Cass. civ. Sez. V, Sent., 02-03-2012, n. 3275

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza n. 13/07, depositata il 30.5.07, la Commissione Tributaria Regionale della Toscana accoglieva l’appello proposto dalla Europesca s.p.a. avverso la sentenza di primo grado con la quale era stato rigettato il ricorso proposto dalla contribuente nei confronti degli avvisi di revisione e di rettifica degli accertamenti, notificati dall’Ufficio delle Dogane di Livorno, relativi a dichiarazioni di importazione di partite di pesce marino provenienti dal Sud Africa.

2. La CTR riteneva, infatti, che fosse sussistente nella specie la buona fede dell’importatore, ai sensi dell’art. 220, comma 2, lett. b) codice doganale comunitario ( Reg. CEE 2913/92), essendo la merce importata accompagnata dal certificato FORM-A, rilasciato dalle autorità doganali del Paese di esportazione, e formalmente regolare.

3. Avverso la sentenza n. 13/07 ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Dogane articolando cinque motivi, ai quali l’intimato ha replicato con controricorso. L’amministrazione ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1. In via pregiudiziale, rileva la Corte che risulta depositata in atti rituale istanza di trattazione del procedimento, in conformità al disposto della L. n. 183 del 2011, art. 26 (modificato dal D.L. n. 212 del 2011, art. 14).

2. Ciò premesso, va rilevato che, con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle Dogane deduce la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. 1.1. L’amministrazione si duole, invero, del fatto che il giudice di appello non abbia dichiarato inammissibile il gravame proposto dalla Iliopesca 2000 s.r.l., per non avere la medesima – in violazione del disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 2, – depositato copia dell’atto di appello presso la segreteria della CTP di Livorno, sebbene l’atto in questione fosse stato notificato a mezzo posta.

1.2. Il motivo è inammissibile.

Osserva, invero, la Corte che nel ricorso per cassazione, nel caso in cui si denunci la violazione di una norma processuale, è necessaria l’indicazione degli elementi condizionanti l’operatività della violazione denunciata. Il che implica, per il principio di autosufficienza del ricorso, che nel caso specifico in cui si denunci, come nella specie, la nullità di una relata di notifica, è necessaria la trascrizione integrale della relata stessa, onde consentire alla Corte una corretta valutazione della rilevanza e della fondatezza della questione di nullità dedotta (Cass. 17424/05).

1.3. Nel caso concreto, peraltro, l’amministrazione ricorrente ha del tutto omesso di effettuare siffatta trascrizione, incorrendo, pertanto, nell’inammissibilità del motivo di ricorso in esame.

2. Con il secondo, terzo, quarto e quinto motivo – che per la loro evidente connessione vanno esaminati congiuntamente – l’Agenzia delle Dogane deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 43 del 1973, artt. 1 e 2 e artt. 201, 202 e 220 del Reg. CEE n. 2913/92, 199 del Reg. CEE n. 2454/93, artt. 115, 116 e 213 c.p.c., D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7 e artt. 2697 e ss. c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè l’omessa contraddittoria ed insufficiente motivazione su punti controversi della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. 2.1. Nella specie, il giudice di appello – a parere della ricorrente – avrebbe, invero, del tutto erroneamente – e con motivazione incongrua – riconosciuto all’importatore l’esimente comunitaria della buona fede, sulla base, cioè, delle semplici asserzioni della parte interessata e senza una verifica in fatto della ricorrenza dei presupposti richiesti dalla normativa in materia, in palese violazione, dunque, ad avviso dell’amministrazione, dell’art. 220, par. 2, lett. b, del codice doganale comunitario (c.d.c.).

