Cons. Stato Sez. VI, Sent., 04-11-2011, n. 5857

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La ricorrente, S.p.a. C. D. G., titolare della concessione demaniale marittima n. 1680 del 1974 per la realizzazione e la gestione di un approdo turistico in Lavagna, veniva dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Milano 3 aprile 1998, n. 291.

In sede di concordato preventivo la S.p.a. P. D. L., terzo assuntore, assumeva l’onere di liquidare la massa fallimentare a fronte dell’intero attivo fallimentare della originaria società concessionaria per la costruzione e la gestione del porto turistico di Lavagna.

Con la sentenza 6 aprile 2000, n. 4376, il Tribunale di Milano omologava il concordato fallimentare, disponendo il trasferimento all’assuntore di tutto l’attivo della procedura.

In data 13 ottobre 2000 l’Autorità marittima, con provvedimento DEM 2A/2399, autorizzava il subingresso della S.p.a. P. D. L. nella concessione già assentita alla S.p.a. C. D. G., ai sensi dell’art. 46 del codice della navigazione.

Con la sentenza n. 511 del 14 febbraio 2002, la Corte Costituzionale, all’esito di giudizio per conflitto di attribuzione, annullava la suddetta autorizzazione dichiarando l’incompetenza del Ministero dei trasporti e della navigazione.

2. La S.p.a. P. D. L. presentava quindi al Comune di Lavagna, divenuto nel frattempo competente per subdelega regionale, nuova istanza di autorizzazione al subingresso, ai sensi del citato art. 46 del Codice della navigazione (d’ora in poi "Codice"), riscontrata positivamente con la determinazione dirigenziale (area tecnica) del Comune di Lavagna n. 19060 del 7 agosto 2003.

3. Gli atti del procedimento di autorizzazione al subingresso a favore della S.p.a. P. D. L., concluso con la citata determinazione n. 19060 del 2003, venivano quindi impugnati dalla S.p.a. C. D. G., con il ricorso n. 1063 del 2003 e motivi aggiunti, proposto al Tribunale amministrativo regionale per la Liguria.

4. Il TAR, con la sentenza n. 1479 del 2004, dichiarava il ricorso inammissibile per difetto di legittimazione attiva della ricorrente.

Nella sentenza, in sintesi, sono respinti i motivi dedotti dalla ricorrente, secondo i quali, in coerenza in particolare con la speciale normativa di cui all’art. 46 del codice della navigazione, in sede di concordato fallimentare sarebbero stati trasferiti alla S.p.a. P. D. L. soltanto le opere e gli impianti realizzati dalla S.p.a. C. D. G. in esecuzione della concessione demaniale e non anche la concessione avente ad oggetto i beni demaniali veri e propri, con conseguente legittimazione della S.p.a. C. D. G. alla impugnazione dei provvedimenti di autorizzazione al subingresso, lesivi dell’aspettativa della ricorrente alla salvaguardia della concessione.

5. La S.p.a. C. D. G. ha quindi proposto appello, n. 2823 del 2005, avverso la suddetta sentenza del Tar.

L’appello è stato respinto con la sentenza di questa Sezione 15 novembre 2005, n. 6370, nella quale si condividono le ragioni della dichiarazione di inammissibilità del ricorso individuate dal primo giudice.

Nella sentenza di secondo grado si afferma, in sintesi, che "la C. D. G. s.p.a., a seguito della cessione di tutto l’attivo fallimentare di cui al concordato preventivo, non riveste una posizione differenziata capace di sostanziare l’interesse a ricorrere avverso l’autorizzazione al sub ingresso resa in favore della P. D. L. s.p.a. Infatti in disparte il tema dell’inclusione della titolarità della concessione nel compendio dei beni oggetto di traslazione in sede di concordato…non è possibile scindere…l’interdipendenza funzionale tra titolo amministrativo e compendio economico delle opere oggetto della concessione" risultando che "l’eccentricità di una concessione nuda priva di contenuto sostanziale, rende allora ragione della non ricorrenza di una posizione differenziata rispetto all’autorizzazione al subingresso alla concessione, ed alla concessione stessa, in capo al soggetto che abbia alienato la proprietà delle opere tutte necessarie per l’esercizio della concessione".

