, la formulata domanda cautelare.

In prossimità della data fissata per la discussione del merito entrambe le parti hanno depositato memorie e repliche.

La difesa ricorrente ha avanzato una richiesta di cancellazione delle espressioni offensive contenute nella memoria della difesa comunale depositata il 6 giugno 2011.

Alla pubblica udienza del 7 luglio 2011 il Collegio, sentite le parti (che ai preliminari si sono riportate ai rispettivi scritti defensionali), ha trattenuto la causa per la decisione.

Motivi della decisione

Preliminarmente, rileva il Collegio come, per comodità espositiva, sia opportuno riportare dapprima le ragioni addotte dalla ricorrente a sostegno sia del ricorso che dei motivi aggiunti, accingendosi, di seguito, alla loro trattazione congiunta, trattandosi di questioni fra loro strettamente connesse.

A) Iniziando dal ricorso introduttivo, va notato come, con esso, venga rubricato un unico motivo, articolato come segue:

1) l’esponente deduce, in estrema sintesi, la violazione e falsa applicazione dell’art. 32, co. 27° della legge n. 326/2003, nonché degli artt. 32 e 33 della legge n.47/1985 e della legge regionale n. 31/2004; la violazione e falsa applicazione della circolare del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti n. 2699/2005; del d.P.R. n. 380/2001 e della legge reg. n.12/2005; la violazione del principio di buon andamento e di imparzialità della p.a.; dell’art. 3 della legge n. 241/1990; la violazione delle NTA del PRG, nonché, l’eccesso di potere per carenza di motivazione, errata valutazione dei presupposti di fatto e di diritto e contraddittorietà.

Ciò, in quanto, secondo la tesi esponente, la preclusione indicata dal citato comma 27° dovrebbe essere interpretata come relativa "alle sole situazioni di contrasto urbanistico – attinenti cioè alle funzioni d’uso del territorio – e non anche a quelle di rilievo meramente edilizio".

Inoltre, la porzione immobiliare di cui sarebbe stato denegato il condono rappresenterebbe un "unicum" con la restante porzione immobiliare, già condonata nel 1992, quando già esisteva il vincolo di in edificabilità (imposto nel 1978), senza che possa rilevare al riguardo, sempre secondo l’esponente, la circostanza che detta porzione, condonata nel 1992, sia stata poi oggetto di ordinanza di demolizione del 1999 divenuta allo stato inoppugnabile. Ancora, il predetto provvedimento risulterebbe afflitto da carenze istruttorie e motivazionali, poiché non spiegherebbe quali sono, in concreto, tenuto conto, cioè, delle caratteristiche e del tipo di vincolo (idrogeologico) insistente sull’area, le situazioni di pericolosità provocate dalle opere abusive in questione. Da ultimo si rileva la contraddittorietà dell’operato comunale, che avrebbe continuato ad incassare i pagamenti dell’I.C.I. anche rispetto alla porzione immobiliare di cui è stato denegato il condono.

B) Quanto ai motivi aggiunti, con essi, dopo avere premesso che l’ordinanza di demolizione da essi attinta concerne, oltre alle opere oggetto del diniego di condono e già destinatarie dell’ingiunzione n.1071/99, anche la realizzazione di un’ulteriore struttura composta da tubolari di ferro ricoperti da telo di p.v.c., si deduce quanto segue:

1) con il primo motivo aggiunto, la illegittimità per invalidità derivata dagli stessi vizi già dedotti col ricorso introduttivo avverso il diniego di condono, che vengono quindi integralmente richiamati.

2) Col secondo motivo, l’esponente deduce la contraddittorietà intrinseca dell’operato del Comune, che non avrebbe atteso la pronuncia di questo Tribunale sul ricorso avverso il diniego di condono. Né rileverebbe la presenza di una precedente ingiunzione di demolizione del "99 mai impugnata, poiché la stessa sarebbe stata posta nel nulla dalla successiva presentazione da parte ricorrente della domanda di sanatoria ai sensi della L. n.326/2003.