2.2. La CTR avrebbe, inoltre, totalmente omesso di valutare il valore probatorio privilegiato che andrebbe annesso al verbale ispettivo degli Organismi comunitari antifrode, nella specie l’OLAF, riportato negli avvisi di accertamento, e dal quale sarebbe emersa la falsità dei certificati di origine Form A, apparentemente emessi dall’autorità competente del Sud Africa a comprova dell’origine africana del prodotto importato dalla Euro-pesca s.p.a. Di più, il giudice di appello avrebbe – a parere dell’amministrazione ricorrente – illegittimamente posto a carico dell’amministrazione doganale l’onere di provare la malafede della società importatrice, laddove – in special modo a fronte dei suddetti accertamenti comunitari – sarebbe stato onere della contribuente addurre elementi probatori idonei a contrastare quando emergente dal suddetto verbale ispettivo dell’OLAF. 3. Le censure suesposte, a parere della Corte, sono pienamente fondate e devono, pertanto, essere accolte.

3.1. Dall’esame degli atti processuali si evince, infatti, che le contestazioni mosse, fin dal primo grado del giudizio, dalla Europesca s.p.a. avverso i sette avvisi di revisione dell’accertamento notificati dall’Agenzia delle Dogane, tra l’ottobre 2001 e l’aprile 2002, si incentrano essenzialmente su due punti:

a) la carenza di motivazione degli avvisi di revisione, poichè tali atti si limitavano a richiamare gli esiti di un’investigazione condotta in Sud Africa dalle autorità comunitarie, e dalle quali era risultata la falsità dei certificati Form A (diretti ad attestare l’origine "preferenziale" della merce importata), la cui allegazione alla dichiarazione di importazione aveva dato luogo ad un’indebita esenzione dai dazi doganali;

b) la ricorrenza dei presupposti per l’applicabilità dell’art. 220, co. 2, lett. b) c.d.c. n. 2913/92 (poi sostituito dal Reg. n. 450/08), in base al quale il competente Ufficio doganale del Paese di importazione non deve procedere alla contabilizzazione a posteriori dei dazi all’importazione, quando l’importo di questi non sia stato contabilizzato all’atto della dichiarazione di importazione per errore dell’autorità doganale, non rilevabile dal debitore, nonostante l’uso della dovuta diligenza.

3.2. Siffatte argomentazioni sono state – dopo una pronuncia di prime cure sfavorevole alla contribuente – recepite dalla sentenza di appello, emessa dalla CTR della Toscana, che ha altresì posto a carico dell’amministrazione doganale, pure in presenza di accertamenti espletati dagli organismi comunitari a ciò deputati, l’onere di provare la malafede della Europesca s.p.a. nell’effettuare l’operazione in discussione.

4. Orbene, ad avviso della Corte, il percorso argomentativo seguito dal giudice di appello si palesa del tutto erroneo, e tale, pertanto, da condurre ad una decisione che non può essere condivisa, per un duplice ordine di ragioni.

4.1. Deve innanzitutto rilevarsi, invero, che gli atti impositivi in contestazione – debitamente trascritti sul punto dall’Agenzia delle Dogane, in osservanza del principio di autosufficienza – sono motivati con riferimento al rapporto ispettivo dell’OLAF del 17.9.01, costituente la fonte essenziale degli accertamenti in revisione e richiamato nei tratti essenziali, dal quale si evince che i certificati di origine preferenziale (Form A), nel caso di specie, erano risultati materialmente falsi, quanto all’origine della merce esportata.

Tali certificati, infatti, – come si evince dalla trascrizione della Relazione ispettiva dell’OLAf – "erano stati emessi dall’autorità competente sud africana sulla base di informazioni fuorvianti e inadeguate" rese dall’esportatore e, a detta di quest’ultimo, anche "l’importatore estero era perfettamente consapevole di tale pratica".

Nondimeno, pure a fronte di tali indagini dell’organismo comunitario suindicato, la CTR ha ritenuto di porre a carico dell’amministrazione l’ulteriore dimostrazione in ordine all’inesistenza delle condizioni per l’applicabilità, nel caso concreto, del trattamento doganale privilegiato.

4.2. Tale assunto del giudice di appello è del tutto infondato.

4.2.1. Ed invero, va rilevato che, in tema di tributi doganali, gli accertamenti compiuti dagli organi esecutivi dell’OLAF (Commissione per la lotta antifrode), ai sensi del Reg. n. 1073/99, quando vi sia motivo di dubitare dell’autenticità della documentazione relativa all’origine e/o alla provenienza della merce importata, per la loro formazione e per il valore di atti pubblici ad essi attribuibile, hanno piena valenza probatoria nei procedimenti amministrativi e giudiziari.

