Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 02-03-2012, n. 3295 Lavoro subordinato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 20/10 – 27/10/08 la Corte d’appello di Bari ha accolto l’impugnazione proposta dalla società Barletta Sport giochi e scommesse s.r.l avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Trani che l’aveva condannata al pagamento della somma di Euro 89.082,96, oltre accessori di legge e spese legali, in favore di D.N., il cui rapporto di lavoro era stato riconosciuto essere di natura subordinata, e, per l’effetto, ha rigettato la domanda di quest’ultimo, compensando interamente tra le parti le spese del doppio grado del giudizio.

La Corte territoriale è pervenuta a tale decisione dopo aver ritenuto che a comprova della insussistenza del vincolo della subordinazione, dedotto dal D., deponevano sia il dato letterale dei contratti intercorsi tra le parti l’1/1/89 e l’1/1/95, sia la produzione delle ricevute giornaliere di avvenuta percezione del compenso sottoscritte dal D., sia il contenuto delle dichiarazioni testimoniali rese da quest’ultimo in un’altra controversia di lavoro svoltasi fra M.A. e la medesima agenzia ippica, circostanze, queste, a cospetto delle quali si erano rivelate contraddittorie ed inattendibili le testimonianze richiamate dal primo giudice a fondamento della sentenza emessa in favore del ricorrente. Per la cassazione della sentenza propone ricorso il D., il quale affida l’impugnazione a quindici motivi di censura. Resiste con controricorso la s.r.l Gioprote, già Barletta Sport Giochi e Scommesse, già Agenzia Ippica Barletta di Ladisi Gustava & C. s.n.c. che deposita, altresì, memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

Motivi della decisione

Col presente ricorso il D. propone quindici motivi di censura articolati sotto il duplice aspetto del vizio motivazionale di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 e del vizio di violazione di legge di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Per ragioni di sintesi i motivi vengono raggruppati, in base ai vizi denunziati ed ai rispettivi numeri indicati nel ricorso, nel seguente modo:

A) Vizi di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5:

1) Ci si duole del fatto che il giudice d’appello è pervenuto alla decisione senza aver avuto la materiale disponibilità del fascicolo d’ufficio di primo grado e senza aver illustrato le ragioni della sua mancata acquisizione.

3) Ci si lamenta del grande risalto dato al "nomen iuris" attribuito dalle parti al rapporto nei documenti sottoscritti l’1/1/89 e l’/1/95, considerati dal giudicante come fonti di un rapporto di lavoro autonomo, nonostante che in questi negozi non apparisse indicato l’oggetto della prestazione e della controprestazione e non fossero desumibili le mansioni da svolgere sotto forma di collaborazione saltuaria ed occasionale.

5) Si contesta che l’accordo dell’1/1/95 potesse avere un valore confermativo del primo accordo dell’1/1/89, atteso che nel secondo non vi era alcun accenno nè al precedente contratto, nè al precedente rapporto, nè alcun riferimento alla tipologia delle prestazioni e delle controprestazioni da eseguirsi.

7) Si svolgono, al fine di contrastare la rilevata natura autonoma del rapporto, i seguenti rilievi: la diversità del compenso corrisposto di volta in volta e la eventuale variabilità della prestazione lavorativa non potevano considerarsi degli indici confermativi della natura autonoma del rapporto; la qualificazione di questo competeva al giudicante, al quale le parti potevano solo sottoporre i fatti utili alla sua identificazione; le ricevute di avvenuto pagamento, per il loro elevato numero e per il contenuto delle prestazioni in esse indicate come remunerate, escludevano, contrariamente a quanto previsto nei documenti dell’1/1/89 e dell’1/1/95, che le stesse fossero state rese in maniera occasionale e saltuaria; le prove orali avevano escluso che esso ricorrente avesse svolto il lavoro di semplice sportellista.

9) Viene contestato il rilievo dato dalla Corte di merito, ai fini della rilevata autonomia del rapporto, al contenuto delle dichiarazioni rese da esso ricorrente, in qualità di teste, nel procedimento promosso contro la medesima convenuta da M. A.. Si precisa, al riguardo, che quelle dichiarazioni alludevano solo alla natura formale del rapporto in esame e che, dato che si trattava di mere valutazioni provenienti da un teste, non avrebbero potuto essere considerate. Il ricorrente aggiunge che il giudice d’appello avrebbe dovuto spiegare il motivo per il quale aveva dato maggior peso alle sue dichiarazioni, rese in altro procedimento in qualità di teste, rispetto al contenuto delle deposizioni di segno opposte raccolte nel processo "de quo" tramite altri testi.

