Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 02-03-2012, n. 3296 Licenziamento per giusta causa

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 22/11/07 – 22/1/08 la Corte d’appello di Bologna ha rigettato l’impugnazione proposta da L.E. avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale dello stesso capoluogo che gli aveva parzialmente accolto la sola domanda diretta al conseguimento dell’indennità sostitutiva del preavviso per l’importo di Euro 10.308,99 nei confronti della Banca Mediolanum s.p.a., che aveva operato senza giusta causa il recesso dal rapporto di agenzia, dopo aver respinto le altre domande dell’agente tese al conseguimento dell’indennità di cessazione del rapporto ed al risarcimento dei danni per l’asserito carattere ingiurioso del recesso. La stessa Corte ha, invece, accolto l’appello incidentale svolto dall’istituto bancario per la riforma del capo di condanna relativo al versamento dell’indennità di mancato preavviso ed ha, conseguentemente, rigettato la domanda del L., dopo aver accertato la legittimità del recesso intimato per giusta causa in data 30/10/98.

La Corte bolognese è pervenuta a tale decisione sulla base delle seguenti considerazioni: il comportamento tenuto dal L., così come ricostruito nel processo penale svoltosi a suo carico e conclusosi con l’assoluzione adottata ai sensi dell’art. 530 c.p.c., comma 2 appariva di gravità tale da giustificare la risoluzione per giusta causa del contratto di agenzia, nel quale l’elemento fiduciario assumeva una rilevanza particolare. Invero, secondo il giudice d’appello, il ruolo subordinato del L. rispetto al suo supervisore e le circostanze per effetto delle quali il medesimo era stato assolto in sede penale erano irrilevanti ai fini della verificata esistenza della giusta causa del recesso in esame, dovuta al fatto che egli si era indebitamente presentato, nel corso di una telefonata ad un funzionario del Credito Romagnolo, come la diversa persona del dott. L. della Fininvest onde confermargli l’afflusso di risorse finanziarie da parte del cliente S.; nè potevano aver pregio le doglianze sulla presunta genericità della lettera inerente le contestate inadempienze, posto che l’agente ne era venuto a conoscenza nel corso dell’incontro avvenuto nella sede della banca a (OMISSIS) nell’ottobre del 1998, per cui i medesimo non poteva non essere consapevole delle ragioni che avevano spinto la società preponente a recedere dal rapporto di agenzia, come comprovato, tra l’altro, dalla lettera di impugnazione del recesso del 13 novembre 1998; infine, era da escludere il lamentato carattere ingiurioso del recesso, sia per la legittimità della condotta della società mandante, sia per le modalità con le quali era stato attuato il recesso stesso.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso il L., il quale affida l’impugnazione a tre motivi di censura.

Resiste con controricorso la Banca Mediolanum s.p.a.

Entrambe le parti depositano memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1. Col primo motivo è denunziata la violazione e falsa applicazione dell’art. 1176 c.c. in relazione all’art. 2119 c.c., in quanto ci si duole del fatto che la Corte di merito, pur avendo ritenuto applicabile al rapporto d’agenzia il principio della specificità della contestazione disciplinare, ha finito per non tenerne conto, avendo considerato che era sufficiente che l’agente fosse, comunque, venuto a conoscenza in diverso modo dei fatti oggetto dell’addebito o che gli stessi fossero stati accertati in sede giudiziale. Tale conclusione è, quindi, contrastata dal ricorrente, il quale ritiene che la stessa abbia finito per avallare un percorso procedimentale non rispettoso del diritto di difesa del prestatore d’opera. Il motivo è infondato.

Invero, la Corte territoriale ha chiaramente premesso, nella esplicitazione del proprio convincimento sulla regolarità della contestazione disciplinare di cui al telegramma dei 30/10/98, che la stessa conteneva il preciso riferimento alla violazione dell’art. 14 del Regolamento Consob n. 5388/91 (art. 23, lett. c, comma 3, del nuovo Regolamento Consob n. 10629/97), norma regolamentare, questa, inerente l’inadempienza contestata, per cui è da escludere che il relativo giudizio sia stato formulato a prescindere dalla necessità della specificazione dell’addebito; oltretutto, l’inadempienza in esame, come evidenziato dalla stessa Corte, non poteva non essere già nota al L., il quale aveva precedentemente ammesso, nel corso dell’incontro svoltosi a (OMISSIS), che si era verificato l’episodio che aveva poi dato luogo al procedimento disciplinare a suo carico per effetto della constata rottura del vincolo fiduciario richiesto dalla sua qualità di promotore finanziario.

2. Oggetto del secondo motivo è la dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 1746 c.c., in relazione all’art. 530 c.p.c., comma 2, e dell’art. 654 c.p.p., nonchè all’art. 13, punto 5, lett. A) della Delib. Consob n. 10629 del 1997. In particolare, il ricorrente deduce che in ordine all’addebito disciplinare si era formato in sede penale il giudicato sulla sentenza di assoluzione che aveva escluso la sussistenza della prova del dolo e dell’intenzionalità del comportamento contestatogli, il tutto all’esito del giudizio al quale la proponente aveva partecipato in qualità di parte civile, per cui veniva meno in sede civilistica la possibilità di individuare per lo stesso fatto la giusta causa di recesso. Il motivo è infondato.

