Cass. civ. Sez. V, Sent., 02-03-2012, n. 3274 Competenza, giurisdizione e controversie

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza n. 70/38/05, depositata il 31.1.06, la Commissione Tributaria Regionale del Piemonte rigettava l’appello proposto dalla Agenzia delle Dogane – Ufficio di Biella, avverso la sentenza di primo grado con la quale era stato accolto il ricorso proposto dalla Agrover s.r.l. nei confronti della cartella di pagamento che aveva ingiunto alla contribuente il pagamento dei dazi doganali afferenti alla temporanea importazione di merce di provenienza extracomunitaria (riso tailandese).

2. La CTR riteneva, invero, che l’Agrover s.r.l. non fosse tenuta al pagamento dei dazi gravanti sul riso tailandese, trattandosi di merce vincolata al regime di perfezionamento attivo, ai sensi degli artt. 114, 115 e 117 codice doganale comunitario di cui al Reg. CEE n. 2913/92 (poi sostituito dal Reg. n. 450/08), e dalla quale era stato ottenuto lo scarico per equivalenza del riso italiano, poi esportato in Ungheria col sistema della compensazione per equivalente e, quindi, con ulteriore esenzione da imposta.

2.1. Il giudice di appello, ad ogni buon conto, riteneva operante nel caso di specie – pur a voler ritenere assenti, in ipotesi, le condizioni per l’operatività del regime di perfezionamento attivo – l’esimente comunitaria della buona fede dell’operatore, prevista dall’art. 220, par. 2, lett. b) del codice doganale comunitario, con conseguente esonero dell’importatore dal pagamento dei dazi sull’operazione summenzionata.

3. Avverso la sentenza n. 70/38/05 ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Dogane affidato a cinque motivi, ai quali l’intimata ha replicato con controricorso. L’amministrazione ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1. In via pregiudiziale, va rilevato che risulta depositata in atti rituale istanza di trattazione del procedimento, sottoscritta dal legale rappresentante della Agrover s.r.l. ed autenticata dal difensore, in conformità al disposto della L. n. 183 del 2011, art. 26 (modificato dal D.L. n. 212 del 2011, art. 14).

2. Ciò premesso, osserva la Corte che l’Agenzia delle Dogane ha affidato il ricorso per cassazione a cinque motivi, dei quali i primi due propongono questioni pregiudiziali, mentre gli altri tre attengono al merito della vicenda processuale.

2.1. Con il primo motivo di ricorso, invero, l’amministrazione deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3 e art. 21, del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 16, comma 4, del t.u. n. 43 del 1973, artt. 65 e ss. e del D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

La CTR avrebbe infatti errato – a parere dell’Agenzia delle Dogane – nell’affermare che l’impugnazione della cartella di pagamento per vizi non propri, ma degli atti presupposti (avvisi di accertamento), sarebbe stata un’inevitabile conseguenza della non ancora emessa decisione della Direzione Centrale dell’Agenzia delle Dogane, in ordine al ricorso gerarchico proposto dalla Agrover s.r.l. contro la decisione del Direttore regionale, il quale, a sua volta, aveva disatteso i ricorsi proposti dalla contribuente del D.Lgs. n. 374 del 1990, ex art. 11. 2.2. Con il secondo motivo di ricorso, l’Agenzia delle Dogane deduce la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 2 e 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 1. L’amministrazione ritiene, infatti, del tutto erronea la decisione impugnata nella parte in cui ha rigettato l’eccezione di difetto di giurisdizione proposta dall’Agenzia, vertendosi – a suo dire – in un’ipotesi di sgravio di diritti doganali e, pertanto, in materia di interessi legittimi e non di diritti soggettivi, se non – addirittura – di scelte e determinazioni di carattere politico, come tali sottratte in assoluto alla cognizione dell’autorità giudiziaria.

2.3.-2.4. Con il terzo ed il quarto motivo, poi, l’Agenzia delle Dogane deduce la violazione degli artt. 114, 115, 117 e 216 del Reg.

CEE n. 2913/92 e dell’art. 15 dell’Accordo CEE-Ungheria del 16.12.91, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Ritiene l’amministrazione che, nel caso concreto, la CTR abbia applicato il ed, regime di perfezionamento attivo, previsto dalla normativa comunitaria suindicata, in assenza dei relativi presupposti, ed in modo tale da realizzare un eccessivo e non consentito cumulo di benefici fiscali.

2.5. Con il quinto motivo di ricorso, infine, l’amministrazione deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 43 del 1973, art. 1 e artt. 2 e 220 del Reg. CEE n. 2913/92, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Nella specie, il giudice di appello – a parere della ricorrente – avrebbe, invero, del tutto erroneamente riconosciuto all’importatore l’esimente comunitaria della buona fede, in palese difetto dei presupposti di cui all’art. 220, par. 2, lett. b codice doganale comunitario.