Si argomenta quindi che "L’assunto ora esposto trova conferma nel combinato disposto dell’art. 46, comma 2, del codice della navigazione e dell’articolo 30, del regolamento", dovendosi ricondurre la fattispecie del fallimento del concessionario a quanto in tale normativa previsto sulla possibilità di subentro da parte dell’acquirente o dell’aggiudicatario della vendita forzata delle opere, a prescindere da ogni iniziativa del precedente concessionario, non potendosi inoltre condividere la diversa interpretazione per cui tale normativa "concernerebbe non il subingresso nella concessione demaniale bensì nei singoli titoli concessori ad aedificandum in virtù dei quali sono stati realizzati sul suolo demaniale i singoli beni immobili", poiché questa interpretazione è in contrasto con quanto disposto dalla normativa e, comunque, non è "pertinente ad una fattispecie nella quale non viene in rilievo il trasferimento di singoli manufatti ma della totalità delle opere interessate dalla concessione, con la conseguente inscindibilità del titolo amministrativo e del compendio nella cui gestione il primo si risolve".

6. La ricorrente in epigrafe ha chiesto la revocazione della detta sentenza della Sezione, n. 6730 del 2005, ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c.

Si sono costituiti il Comune di Lavagna, resistente, e la S.p.a. P. D. L., originaria controinteressata, chiedendo il rigetto del ricorso.

7. All’udienza del 18 ottobre 2011 la causa è stata trattenuta per la decisione.

Motivi della decisione

1. Nel ricorso si afferma che la sentenza della Sezione n. 6370 del 2005 è da revocare poiché viziata per errore di fatto, in quanto:

– non corrisponderebbero al vero le asserzioni sulla sussistenza di una interdipendenza funzionale tra tutte le opere realizzate dalla ricorrente e la concessione demaniale e sull’avvenuto trasferimento della totalità delle opere interessate dalla concessione e non di singoli manufatti, non essendo tali asserzioni coerenti, da un lato, con il contenuto della convenzione accessiva alla concessione, in cui è chiara la scindibilità dei detti manufatti (opere fuori terra) dalle opere acquisite al demanio marittimo, essenziali alla qualificazione del bene porto (in particolare moli, banchine, piazzali, pontili) e quindi afferenti alla concessione e, dall’altro, con la indeterminatezza del contenuto traslativo della sentenza di omologazione (che aveva disposto il trasferimento di "tutti i beni e crediti acquisiti alla massa attiva fallimentare, nello stato di fatto e di diritto in cui si ritrovano, come nella disponibilità del curatore");

– sarebbe erronea la qualificazione giuridica delle opere di cui si tratta, per non avere la sentenza individuato le costruzioni installate sul porto quale oggetto di una autonoma concessione di secondo grado, generata da quella generale per la realizzazione e gestione del porto turistico, e non aver considerato che, di conseguenza, il trasferimento delle opere in questione non comporta la perdita dell’intera concessione; ciò che è confermato dagli articoli 49 e 46, comma 1, del Codice della navigazione, poiché, per il primo, le opere di proprietà privata costruite su area demaniale su autorizzazione dell’ente concedente sono soggette a devoluzione al termine della concessione, e, per il secondo, il subingresso nell’intera concessione è possibile su iniziativa del concessionario, ferma l’autorizzazione dell’autorità concedente;

– così come sarebbe erronea l’interpretazione dell’art. 46, comma 2, del Codice, poiché inficiata dall’errore di fatto dovuto alla mancata considerazione della scindibilità delle opere, invece chiaramente individuabile non soltanto nella convenzione accessiva alla concessione ma anche nei verbali assembleari della Società C. D. G., in quanto non recanti il consenso al trasferimento dell’intera concessione, nonché alla luce della sentenza di omologazione, da interpretare come idonea a consentire il trasferimento soltanto dei beni oggetto del diritto di proprietà del fallito.

