Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 06-07-2011) 05-10-2011, n. 36037 Attenuanti comuni riparazione del danno e ravvedimento attivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 22.9.2010 la Corte d’Appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Sciacca che, in data 30.3.2007, aveva condannato a titolo di concorso R.D. per i reati di estorsione aggravata continuata in danno dell’Avv. S.S. (capo A) e di tentata estorsione aggravata in danno di M.C. (capo B), qualificava il reato sub A) come violazione dell’art. 610 c.p. e rideterminava la pena inflitta in anni 2 di recl. ed Euro 600,00 di multa. Pena che dichiarava interamente condonata. Ricorre per Cassazione il difensore dell’imputato deducendo che la sentenza impugnata è incorsa in:

1. violazione degli artt. 521 e 522 c.p.p. nullità della sentenza ex art. 604 c.p.p., essendo stata pronunciata condanna per un fatto diverso rispetto all’imputazione originaria sub capo A). Lamenta il ricorrente che la Corte ha operato una trasformazione dei contenuti essenziali dell’addebito sia sotto il profilo oggettivo che sotto il profilo soggettivo.

2. Violazione dell’art. 56 e 629 c.p. manifesta illogicità e carenza di motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità sub capo B) .Contesta il ricorrente le valutazioni operata dai giudici d’appello con riguardo in particolare all’intercettazione 23.10.2002 sottolineando come la condotta posta in essere dal R. fosse destituita di carica offensiva come riconosciuto dalla stessa parte offesa M..

3. Inosservanza di prove favorevoli e decisive, carenza di motivazione sulle deposizioni dei testi d’accusa e di difesa nonchè sulla richiesta i rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale. Si duole il ricorrente che la corte territoriale ha superficialmente valutato le risultanze istruttorie valorizzando solo le prospettazioni dell’accusa. Lamenta la mancata rinnovazione del dibattimento al fine di sentire le parti offese.

4. Mancata concessione dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6.

Travisamento del fatto. Sottolinea il ricorrente la circostanza che prima del giudizio erano state formulate tre offerte di risarcimento alle parti offese. Allega le due offerte formalmente depositate in atti.

5. Mancata declaratoria di prescrizione del reato.

Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. La Corte d’Appello ha proceduto, fermo restando il fatto, ad una derubricazione del reato ritenuto dal giudice di primo grado da estorsione a violenza privata. Nel caso di specie la diversa e meno grave qualificazione conferita al fatto antigiuridico si è espressa nello stesso contesto ed in un ambito in cui il R. ha potuto per intero spendere, senza alcuna menomazione del suo diritto di difesa, tutti gli interventi utili a sostenere la propria estraneità ai fatti criminosi stimati nel loro insieme. Lo stesso R. in sede d’appello, seppure in via subordinata aveva chiesto, riportandosi alla facoltà riconosciuta al giudice d’appello di dare al fatto una diversa qualificazione giuridica la derubricazione del reato di estorsione in violenza privata.

I motivi sub 2, 3 e 4 sono inammissibili perchè reiterano le stesse censure in fatto sollevate davanti al giudice d’appello senza prendere in considerazione le argomentate e coerenti motivazioni della Corte Territoriale che ha dato conto dell’esaustività delle prove e dunque della superfluità della riapertura del dibattimento, che è istituto eccezionale, legato al presupposto rigoroso dell’impossibilità di decidere allo stato degli atti (art. 603 c.p.p., comma 1) (cfr. N. 34643/08 N. 10858 del 1996 Rv. 207067, N. 6924 del 2001 Rv. 218279, N. 26713 del 2003 Rv. 227706, N. 44313 del 2005 Rv. 232772, N. 4675 del 2006 Rv. 235654). Tale valutazione è di merito e la motivazione può essere implicita (v. Cass. Sez. 5 seni n. 6379 del 17.3.1999 dep. 21.5.1999 rv 213403; Cass. n. 8891/2000 Rv 217209).

Così come ha affermato che non è stato provato e comunque non risulta agli atti che l’imputato abbia avanzato alcuna offerta reale in favore di M.C., parte offesa della tentata estorsione.

A sostegno della propria doglianza il R. ha allegato al ricorso per Cassazione la prova che il M. ha rifiutato la somma di Euro 5000,00 offertagli dal R. a titolo di risarcimento dei danni.

Sul punto deve però osservarsi che è consolidato indirizzo giurisprudenziale che per la concessione della attenuante prevista dall’art. 62 c.p., n. 6, nel caso che la persona offesa del reato non abbia voluto accettare il risarcimento, è necessario che il colpevole abbia fatto offerta reale dell’indennizzo nei modi stabiliti dall’art. 1209 c.c., e ss., e cioè che questa sia stata seguita dal relativo deposito o atto equipollente, di modo che la somma sia a completa disposizione della persona offesa ed il giudice possa valutare non solo l’adeguatezza, ma anche la tempestività dell’offerta, al fine di valutare l’effettiva resipiscenza del reo (Cass. n. 3232/94; n. 8334/98, 18440/06). Correttamente pertanto la Corte d’Appello ha ritenuto che non risultava agli atti che il R. avesse avanzato offerta reale in favore del M..

La seconda doglianza è versata in fatto e manifestamente infondata in diritto.

Il ricorrente non solo sollecita una rilettura degli elementi di fatto, riservata in via esclusiva al giudice di merito, ma disattende le coerenti argomentazioni del giudice territoriale che ha correttamente motivato la sussistenza del delitto di tentata estorsione.

Manifestamente infondato è anche il 5 motivo di ricorso. Entrambi i reati, tenuto conto del periodo di sospensione pari a mesi 10 e gg.

20, non erano prescritti alla data della pronuncia della Corte d’Appello.

L’inammissibilità del ricorso preclude l’accesso al rapporto di impugnazione ed impedisce la declaratoria di prescrizione maturata, per il reato di cui al capo A) il 7.4.2011, e quindi dopo la sentenza impugnata.

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p. consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, che si ritiene equo liquidare in Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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