3. Premesso quanto precede, osserva la Corte che dei due motivi involgenti l’esame di questioni pregiudiziali riveste carattere logicamente preliminare il secondo, con il quale l’Agenzia delle Dogane ripropone la questione di giurisdizione già disattesa dal giudice di appello nell’impugnata pronuncia.

3.1. La questione – demandata all’esame di questa sezione semplice, ai sensi dell’art. 374 c.p.c., ultima parte, poichè sulla stessa si sono già pronunciate le Sezioni Unite di questa Corte – sarebbe, invero, da considerarsi fondata – a parere dell’Agenzia delle Dogane – proprio in virtù di quanto già stabilito, in materia, dalle Sezioni Unite.

Queste ultime hanno, per vero, sancito il principio secondo cui la domanda di sgravio dei diritti doganali, ove non sia fondata sulla deduzione del verificarsi di uno dei casi previsti dagli artt. 900- 903 del Regolamento CEE n. 2454/93, casi nei quali le posizioni dell’istante integrano diritti soggettivi, ma sia rivolta a far valere una situazione particolare giustificativa dello sgravio medesimo, ai sensi degli artt. 905-909 di detto Regolamento, esula dalla cognizione dell’autorità giudiziaria, investendo scelte e determinazioni di carattere politico (cfr., in tal senso, Cass. S.U. n. 15381/02, 18360/09). In via subordinata, la posizione soggettiva del contribuente, che intenda far valere una situazione giustificativa dello sgravio dei diritti doganali in forza delle norme suindicate, rivestirebbe comunque – a parere dell’Agenzia delle Dogane – la natura di interesse legittimo, e non di diritto soggettivo, e la sua cognizione sarebbe demandata, dunque, alla cognizione del giudice amministrativo.

3.2. Il motivo è infondato e va disatteso. Osserva, invero, la Corte che il succitato indirizzo espresso dalle Sezioni Unite si attaglia allo specifico caso concernente la domanda di sgravio dei diritti doganali, come tali soggetto a valutazioni e scelte di carattere politico. Per contro, nella fattispecie concreta è in discussione – come si evince dagli stessi motivi di ricorso dell’Agenzia delle Dogane concernenti il merito della vicenda – l’applicabilità, o meno, del regime di perfezionamento attivo ovvero dell’esimente di cui all’art. 220, comma 2, lett. b) del Regolamento CEE n. 2913/92, che danno luogo entrambi ad esenzione (cfr. C. Giust. CE n. 158/09, Cass. 15297/08, 7837/10), ossia ad una situazione diversa dallo sgravio considerata nelle menzionate decisioni delle Sezioni Unite, e perciò tutelabile dinanzi al giudice tributario.

4. Ciò posto, osserva la Corte che il primo motivo di ricorso si palesa, invece, pienamente fondato e deve, pertanto, essere accolto, assorbiti gli altri.

4.1. Dall’esame degli atti si rileva, infatti, che la società Agrover s.r.l. negli anni 2000 e 2001 vincolava al dal Direttore regionale dell’Agenzia delle Dogane per il Piemonte e la Valle d’Aosta, con provvedimenti di rigetto emessi in data 28.12.01, confermativi, pertanto, degli avvisi di accertamento suppletivi emessi dall’Ufficio. Nei confronti di tali decisioni, la Agrover s.r.l. proponeva, quindi, ricorso gerarchico alla Direzione Centrale delle Dogane.

Nelle more, peraltro, l’amministrazione delle Dogane provvedeva ad iscrivere a ruolo il credito vantato nei confronti della società contribuente, la quale impugnava dinanzi alla CTP di Biella la relativa cartella di pagamento – costituente l’oggetto del presente giudizio – deducendo, in particolare: a) l’inapplicabilità dell’art. 216 c.d.c., sul presupposto che tale disposizione si applicherebbe solo alle merci non comunitarie materialmente incorporate nel prodotto compensatore riesportato, e non anche alle merci estere in temporanea importazione non utilizzate nella realizzazione del prodotto compensatore, perchè sostituite per equivalenza con quelle interamente comunitarie; b) l’applicabilità dell’art. 220 c.d.c., ovverosia dell’esimente comunitaria che esclude la contabilizzazione a posteriori dei dazi sull’importazione, in presenza di un errore dell’autorità doganale e della buona fede dell’operatore.

4.3. Tutto ciò premesso, va rilevato, al riguardo, che l’art. 243 c.d.c. consente avverso la "decisione" dell’autorità doganale – per tale dovendo intendersi, ai sensi degli artt. 4 e 5 c.d.c., qualsiasi atto impositivo e/o provvedimentale scaturito dai controlli a posteriori, e quindi sia gli atti di accertamento e di rettifica, sia le deliberazioni risolutive dell’eventuale controversia amministrativa – il ricorso, in una prima fase, dinanzi all’autorità doganale, ed in una seconda fase dinanzi ad un’istanza indipendente, che può essere un’autorità giudiziaria di uno Stato membro. Tali forme di tutela sono poste in posizione di alternatività, nel senso che il ri-corso amministrativo non costituisce un fase necessaria prima dell’introduzione del ricorso giurisdizionale, non essendo escluso dal legislatore comunitario che l’operatore possa rivolgersi direttamente all’istanza indipendente, ossia al giudice nazionale.