10) Si contesta la svalutazione, operata dal giudice d’appello, del contenuto delle deposizioni dei testi M., F. e C.. In particolare si deduce l’insufficienza della motivazione con la quale si è ritenuto di non poter tener conto della deposizione del M. per la circostanza che questi avrebbe avuto una causa contro la medesima Agenzia; inoltre, le apparenti contraddizioni rilevate dalla Corte di merito in merito alle deposizione dei testi F. e C., ritenute inattendibili rispetto a quelle rese da esso D. nel diverso procedimento promosso dal M., erano, in realtà, insussistenti, per la ragione che esso ricorrente si era riferito al periodo in cui il M. aveva lavorato con lui per l’Agenzia, mentre gli altri due testi avevano fatto riferimento a periodi diversi dell’attività di quest’ultimo.

13) Si deduce che, anche a causa della mancata acquisizione del fascicolo di primo grado, non si è minimamente tenuto conto delle risultanze delle prove orali, all’esito delle quali era emerso che lo svolgimento del rapporto di lavoro si era estrinsecato in maniera tale da denotarne la natura subordinata; in ultima analisi, la mancata acquisizione dei predetti verbali non aveva consentito alla Corte d’appello di trarre gli elementi decisivi in ordine alla natura del rapporto dedotto in giudizio.

15) Ci si lamenta della contraddittorietà della motivazione nella parte in cui, pur essendo stata ravvisata la natura autonoma del rapporto e prima ancora della disamina dell’eccezione di inammissibilità del motivo di gravame incentrato sulla asserita erroneità dei conteggi recepiti dal Tribunale, sono stati indicati all’eventuale futuro giudice di rinvio i criteri da seguire per la determinazione della giusta retribuzione ai sensi dell’art. 36 Cost..

B) Vizi di violazione di legge ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3;

2) Si denunzia la violazione dell’art. 111 Cost., commi 1 e 7, oltre che dell’art. 347 c.p.c. ( art. 360 c.p.c., n. 3) e si chiede di accertare se ai fini della valutazione della fondatezza della censura mossa dall’appellante con riguardo alla attendibilità e contraddittorietà delle testimonianze il giudice d’appello debba acquisire il fascicolo d’ufficio di primo grado e sia, comunque, tenuto a fornire le giustificazioni della mancata acquisizione.

4) Si segnala la violazione degli artt. 1321 e 1325 c.c. ( art. 360 c.p.c., n. 3), sostenendosi che la Corte di merito non avrebbe potuto qualificare come contratti i documenti sottoscritti l’1/1/89 e l’1/1/95, nei quali faceva difetto qualsivoglia riferimento alla prestazione ed alla controprestazione e coi quali le parti non avevano assunto alcun vincolo, per cui non avrebbe dovuto aver rilievo, ai fini della qualificazione del rapporto in esame, il "nomen iuris" allo stesso attribuito in tali documenti.

6) E’ dedotta la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., sostenendosi che non si sarebbe potuto attribuire al documento sottoscritto l’1/1/95 il valore di presunzione dello svolgimento del rapporto secondo le caratteristiche inizialmente previste, non essendovi in esso alcun richiamo al precedente documento sottoscritto l’1/1/89, nè tantomeno alcun riferimento alla prestazione lavorativa resa fino a quel momento, per cui difettavano i requisiti della gravita, della precisione e della concordanza per poterlo considerare come presunzione.

8) Si adduce la violazione dell’art. 2094 c.c., in quanto non si sarebbe potuto far discendere la prova della natura autonoma del rapporto dalla ritenuta saltuarietà ed occasionalità della prestazione lavorativa.

11) Ci si duole della violazione dell’art. 246 c.p.c., in quanto non sarebbe stato spiegato il motivo per il quale l’attendibilità del teste M. avrebbe dovuto essere valutata con estrema prudenza per aver avuto il medesimo una vertenza con la convenuta Agenzia, nel corso della quale esso D. aveva deposto in senso a lui favorevole.

