Cass. civ. Sez. V, Sent., 02-03-2012, n. 3263 Dichiarazione dei redditi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

V.G. propone ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia che ha accolto parzialmente l’appello dell’Agenzia delle entrate, ufficio di Breno, nel giudizio introdotto con l’impugnazione degli avvisi di accertamento ai fini dell’IRPEF, dell’ILOR e dell’IVA per gli anni 1994, 1995 e 1996.

All’esito delle verifiche sui conti bancari era infatti emerso che il contribuente, che non poteva esercitare attività imprenditoriale per precedenti condanne, aveva posto all’incasso assegni emessi da imprese annotatrici di fatture attive di una ditta risultata essere una "cartiera", dopo la girata del titolo di credito da parte di questa; un’altra ditta individuale, poi, aveva posto all’incasso assegni bancari emessi dal contribuente ritenuti riferiti a pagamenti per prestazioni e/o cessioni di beni effettuate senza emissione di fattura; in ordine a tali assegni il contribuente non aveva fornito spiegazioni, dichiarando di "non ricordare".

Il giudice d’appello, quanto alle imposte dirette, ha ritenuto legittimo l’accertamento induttivo dell’ufficio, ma ha considerato irrealistico sul piano economico il risultato cui era pervenuto l’ufficio, ed ha rideterminato il reddito nella misura percentuale del 30-35% dei ricavi accertati per gli anni controversi; quanto all’IVA, ha accolto l’appello dell’ufficio, perchè la disciplina dell’imposta non ne consente la detrazione per le fatture relative ad operazioni inesistenti.

L’Agenzia delle entrate ed il Ministero dell’economia e delle finanze resistono con controricorso.

Motivi della decisione

Il ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze è inammissibile, poichè tale amministrazione, cui è succeduta l’Agenzia delle entrate a far data dal 1 gennaio 2001, non fu parte nel giudizio d’appello, introdotto con atto d’impugnazione depositato il 4 ottobre 2002.

Con l’unico motivo del ricorso il contribuente, denunciando "violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32, 38, 39, 40 e 41, e del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 53, 54 e 55, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, – Carenza, insufficienza, incongruità e contraddittorietà della motivazione sui punti decisivi della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5", si duole sia stata ritenuta legittima la pretesa fiscale per non avere esso ricorrente provato che le somme portate dagli assegni in contestazione non erano riconducibili ad una attività d’impresa.

Assume infatti che nella specie difetterebbe il nesso di consequenzialità fra i presupposti sulla base dei quali il verbale di constatazione prima e gli atti impositivi poi erano stati adottati e le conclusioni in tali atti formulati. Lamenta la mancata considerazione, nel verbale di constatazione e negli atti impositivi, di una segnalazione della Guardia di finanza di Costa Volpino, che lo aveva qualificato come semplice monetizzatore di assegni e non come imprenditore occulto; si duole che il giudice d’appello non abbia indicato il benchè minimo indice rivelatore di un’attività imprenditoriale di esso ricorrente, essendo totalmente astratti i titoli di credito, unico elemento rilevato. Assume infine che il divieto di consecuzione di presunzioni semplici di cui agli artt. 2727 e 2729 c.c., varrebbe a scalzare le presunzioni di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 1973, art. 32.

Il ricorso è infondato.

Il giudice d’appello ha correttamente affermato che in base al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, "i singoli dati ed elementi risultanti dai conti sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dai precedenti artt. 38, 39, 40 e 41, se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta, ed alle stesse condizioni sono altresì posti come ricavi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il beneficiario, i prelevamenti annotati negli stessi conti e non risultanti nelle scritture contabili: quando il contribuente non fornisce informazioni delle movimentazioni risultanti dai conti correnti, l’onere della prova è a suo carico".

Il motivo di censura è del tutto elusivo sul punto, anche quando sottolinea il carattere "astratto" dei titoli di credito utilizzati per le movimentazioni bancarie contestate, laddove su tale astrattezza il contribuente aveva l’onere di fare luce, dando conto del rapporto causale che di ciascuno di essi era alla base.

Neppure il richiamo alla mancanza di prova dello svolgimento di attività di impresa coglie nel segno, ove si consideri che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi, "i dati e gli elementi risultanti dai conti correnti bancari vanno ritenuti rilevanti ai fini della ricostruzione del reddito imponibile, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, se il titolare del conto non fornisca adeguata giustificazione, a prescindere dalla prova preventiva che il contribuente eserciti una determinata attività e dalla natura lecita o illecita dell’attività stessa" (Cass. n. 10578 e n. 19692 del 2011).

Il ricorso non rivolge specifiche censure alla decisione in ordine all’accertamento dell’IVA. E’ perciò appena il caso di ricordare che, analogamente, in tema di IVA, secondo un consolidato indirizzo, "l’utilizzazione dei dati acquisiti presso le aziende di credito, ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, comma 2, n. 2, non è subordinata alla prova che il contribuente eserciti attività d’impresa: infatti, se non viene contestata la legittimità dell’acquisizione dei dati risultanti dai conti correnti bancari, i medesimi possono essere utilizzati sia per dimostrare l’esistenza di un’eventuale attività occulta (impresa, arte o professione), sia per quantificare il reddito ricavato da tale attività, incombendo al contribuente l’onere di dimostrare che i movimenti bancari che non trovano giustificazione sulla base delle sue dichiarazioni non sono fiscalmente rilevanti: in applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, la quale aveva annullato l’avviso di accertamento emesso sulla base dei dati risultanti da un conto corrente bancario, escludendo, senza tener conto dei medesimi dati, che il contribuente esercitasse attività imprenditoriale" (Cass. n. 9573 del 2007, n. 2435 del 2001).

Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze e rigetta il ricorso proposto nei confronti dell’Agenzia delle entrate.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in complessivi Euro 5.000 oltre ad eventuali spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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