3) Con il terzo motivo si deduce la violazione degli artt. 7 e ss della legge n. 241/1990, poiché l’ordinanza di demolizione sarebbe stata resa all’esito di un procedimento a cui la ricorrente sarebbe rimasta estranea, senza la possibilità di applicare qui l’art. 21 octies.

4) Con l’ultimo motivo, infine, l’esponente deduce la violazione dell’art. 31 d.P.R. n. 380/2001, nonché l’eccesso di potere per travisamento, poiché l’opera ulteriore rispetto a quello che è stata oggetto di diniego di sanatoria, ovvero la struttura tubolare con copertura in pvc rivestirebbe carattere precario che non necessiterebbe di titolo edilizio. In ogni caso, l’esponente medesima si dichiara disponibile alla rimozione di tale struttura.

C) Il Collegio ritiene che il ricorso introduttivo e i motivi aggiunti siano infondati e debbano, pertanto, essere respinti.

In tal senso, si reputa utile richiamare, in primo luogo, la disciplina introdotta dal D.L. 3092003 n. 269 (recante "Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici"), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, L. 24 novembre 2003, n. 326, che, all’art. 32, detta "Misure per la riqualificazione urbanistica, ambientale e paesaggistica, per l’incentivazione dell’attività di repressione dell’abusivismo edilizio, nonché per la definizione degli illeciti edilizi e delle occupazioni di aree demaniali".

Ebbene, il comma 27° della citata norma così dispone:

"Fermo restando quanto previsto dagli articoli 32 e 33 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, le opere abusive non sono comunque suscettibili di sanatoria, qualora:

… d) siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici;…".

La citata disposizione non lascia adito a dubbi sulla non sanabilità degli abusi edilizi realizzati in zone soggette a vincolo idrogeologico, quali sono, appunto, quelli oggetto degli atti qui impugnati (cfr., ex multis, Cassazione penale, sez. III, 17 febbraio 2010, n. 16471; Cass., Sez. 3^ 12.1.2007, n. 6431; 5.4.2005, n. 12577; 1.10.2004, n. 38694; 24.9.2004, n. 37865).

Nessuna parte della disposizione anzi citata autorizza, poi, l’interpretazione restrittiva fornitane dall’esponente, che vorrebbe limitarne l’applicazione soltanto ai casi "di contrasto urbanistico – attinente cioè alle funzioni d’uso del territorio – e non anche a quelle di rilievo meramente edilizio" (cfr. pg. 1 del ricorso).

Nel caso di specie sussiste, invece, un evidente contrasto dell’intervento abusivo con il vincolo di inedificabilità esistente in detta zona, trattandosi di immobile ricadente nella fascia di profondità di 50 mt dal fiume Lambro, vincolo originariamente istituito per una fascia di profondità di 100 mt dalla sponda del fiume, con decreto di approvazione del PRG n. 19667 del 14.11.1978, in diretta attuazione degli artt. 39 e 43 della legge regionale n. 51 del 15.04.1975, portato poi ad una fascia di 50 mt. con d.C.C. n. 70 del 22.02.1982 (cfr. per una rappresentazione grafica dell’incidenza della predetta fascia quanto documentato dalla stessa ricorrente nelle tavole allegate sub n. 19, come integrazione da parte di AR.G.A. srl alla domanda di condono edilizio).

In tali evenienze, è irrilevante il mancato accertamento da parte dell’amministrazione dell’assenza di pericolosità in concreto dell’abuso rispetto alle esigenze sottese all’apposizione del vincolo, non disponendo, al riguardo, l’amministrazione di alcun margine di discrezionalità (cfr., ex multis, Consiglio Stato, sez. VI, 17 maggio 2010, n. 3064, secondo cui: "…deve ritenersi corretto l’operato dell’autorità preposta alla tutela del vincolo… che non abbia svolto accertamenti sulle caratteristiche dell’immobile oggetto dell’istanza di condono che insiste in area sottoposta a vincolo idrogeologico, al fine di valutare la sua eventuale compatibilità con le ragioni del vincolo stesso; infatti, l’amministrazione non dispone di alcun potere discrezionale in merito al rilascio del nullaosta, stante l’assoluta preclusione normativa,…". Nello stesso senso cfr.: Cons. Stato, Sez. IV, 12 maggio 2009 n. 2905; T.A.R. Campania Salerno, sez. II, 14 gennaio 2011, n. 26, ove pure si precisa che, la condizione imposta dalla citata norma, del rispetto delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, "… costituisce una novità rispetto alle precedenti leggi sul condono edilizio, che ha dato vita ad un meccanismo di sanatoria che si avvicina fortemente all’istituto dell’accertamento di conformità, previsto dall’art. 36 T.U. 6 giugno 2001 n. 380;…"; T.A.R. Trentino Alto Adige Trento, sez. I, 23 novembre 2009, n. 285; T.A.R. Campania – Napoli, Sez. VII, 20 marzo 2009, n. 1556).

Né si può condividere la ricostruzione che dell’odierna vicenda fornisce l’esponente, la quale considera l’abuso denegato con il provvedimento del 12.12.2007, come ampliamento dell’immobile condonato con la sanatoria n. 2505 del 1992.

A ben vedere, infatti, l’immobile oggetto di tale ultima sanatoria appare edificato sine titulo, a seguito dell’ampliamento ottenuto e realizzato dall’esponente, in forza della concessione n.7430/1992 cit.

Tale ultimo provvedimento, in sostanza, mai attinto da alcuna impugnazione, ha imposto all’istante – come condizione per accedere all’ampliamento da esso concesso – la previa demolizione del capannone oggetto della sanatoria n.2505 cit. (stante l’incompatibilità con le prescrizioni urbanistiche di zona del cumulo delle due volumetrie, come esplicitata nei calcoli allegati alla C.E. n.7430).

Ebbene, come chiaramente emerge dal sopralluogo dei tecnici comunali n. 1903, dell’1.12.1999, poi trasfuso nell’ordinanza di demolizione n. 1071, l’esponente – pur avendo realizzato l’ampliamento di cui alla concessione n.7430/1992 – ha disatteso la prescrizione che gli imponeva di demolire l’edificio oggetto del provvedimento n.2505.

Di tutto ciò dà atto l’ingiunzione di demolizione n.1071, che – giova ribadire – risulta ormai inoppugnabile.

Né si può ritenere, come adombra di ritenere l’esponente, che la stessa sia divenuta ininfluente ai fini che qui occupano, a seguito della presentazione della domanda di sanatoria del dicembre 2004, posto che, la predetta domanda riguarderebbe, stando alle tavole ad essa allegate e versate in atti (cfr. documenti all. sub. n. 19 di parte ricorrente), soltanto l’ampliamento destinato a laboratorio e non anche la parte ivi descritta come "porzione di edificio già condonato – condono n. 2505 del 01/09/1992".

Ne consegue che – quanto alla porzione da ultimo specificata – oggetto di ingiunzione di demolizione n.1071, mai attinta da domanda di sanatoria, la stessa risulta realizzata sine titulo e, come tale, inidonea a rappresentare il termine di riferimento dell’ampliamento denegato col provvedimento del 12.12.2007.

In tal senso, vanno condivise le considerazione espresse dalla difesa comunale, volte a negare la configurabilità del vincolo pertinenziale, rilevante ai fini del condono che qui occupa, tra l’ampliamento oggetto della domanda del 10.12.2004 e la porzione di edificio condonata nel 1992 (prat. n. 2505) ma oggetto dell’ingiunzione di demolizione n. 1071.

In definitiva, quindi, i presupposti fattuali oggetto dell’odierno diniego risultano puntualmente accertati dall’amministrazione nel sopralluogo dei tecnici comunali n. 1903 dell’1.12.1999, poi trasfuso nell’ordinanza di demolizione n. 1071, divenuta allo stato inoppugnabile.