Si osserva, invero, che dagli atti del procedimento risulta che il L. fu assolto dai reati di sostituzione di persona e di truffa aggravata con la formula "perchè il fatto non costituisce reato" ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2 per mancanza, insufficienza e contraddittorietà della prova dell’esistenza dell’elemento soggettivo dei due reati, per cui non poteva non competere al giudice civile il potere di accertare autonomamente, con pienezza di cognizione, i fatti dedotti in giudizio.

Si è, infatti, precisato (Cass. Sez. 3, n. 11483 del 21/6/2004) che "la possibilità per il giudice civile, a seguito dell’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, di accertare autonomamente, con pienezza di cognizione, i fatti dedotti in giudizio e di pervenire a soluzioni e qualificazioni non vincolate all’esito del processo penale, non comporta alcuna preclusione per detto giudice nella possibilità di utilizzare come fonte del proprio convincimento le prove raccolte in un giudizio penale già definito con sentenza passata in giudicato e di fondare il proprio giudizio su elementi e circostanze già acquisiti con le garanzie di legge in quella sede, procedendo a tal fine a diretto esame del contenuto del materiale probatorio ovvero ricavandoli dalla sentenza penale o, se necessario, dagli atti del relativo processo, in modo da individuare esattamente i fatti materiali accertati per poi sottoporli a proprio vaglio critico svincolato dalla interpretazione e dalla valutazione che ne abbia dato il giudice penale".

Si è, altresì, chiarito (Cass. Sez. 3, n. 22883 del 30/10/2007) che "ai sensi dell’art. 652 (nell’ambito del giudizio civile di danni) e dell’art. 654 (nell’ambito di altri giudizi civili) cod. proc. pen., il giudicato di assoluzione ha effetto preclusivo nel giudizio civile solo quando contenga un effettivo e specifico accertamento circa l’insussistenza o del fatto o della partecipazione dell’imputato e non anche quando l’assoluzione sia determinata dall’accertamento dell’insussistenza di sufficienti elementi di prova circa la commissione del fatto o l’attribuibilità di esso all’imputato e cioè quando l’assoluzione sia stata pronunziata a norma dell’art. 530 c.p.p., comma 2; inoltre l’accertamento contenuto in una sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata perchè il fatto non costituisce reato non ha efficacia di giudicato, ai sensi dell’art. 652 cod. proc. pen., nel giudizio civile di danno, nel quale, in tal caso, compete al giudice il potere di accertare autonomamente, con pienezza di cognizione, i fatti dedotti in giudizio e di pervenire a soluzioni e qualificazioni non vincolate dall’esito del processo penale".(in senso conforme v. Cass. sez. 3, n. 20325 del 20/9/2006).

3. Col terzo motivo ci si lamenta dell’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio. Si sostiene che è apodittica l’affermazione contenuta in sentenza in ordine al fatto che esso ricorrente possedeva una solida preparazione bancaria e finanziaria e che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice d’appello, fu proprio grazie alla sua iniziativa che fu scoperto il comportamento tenuto in danno della preponente da parte del La., per cui ciò equivaleva all’esatto contrario di una sua presunta ammissione di colpa. Si deduce, inoltre, l’omessa motivazione sulla documentazione comprovante la spettanza dell’indennità di cui all’art. 1751 c.c. Il motivo è infondato.

Partendo proprio dall’ultimo rilievo si osserva che la Corte di merito non ha affatto omesso di motivare in ordine alla richiesta di riconoscimento del diritto all’indennità di cessazione del rapporto, avendo, anzi, evidenziato, con argomentazione logico-giuridica immune da rilievi di legittimità, che, trattandosi di un recesso per giusta causa, l’agente non aveva diritto a percepire l’indennità prevista dall’art. 1751 c.c., la cui erogazione è normativamente esclusa nelle ipotesi, come nella fattispecie, di risoluzione per inadempienza al medesimo imputabile, inadempienza che per la sua gravita non consente la prosecuzione anche provvisoria del rapporto (art. 1751 c.c., comma 2).

Destituito di fondamento è, altresì, il rilievo sulla asserita apoditticità della motivazione facente leva sulle pregresse qualità professionali del ricorrente, sia perchè la Corte le ha desunte dallo stesso ricorso (servizio prestato in qualità di dipendente del Banco di Napoli e bagaglio di conoscenze acquisite sulla piazza (OMISSIS)), sia perchè non è dimostrato che si tratti di una circostanza decisiva ai fini del giudizio teso alla verifica dell’addebito disciplinare che determinò la risoluzione del rapporto. Quanto al rilievo teso a dimostrare che il comportamento del ricorrente che aveva consentito di smascherare le irregolarità perpetrate dal La. in danno della banca era tale da non poter non essere considerato ai fini della verifica della responsabilità, è agevole rilevare che trattasi di giudizio valutativo, di segno opposto a quello espresso dalla Corte d’appello, che implica una rivisitazione nel merito delle risultanze istruttorie non consentita nel giudizio di legittimità e senza che sia nemmeno dimostrata la decisività, ai fini discriminanti invocati, del fatto così segnalato.

Il ricorso va, pertanto, rigettato.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio nella misura di Euro 3000,00 per onorario ed Euro 50,00 per esborsi, oltre IVA, CPA e spese generali ai sensi di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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