2. Il ricorso non può essere accolto.

La giurisprudenza ha chiarito che, secondo l’espresso dettato dell’art. 395, n. 4 c.p.c., "l’errore di fatto che consente di rimettere in discussione il decisum del giudice con il rimedio straordinario della revocazione è solo quello che non coinvolge l’attività valutativa dell’organo decidente, ma tende invece ad eliminare l’ostacolo materiale frapposto fra la realtà del processo e la percezione che di questa il giudice abbia avuto (Cons. Stato, Sez. VI, 29 settembre 1982, n. 447), ostacolo promanante da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio (Cons. Stato, Sez. IV, 13 luglio 1982, n. 504), sempre che il fatto oggetto dell’asserito errore non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza impugnata per revocazione abbia pronunciato, dovendosi escludere che il giudizio revocatorio, in quanto rimedio eccezionale, possa essere trasformato in un ulteriore grado di giudizio (Cons. Stato, Sez. V, 28 dicembre 2007, n. 6774), costituendo "principio pacifico quello per cui l’errore di fatto che legittima il ricorso per revocazione debba consistere nel c.d. "abbaglio dei sensi", ossia in un travisamento dovuto a mera svista, che induca a considerare inesistenti circostanze indiscutibilmente esistenti o viceversa. Detto in altri termini, l’errore di fatto revocatorio consiste in una falsa percezione della realtà processuale e cioè in una svista – obiettivamente ed immediatamente rilevabile – che abbia portato ad affermare o soltanto supporre… l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti di causa ovvero la inesistenza di un fatto decisivo che dagli atti risulti invece positivamente accertato. Occorre in ogni caso, però, come si è detto, che tale fatto non abbia costituito un punto controverso sul quale sia intervenuta la pronuncia del giudice, perché in tal caso sussiste semmai un errore di diritto (C.G.A., 3 marzo 1999, n. 83) e con la revocazione si verrebbe in sostanza a censurare la valutazione e l’interpretazione delle risultanze processuali (Cons. Stato, Sez. VI, 22 febbaio 1980, n. 208). Deve, pertanto, ritenersi inammissibile la domanda di revocazione che si fondi sull’erroneo apprezzamento delle risultanze del fatto stesso." (Cons. Stato, Ad. Plen. 17 maggio 2010, n. 2; cfr anche, ex multis, Cons. Stato: sez. VI, 23 febbraio 2011, n. 1145; sez. IV, 24 gennaio 2011, n. 503; sez. VI, 29 ottobre 2008, n. 5416; Cassazione civile, sez. I, 19 giugno 2007, n. 14267).

In applicazione di questo consolidato indirizzo giurisprudenziale si deve osservare che nel presente ricorso per revocazione è indicato come errore di fatto revocatorio, che vizierebbe la sentenza impugnata n. 6370 del 2005, non la errata percezione del contenuto meramente materiale di atti di causa, che abbia indotto il giudice a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto non costituente punto controverso del decisum, ma, al contrario, la valutazione del fatto, e perciò il giudizio su un punto controverso della causa, svolto attraverso la qualificazione del fatto in riferimento alla normativa ritenuta applicabile, secondo il procedimento logicogiuridico proprio della decisione giurisdizionale.

Infatti:

a) la questione indicata nel ricorso in esame come costitutiva dell’errore di fatto revocatorio da cui sarebbe affetta la sentenza di appello n. 6370 del 2005, vale a dire la scindibilità fra opere fuori terra e opere afferenti alla concessione demaniale, è assunta nella detta sentenza quale unico e decisivo punto controverso del giudizio ed è in essa oggetto di valutazione espressa ed esaustiva;

b) tale valutazione non è determinata dalla considerazione di un presupposto di fatto ma dalla qualificazione giuridica data dal giudice di appello al caso all’esame, svolta attraverso il giudizio di necessaria interdipendenza funzionale tra titolo amministrativo e compendio economico, "in disparte il tema dell’inclusione della titolarità della concessione nel compendio dei beni oggetto di traslazione in sede di concordato" e di applicabilità al caso degli articoli 46, comma 2, del codice della navigazione e 30 del regolamento di attuazione;

c) non si configura, di conseguenza, la fattispecie di cui all’art. 395, n. 4, c.p.c. essendo stato dedotto nel giudizio per revocazione non un errore di fatto, ma una specifica interpretazione degli atti di causa e della normativa da applicarvi e, perciò, un eventuale errore di diritto (la cui censura, si annota incidentalmente, risulta respinta da Cass. civ. sez. I, 26 maggio 2009, n. 12140).

3. Per quanto considerato il ricorso per revocazione deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese seguono, come di regola, la soccombenza e si liquidano nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione sesta) dichiara inammissibile il ricorso per revocazione in epigrafe, n.10509 del 2006.

Condanna la S.p.a. C. D. G., ricorrente, al pagamento delle spese del giudizio a favore del Comune di Lavagna e della S.p.a. P. D. L., che liquida nel complesso in euro 20.000,00 (ventimila/00), oltre gli accessori di legge, di cui euro 10.000,00 (diecimila/00) a favore del Comune di Lavagna ed euro 10.000,00 (diecimila/00) a favore della S.p.a. P. D. L..

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *