Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 02-03-2012, n. 3298 Ordinanza ingiunzione di pagamento: opposizione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza depositata in data 27 gennaio 2006 il Tribunale di Taranto ha rigettato l’opposizione proposta da A.M. avverso l’ordinanza ingiunzione n. 433 del 24 giugno 2002, per un ammontare di Euro 66.645,00, emessa nei suoi confronti dal locale Ufficio Provinciale del Lavoro per violazione delle disposizioni di cui alla L. n. 608 del 1996, art. 9 quater, comma 4, in relazione all’omessa comunicazione, al competente CTI (Centro territoriale per l’impiego) e all’INPS, dell’assunzione di alcuni lavoratori, e all’omessa consegna ai lavoratori medesimi, all’atto dell’assunzione, del terzo esemplare del registro d’impresa. In particolare il Tribunale, premesso che le suddette violazioni erano state imputate al ricorrente nella sua qualità di amministratore della GEA s.r.l., riteneva infondata la tesi dello stesso – secondo cui non sussistevano le violazioni contestate atteso che i lavoratori erano stati assunti da diversa società (la Diamante soc. coop. a r.l.) con la quale la GE.A. s.r.l. aveva stipulato un contratto avente ad oggetto la raccolta del prodotto, il confezionamento ed il caricamento dello stesso sui mezzi di trasporto – avendo ritenuto la sussistenza, nel caso di specie, di un appalto di mere prestazioni di lavoro con la conseguente applicazione della disposizione di cui alla L. n. 1369 del 1960, art. 1, u.c..

Per la cassazione della sentenza propone ricorso A.M. affidato a due motivi. La Direzione Provinciale del Lavoro di Taranto resiste con controricorso.

Il Collegio ha disposto che sia adottata una motivazione semplificata.

Motivi della decisione

Col primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 3 e della L. n. 608 del 1996, art. 9 quater. Deduce che erroneamente il giudice ha ritenuto l’ A. responsabile delle violazioni de quibus atteso che questi, come risultava dalla documentazione in atti, non era legale rappresentante della GE.A. s.r.l. ma soltanto amministratore delegato.

La censura è inammissibile.

Secondo il costante insegnamento di questa Corte di legittimità (cfr., ad esempio, Cass. 21 febbraio 2006 n. 3664; Cass. 23 maggio 2006 n. 12088), qualora una determinata questione giuridica, che implichi un accertamento di fatto, non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa. Nella specie, premesso che la sentenza impugnata non contiene alcun riferimento alla questione di cui alla censura in esame, deve osservarsi che anche il ricorso è privo di specifiche allegazioni circa l’avvenuta sottoposizione al giudice del profilo inerente all’assenza di responsabilità dell’ A. in relazione alla sua qualità di amministratore delegato e non già di legale rappresentante della GEA s.r.l.; ne consegue che, in applicazione dei suddetti principi il motivo deve essere considerato inammissibile.

Con il secondo motivo parte ricorrente denuncia vizio di insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio ( art. 360 c.p.c., n. 5). Deduce che era mancata una dettagliata analisi della sussistenza dei presupposti di violazione del divieto di intermediazione e interposizione del rapporto di lavoro di cui alla L. n. 1369 del 1960, art. 1. Lamenta in particolare la mancata ammissione della prova per testi ritualmente richiesta.

Il motivo è infondato.

Questa Corte ha già ripetutamente chiarito (Cass. 15 gennaio 2008 n. 657) che, in tema di appalto di prestazioni di lavoro di cui alla L. n. 1369 del 1960, art. 1 la valutazione dei presupposti fattuali ai fini dell’accertamento della sussistenza in concreto degli estremi della fattispecie legale da luogo ad un giudizio di fatto riservato al giudice di merito ed è, perciò, insindacabile in sede di legittimità se sorretta da adeguata motivazione. E’ stato altresì precisato (Cass. 21 dicembre 2010 n. 25866) che il vizio di motivazione sussiste quando la pronuncia riveli un’obiettiva carenza nell’indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, senza alcuna esplicitazione nè disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito.

Nel caso di specie non sussiste l’allegato vizio di motivazione avendo la sentenza impugnata enunciato in modo logico ed adeguato le ragioni poste alla base delle conclusioni circa la sussistenza di una violazione del divieto di appalto di mere prestazioni di lavoro. Il giudice di merito ha osservato che, dagli elementi di valutazione acquisiti agli atti del processo, non era emersa la sussistenza di una organizzazione e di una attività gestionale in capo all’appaltatore con specifico riferimento alle attività ad esso affidate. In particolare, da un lato, era emerso che la soc. cooperativa Diamante era priva delle attrezzature indicate nel ricorso introduttivo e, dall’altro, che dalla lettura del contratto di appalto si evinceva che i materiali per l’imballo della merce venivano forniti dalla GEA s.r.l. la quale si era riservata il diritto di provvedere anche ad indicare le modalità di preparazione della merce. Nè giova alla tesi del ricorrente la doglianza basata sulla mancata ammissione della prova testimoniale. Trattasi infatti di doglianza inammissibile per violazione del principio d autosufficienza del motivo di ricorso in sede di legittimità. La giurisprudenza di questa Corte (cfr., ad esempio, Cass. 19 marzo 2007 n. 6440) ha infatti univocamente ribadito che è privo di autosufficienza il motivo di ricorso con il quale viene denunziato vizio di motivazione in ordine all’assunta prova testimoniale, omettendo (come nel caso in esame) di indicare nel motivo stesso i capitoli di prova non ammessi ed asseritamente concludenti e decisivi al fine di pervenire a soluzioni diverse da quelle raggiunte nell’impugnata sentenza. In altre parole, tema di impugnazione per giudizio di legittimità, la parte che, in sede di ricorso per cassazione, addebiti a vizio della sentenza impugnata la mancata ammissione di prove testimoniali richieste nel giudizio di merito, ha l’onere, a pena di inammissibilità del ricorso, se non di trascrivere nell’atto di impugnazione i relativi capitoli, almeno di indicare in modo esaustivo le circostanze di fatto che formavano oggetto della disattesa istanza istruttoria, in quanto il detto ricorso deve risultare autosufficiente e, quindi, contenere in sè tutti gli elementi che diano al giudice di legittimità la possibilità di provvedere al diretto controllo della decisività dei punti controversi e della correttezza e sufficienza della motivazione della pronuncia impugnata, non essendo sufficiente un generico rinvio agli atti difensivi del pregresso giudizio di merito (Cass. 12 giugno 2006 n. 13556).

Il ricorso deve essere in definitiva rigettato.

In applicazione del criterio della soccombenza il ricorrente dee essere condannato al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il corso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 3500,00 (tremilacinquecento/00) per onorari oltre le spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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