Nessuna sopravvenienza avrebbe giustificato, successivamente a tale ordinanza, la necessità di un ulteriore sopralluogo, avendo l’amministrazione deciso sulla base della documentazione fornita dalla stessa ricorrente in occasione della domanda di sanatoria presentata il 10.12.2004, riproducente gli stessi immobili già oggetto dei provvedimenti dell’amministrazione sin qui richiamati.

Nessun pregio rivestono, infine, le censure che additano al difetto di motivazione, stante il carattere vincolato del diniego, in virtù del combinato disposto dell’art. 32 co. 27 lett. d) cit. e delle prescrizioni di zona recanti l’apposizione del ridetto vincolo idrogeologico, per una fascia di 50 m. dal fiume Lambro, entro la quale si collocano, come riportato nella stessa domanda di condono del 10.12.2004 e nella relazione di parte ricorrente allegata sub. n. 30, gli immobili abusivi in questione.

Analogamente prive di pregio risultano, poi, le considerazione esposte dal patrocinio ricorrente a proposito dell’affidamento suscitato dal contegno del Comune, che non avrebbe portato ad esecuzione l’ordinanza di demolizione del 30.12.1999, pur avendo continuato a riscuotere l’I.C.I. sull’immobile abusivo, posto che, da un lato, la perduranza nel tempo dell’opera priva del necessario titolo edilizio ne rafforza il carattere abusivo, trattandosi di illecito permanente, il che preserva il potere – dovere dell’Amministrazione di intervenire nell’esercizio dei suoi poteri sanzionatori; e, d’altro canto, non può ritenersi che, nel tempo intercorso tra l’emanazione dell’ordinanza e il diniego in contestazione, l’amministrazione ha dato causa ad atti che abbiano, anche implicitamente, ammesso la regolarità dell’opera realizzata (non inverando ciò la mera riscossione dell’I.C.I., come risultante dai bollettini allegati).

C) Per le suesposte considerazioni, quindi, il ricorso introduttivo deve essere respinto.

D) Quanto ai motivi aggiunti, è sufficiente notare come:

– l’infondatezza del ricorso introduttivo tragga seco anche quella del primo motivo aggiunto, con cui si deduce l’invalidità derivata dal diniego oggetto dell’impugnazione principale;

– non sussiste alcuna contraddittorietà dell’operato comunale che, a seguito del diniego di sanatoria, tutt’ora pienamente efficace, ha legittimamente adottato l’ordinanza di demolizione, attinta dai motivi aggiunti;

– non risultano fondate neppure le lamentate violazioni procedimentali, atteso che non sono emerse in corso di causa circostanze che l’esponente avrebbe potuto utilmente rappresentare, tenuto conto che l’adozione dell’ordinanza di demolizione rappresenta l’espressione di un potere vincolato in quanto caratterizzato da nesso di necessaria consequenzialità rispetto al diniego di condono delle medesime opere abusive;

– risulta inammissibile, prima ancora che infondato, l’ultimo motivo aggiunto, avendo la ricorrente documentato l’avvenuta rimozione della struttura con tubolari ricoperta in pvc.

E) Per le superiori considerazioni, anche i motivi aggiunti devono essere respinti.

F) Quanto alla domanda di cancellazione delle espressioni offensive avanzata dalla difesa ricorrente, il Collegio ritiene di poterla respingere, tenuto conto che, il senso delle espressioni usate dal patrocinio resistente attiene all’oggetto della causa e non appare ispirato dal mero intento di offendere la parte avversaria (cfr. Consiglio di Stato 27/9/2004 n. 6291; T.A.R. Lombardia, ord. 19/05/2011 n. 837; sent.17/3/2008 n.556; T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 18 giugno 2007, n. 5534).

G) Conclusivamente, il ricorso e i motivi aggiunti in epigrafe specificati devono essere respinti.

H) Le spese di lite, in considerazione della complessità della vicenda fattuale sottesa all’odierno gravame, possono essere integralmente compensate tra le parti costituite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul ricorso e i motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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