Ne consegue che gli stessi ben possono essere posti a fondamento – come è accaduto nel caso di specie – degli avvisi di accertamento per il recupero dei dazi sui quali siano state riconosciute esenzioni o riduzioni, spettando al contribuente che ne contesti il fondamento – contrariamente a quanto statuito, nel caso concreto, dal giudice di appello – fornire la prova contraria in ordine alla sussistenza delle condizioni di applicabilità del regime agevolativo (Cass. 4997/09, 23985/08).

4.2.2. Ed è indubitabile che tali verbali ispettivi dell’OLAF ben possano essere posti a fondamento degli atti impositivi emessi dall’autorità doganale, ancorchè non siano materialmente allegati all’atto, purchè questo – in conformità al D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, comma 5 bis – richiamando il suindicato verbale per relationem, ne riporti – come nel caso di specie – i tratti essenziali, ai fini dell’esercizio del diritto di difesa (Cass. 23985/08).

5. Sotto un secondo profilo, poi, del tutto errata si palesa, ad avviso della Corte, l’impugnata sentenza, laddove ha ritenuto sussistenti, nella specie, i presupposti per l’applicabilità dell’esimente comunitaria di cui all’art. 220, comma 2, lett. b) c.d.c..

5.1. A tal riguardo va osservato, infatti, che le autorità doganali, in presenza di un’introduzione irregolare di merce, in trattamento doganale preferenziale, debbono rinunciare alla contabilizzazione a posteriori di tali dazi all’importazione, ai sensi dell’art. 220, n. 2, lett. b), c.d.c. nel momento in cui tre requisiti cumulativi sono presenti:

a) in primo luogo, occorre che i dazi in questione non siano stati riscossi a causa di un errore delle autorità competenti medesime;

b) è necessario, inoltre, che l’errore di cui si tratta sia stato di natura tale da non poter essere ragionevolmente rilevato da un debitore che versi in buona fede;

c) si richiede, infine, che l’importatore abbia rispettato tutte le prescrizioni della normativa in vigore relative alla sua dichiarazione in dogana (C. Giust. CE, n. 173/07).

Se ne deve necessariamente inferire che – come anche questa Corte ha più volte avuto modo di chiarire – lo stato soggettivo di buona fede dell’importatore, richiesto dall’art. 220, comma 2, lett. b) c.d.c., ai fini dell’esenzione dalla contabilizzazione a posteriori, non ha valenza esimente in re ipsa, ma solo in quanto sia riconducibile ad una delle situazioni fattuali individuate dalla normativa comunitaria, tra le quali va annoverato anche l’errore incolpevole, ossia non rilevabile dal debitore di buona fede, nonostante la sua esperienza e diligenza. E tuttavia, tale errore, per assumere rilievo scriminante, deve essere in ogni caso imputabile a "comportamento attivo" delle autorità doganali, non rientrandovi quello indotto da dichiarazioni inesatte dello stesso operatore o di altri soggetti (cfr. Cass. 15297/08, 13680/09, 7837/10; in tal senso, v. pure C. Giust. CE, n. 348/89, causa Mecanarte).

5.2. Inoltre, poichè l’esimente comunitaria in esame presuppone la genuinità delle certificazioni poste a fondamento della richiesta di esenzione, ossia la loro correttezza formale e sostanziale, incombe, in ogni caso, all’importatore che voglia fruire di detta esenzione, dimostrare l’esistenza cumulativa di tutti i presupposti indicati dall’art. 220 c.d.c., mentre all’autorità doganale incombe esclusivamente l’onere di allegare e dimostrare la irregolarità delle certificazioni presentate, atteso che qualsiasi certificato che risulti inesatto autorizza il recupero dell’imposta a posteriori (Cass. 15297/08, 13680/09, 15547/10).