12) Oggetto di tale motivo è la denunziata violazione dell’art. 2094 c.c., posto che la circostanza per la quale esso ricorrente non aveva il possesso delle chiavi dei locali della sede sociale, nè l’incarico di provvedere all’apertura ed alla chiusura della stessa, nè la necessità di giustificare le proprie assenze, non era sufficiente a far ravvisare la natura autonoma del rapporto.

14) La stessa norma di cui all’art. 2094 c.c. è indicata come disposizione violata e si chiede di accertare se per poter qualificare come subordinato il rapporto di lavoro degli addetti alle agenzie ippiche sia richiesto l’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro, se si debba, eventualmente, far riferimento agli altri indici rivelatori della subordinazione e se il fatto che il lavoratore sia libero di accettare o meno l’offerta e di presentarsi o meno al lavoro senza necessità di giustificazione preclude solo la possibilità di considerare come instaurato un qualsiasi rapporto di lavoro. Il ricorso è infondato. Si ritiene opportuno iniziare la disamina dai motivi che investono le questioni concernenti le lamentate violazioni di legge, per cui si osserva che non coglie nel segno la censura incentrata sulla mancata acquisizione del fascicolo di primo grado, di cui al punto 2: invero, premesso che è una facoltà discrezionale del giudice d’appello quella di disporre o meno l’acquisizione, occorre considerare che il ricorrente non ha specificato quali potevano essere i punti decisivi delle testimonianze che il giudice aveva omesso di considerare nella disamina della prova orale. Si è, infatti, statuito (Cass. Sez. 3, n. 688 del 19/1/2010) che "l’acquisizione del fascicolo di ufficio di primo grado, ai sensi dell’art. 347 cod. proc. civ., è affidata all’apprezzamento discrezionale del giudice dell’impugnazione, sicchè l’omessa acquisizione, cui non consegue un vizio del procedimento di secondo grado nè della relativa sentenza, può essere dedotta come motivo di ricorso per cassazione solo ove si adduca che il giudice di appello avrebbe potuto o dovuto trarre dal fascicolo stesso elementi decisivi su uno o più punti controversi della causa, non rilevabili "aliunde" e specificamente indicati dalla parte interessata." (in senso conforme v. Cass. sez. 3 , n. 7237 del 29/3/2006).

Sono, invece, improcedibili i motivi di cui ai punti 4 e 6, cioè quelli che fanno leva sui documenti sottoscritti l’1/1/89 e l’1/1/95, stante la mancata produzione di questi ultimi nel presente giudizio di legittimità, in violazione di quanto disposto dall’art. 369 c.p.c., n. 4.

Si è, infatti, affermato (Cass. sez. 5, sentenza n. 303 del 12/1/2010) che l’art. 369 c.p.c., comma 4, nel prescrivere che unitamente al ricorso per cassazione debbano essere depositati a pena d’improcedibilità "gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda", non distingue tra i vari tipi di censura proposta: ne consegue che, anche in caso di denuncia di "error in procedendo", gli atti processuali devono essere specificamente e nominativamente depositati unitamente al ricorso e nello stesso".