Nondimeno, quand’anche fosse stata – in concreto – prescelta dall’operatore la via della cd. controversia doganale – ai sensi del D.P.R. n. 43 del 1973, integrato e novellato dal D.Lgs. n. 374 del 1990 – avverso la deliberazione risolutiva di tale controversia, adottata in via definitiva dal competente organo dell’amministrazione delle Dogane, non potrebbe non essere consentita l’impugnazione in sede giurisdizionale dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale, atteso che tale deliberazione – come dianzi rilevato – viene in concreto ad assumere il carattere di una decisione doganale impugnabile, poichè del tutto equiparabile ad un atto impositivo (cfr. Cass. 19193/06, 19197/06, 21377/06).

4.4. Ebbene, non può revocarsi in dubbio – a parere della Corte – che tra i predetti provvedimenti definitivi impugnabili in sede giurisdizionale dinanzi alle Commissioni Tributarie Provinciali rientri anche la decisione adottata, nel caso di specie, dal Direttore Regionale delle Dogane sul ricorso amministrativo proposto dalla Agrover s.r.l. Ed invero, si tratta senza dubbio – indipendentemente dal nomen iuris in concreto adoperato per qualificare tale provvedimento – di un atto emesso dall’autorità competente a decidere con carattere di definitività i ricorsi proposti contro gli atti amministrativi degli uffici operativi, ed – al contempo – idoneo a portare a conoscenza del contribuente la pretesa dell’amministrazione. Tale provvedimento risolutivo della controversia doganale è, pertanto, diretto, in buona sostanza, a consentire all’operatore l’esercizio del diritto di difesa, provocando il riesame nel merito, in sede giudiziaria, della pretesa impositiva vagliata solo in sede amministrativa (cfr. Cass. 21350/07).

4.5. Nel caso di specie, tuttavia, la Agrover s.r.l. non ha proposto impugnazione avverso il provvedimento emesso dal Direttore Regionale delle Dogane, bensì soltanto nei confronti della cartella di pagamento emessa a seguito degli avvisi di accertamento suppletivi e di rettifica emessi dall’autorità doganale.

Ne discende che l’odierna intimata – ad avviso della Corte – si è definitivamente preclusa la possibilità di ridiscutere, in sede giurisdizionale, i presupposti dell’imposizione esercitata dall’amministrazione finanziaria, e che hanno trovato una verifica solo nella sede amministrativa attiva (con l’emissione degli avvisi di accertamento e di rettifica) e giustiziale di settore (con la decisione sul ricorso al Direttore Regionale delle Dogane).

Osserva, per vero, la Corte che la cartella esattoriale di pagamento – impugnata, nella specie, dalla Agrover s.r.l. – quando faccia seguito ad un avviso di accertamento o altro atto impositivo divenuto definitivo, si esaurisce in un’intimazione di pagamento della somma dovuta dal contribuente, in base all’atto di accertamento a monte, e non integra un nuovo ed autonomo atto impositivo. Ne discende che, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, detta cartella esattoriale resta sindacabile in giudizio solo per vizi propri, e non anche per questioni attinenti all’atto di accertamento dal quale è sorto il debito, che restano precluse dalla definitività dell’atto impositivo medesimo, e non possono essere fatte valere nuovamente con l’impugnazione della cartella esattoriale di pagamento (v. Cass. 6029/02, 17937/04, 16641/11). Il motivo di ricorso in esame, pertanto, a parere della Corte si palesa del tutto fondato e non può che essere accolto.

5. L’accoglimento della prima censura proposta dall’Agenzia delle Dogane, rigettato il secondo motivo ed assorbiti gli altri, comporta la cassazione della sentenza impugnata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto la Corte, nell’esercizio del potere di decisione nel merito di cui all’art. 384 c.p.c., comma 2, rigetta il ricorso introduttivo della società contribuente.

6. Le spese del presente grado del giudizio vanno poste a carico dell’intimata soccombente, nella misura di cui in dispositivo.

Concorrono giusti motivi per dichiarare interamente compensate fra le parti le spese dei gradi di merito.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE accoglie il primo motivo di ricorso, rigetta il secondo e dichiara assorbiti gli altri; cassa l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo proposto dalla società contribuente; condanna l’intimata al rimborso delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 12.000,00, oltre alle spese prenotate a debito; dichiara compensate tra le parti le spese dei giudizi di merito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 12 gennaio 2012.

Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2012

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