Sicchè non rileva, ai fini dell’insorgenza del diritto al recupero, che si tratti di falsità ideologica, ovvero – come nella specie – di falsità materiale, atteso che l’esenzione daziaria presuppone, in ogni caso, la genuinità del certificato di origine, ovverosia la sua regolarità formale e sostanziale. E neppure occorre un procedimento intermedio, secondo le regole nazionali, diretto a convalidare la non autenticità del documento utilizzato ai fini del recupero dei dazi in franchigia, in presenza dei menzionati accertamenti condotti dagli organi dell’esecutivo comunitario, pienamente utilizzabili in sede amministrativa e giudiziaria (Cass. 19195/06).

5.3. Per il che, a fronte dell’accertata – con gli strumenti di cooperazione amministrativa interamente pubblicistici suindicati – falsità del certificato di origine della merce (Form A), resta del tutto irrilevante che il dichiarante abbia agito in buona fede ed in modo diligente, ignorando un’irregolarità che abbia comportato la mancata riscossione dei dazi, che il medesimo avrebbe dovuto altrimenti pagare. E’ chiaro, infatti, che la Comunità Europea non può essere tenuta a sopportare le conseguenze di comportamenti scorretti dei fornitori dei suoi cittadini rientranti nel rischio dell’attività commerciale, e contro i quali gli operatori economici ben possono premunirsi nell’ambito dei loro rapporti negoziali (C. Giust. CE, 17.7.97, causa C-97/95, Cass. 19195/06). Ne discende, che la buona fede dell’importatore non lo esime da responsabilità per l’adempimento dell’obbligazione doganale, essendo egli il dichiarante della merce importata, quand’anche scortata da certificati inesatti o falsificati a sua insaputa (Cass. 14509/08).

E ciò, in special modo laddove il debitore di imposta – per la sua qualità di soggetto esercente professionalmente l’attività di importatore, come nel caso di specie la Europesca s.p.a. – abbia proceduto all’irregolare introduzione di merce in ambito comunitario, "sapendo o dovendo, secondo ragione, sapere che essa era irregolare".

Con la conseguenza che tale soggetto – nel caso concreto la società intimata – viene ad assumere in concreto la qualità di debitore per la relativa obbligazione doganale, ai sensi dell’art. 203, comma 3, c.d.c. (Cass. 11181/10).

5.4. In definitiva, dunque, la buona fede dell’importatore – indispensabile per il riscontro dell’esimente comunitaria in parola – va esclusa in ogni caso in cui l’errore incolpevole sia stato indotto dal fatto che l’autorità doganale abbia ricevuto – come nella specie – una dichiarazione non veritiera sulla provenienza e sulla qualità della merce, senza effettuare alcuna contestazione, occorrendo, sempre e comunque, – come dianzi detto – un comportamento attivo di detta autorità (Cass. 7837/10).

6. Da tutti i rilievi che precedono discende, pertanto, con riferimento al caso concreto, che – in presenza della falsità dei certificati di origine della merce importata, pacifica in causa, essendo desumibile anche dalla stessa sentenza impugnata – la buona fede dell’importatore, Europesca s.p.a., contrariamente all’assunto dal giudice di secondo grado, non può in alcun modo essere ravvisata.

I motivi di ricorso in esame, pertanto, a parere della Corte, si palesano del tutto fondati e non possono che essere accolti.

7. L’accoglimento del ricorso proposto dall’Agenzia delle Dogane comporta la cassazione della sentenza impugnata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto la Corte, nell’esercizio del potere di decisione nel merito di cui all’art. 384 c.p.c., comma 2, rigetta il ricorso introduttivo della società contribuente.

8. Le spese del presente grado del giudizio vanno poste a carico dell’intimata soccombente, nella misura di cui in dispositivo.

Concorrono giusti motivi per dichiarare interamente compensate fra le parti le spese dei gradi di merito.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie gli altri motivi; cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo proposto dalla società contribuente; condanna l’intimata al rimborso delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 5.900,00, oltre alle spese prenotate a debito; dichiara compensate tra le parti le spese dei giudizi di merito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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