E’, invece, inammissibile, in quanto inconferente, il motivo di cui al punto 14: invero, lo stesso si conclude con un quesito di diritto che, da una parte, illustra semplicemente quelli che dovrebbero essere in astratto i tratti caratteristici del rapporto di lavoro subordinato, di fatto tenuti presenti dal giudice d’appello ne suo iter motivazionale logico-giuridico, e, dall’altra, facendosi leva su alcune peculiarità di fatto dello svolgersi del rapporto (libertà di accettazione dell’offerta lavorativa, libertà di presentarsi o meno al lavoro senza necessità di giustificazioni), si introduce, sotto l’apparente prospettazione di una questione giuridica, un giudizio di rivisitazione delle risultanze istruttorie su fatti di causa non consentito nella presente sede di legittimità. Egualmente inammissibile è l’ottavo motivo, in quanto il relativo quesito di diritto, attraverso il quale si deduce l’erroneità della decisione di far discendere la natura autonoma del rapporto dalla saltuarietà della prestazione, è inconferente rispetto alla conclusione cui è giunto il giudice d’appello all’esito della valutazione complessiva del materiale istruttorio, per cui non investe la "ratio decidendi" nella sua interezza. E’, altresì, inammissibile l’undicesimo motivo, col quale si sostiene che non è incapace a testimoniare il lavoratore (nella fattispecie il M.) che abbia intentato un separato giudizio contro il medesimo datore di lavoro, odierno intimato, in quanto correttamente il giudice d’appello non ha ritenuto l’incapacità del predetto teste a deporre, essendosi limitato ad affermare che la sua posizione di parte nell’altro procedimento avrebbe dovuto indurre il giudice di prime cure a valutarne l’attendibilità con particolare prudenza, per cui il quesito si rivela inconferente rispetto al "decisum". Infine, è inammissibile il dodicesimo motivo, il cui quesito tende a far accertare che alcune peculiarità di fatto controverse dello svolgimento del rapporto (mancanza di un incarico di provvedere all’apertura e chiusura dei locali della sede sociale in mancanza del possesso delle chiavi, mancanza di obbligo di giustificare l’assenza) non erano sufficienti a farne apprezzare la natura autonoma: invero, attraverso l’apparente prospettazione di una questione giuridica si introduce, in realtà, una inammissibile rivisitazione del merito, non consentita nel giudizio di legittimità, che, oltretutto, non investe la "ratio decidendi" nella sua interezza, essendo questa incentrata sulla valutazione complessiva del materiale probatorio.

Per quel che riguarda i denunziati vizi della motivazione si osserva, anzitutto, che per i motivi di cui ai punti 1 e 13, che investono le questioni connesse alla lamentata mancanza di disponibilità del fascicolo di primo grado, valgono le stesse ragioni di infondatezza illustrate con riferimento alla disamina del secondo motivo di censura.

In ordine ai motivi di cui ai punti 3, 5 e 7, riflettenti le questioni connesse alla interpretazione dei documenti dell’1/1/89 e dell’1/1/95, valgono le stesse ragioni di inammissbilità, dovute alla mancata produzione di tali documenti, così come illustrate in occasione della disamina del quarto e de sesto motivo di censura. Per quel che attiene, invece, le questioni sollevate col nono, col decimo e col quindicesimo motivo, vale a dire quelle inerenti, rispettivamente, la valutazione della testimonianza resa dal D. nel diverso procedimento intentato dal M. contro la stessa convenuta, la valutazione delle deposizioni rese dai testi M., F. e C. nel presente giudizio ed i criteri per la determinazione della giusta retribuzione ai sensi dell’art. 36 Cost., si rileva che si tratta di censure infondate, in quanto contengono una inammissibile istanza di rivisitazione nel merito delle risultanze istruttorie già congruamente vagliate dal giudice d’appello attraverso argomentazioni immuni da rilievi di carattere logico-giuridico. Invero, come è stato già statuito (Cass. sez. lav. n. 2272 del 2/2/2007), "il difetto di motivazione, nel senso di sua insufficienza, legittimante la prospettazione con il ricorso per cassazione del motivo previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), è configurabile soltanto quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito e quale risulta dalla sentenza stessa impugnata emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero quando è evincibile l’obiettiva deficienza, nel complesso della sentenza medesima, del procedimento logico che ha indotto il predetto giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già, invece, quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati, poichè, in quest’ultimo caso, il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello stesso giudice di merito che tenderebbe all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione. In ogni caso, per poter considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese in esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi (come accaduto nella specie) le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in tal caso ritenere implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse". Nella fattispecie in esame può tranquillamente affermarsi che, nel loro complesso, le valutazioni del materiale probatorio operate dal giudice d’appello appaiono sorrette da argomentazioni logiche e perfettamente coerenti tra di loro, oltre che aderenti ai risultati fatti registrare dall’esito delle prove orali su punti qualificanti della controversia, per cui le stesse non meritano affatto le censure di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione mosse col presente ricorso. Il ricorso va, quindi, rigettato. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio nella misura di Euro 3000,00 per onorario ed Euro 50,00 per esborsi, oltre IVA, CPA e spese generali ai sensi di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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