Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 14-06-2011) 05-10-2011, n. 36039

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

A.M., ristretto in carcere in via preventiva per un rapina che avrebbe commesso unitamente allo zio A.G. in data (OMISSIS) ai danni del supermercato (OMISSIS), col presente ricorso impugna, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), l’ordinanza collegiale di conferma dell’applicazione della misura cautelare. Premessa, nella sostanza, la sicura responsabilità del correo, a carico del quale gravano anche prove dattiloscopiche, il provvedimento de quo è censurato nella parte in cui, valorizzando taluni indizi di correità, non tiene conto di varie discrasie che renderebbero priva di coerenza logica la ricostruzione dei fatti accreditata presso il Tribunale del riesame.

Lamenta poi la inadeguatezza della misura cautelare applicata, ritenuta eccessivamente afflittiva rispetto alle effettive esigenze cautelari.

Tali doglianze, attinenti al merito della decisione, non danno luogo a censure che possano trovare ingresso nel giudizio di legittimità.

Questa Corte ha ripetutamente affermato che ricorre il vizio di motivazione illogica o contraddittoria solo quando emergono elementi di illogicità o contraddizioni di tale macroscopica evidenza da rivelare una totale estraneità fra le argomentazioni adottate e la soluzione decisionale (Cass. 25 maggio 1995, n. 3262). In altri termini, occorre che sia mancata del tutto, da parte del giudice, la presa in considerazione del punto sottoposto alla sua analisi, talchè la motivazione adottata non risponda ai requisiti minimi di esistenza, completezza e logicità del discorso argomentativo su cui la decisione è fondata e non contenga gli specifici elementi esplicativi delle ragioni che possono aver indotto a disattendere le critiche pertinenti dedotte dalle parti (Cass. 15 novembre 1996, n. 10456).

Queste conclusioni restano ferme pur dopo la L. n. 46 del 2000 che, innovando sul punto l’art. 606 c.p.p., lett. e) c.p.p., consente di denunciare i vizi di motivazione con riferimento ad "altri atti del processo": alla Corte di cassazione resta comunque preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi o diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa, dovendosi essa limitare a controllare se la motivazione dei giudici di merito sia intrinsecamente razionale e capace di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito, (ex plurimis: Cass. 1 ottobre 2008 n. 38803).

Quindi, pur dopo la novella, non hanno rilevanza le censure che si limitano ad offrire una lettura alternativa delle risultanze probatorie, dal momento che il sindacato della Corte di cassazione si risolve pur sempre in un giudizio di legittimità e la verifica sulla correttezza e completezza della motivazione non può essere confusa con una nuova valutazione delle risultanze acquisite. La Corte, infatti, non deve accertare se la decisione di merito propone la migliore ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la giustificazione, ma limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (v. Cass. 3 ottobre 2006, n. 36546;

Cass. 10 luglio 2007, n. 35683; Cass. 11 gennaio 2007, n. 7380).

Nessuno di tali vizi ricorre nel caso di specie, dal momento che il giudice di merito ha esposto un ragionamento argomentativo coerente, completo e privo di discontinuità logiche.

Gli elementi di correità censiti a carico dell’imputato sono numerosi e ragionevolmente ritenuti precisi e concordati:

l’ A. possiede una vettura Alfa Romeo 147 dello stesso colore di quella descritta dai testimoni oculari; l’autovettura presente una ammaccatura compatibile con la descrizione raccolta dagli organi di p.g.; la sua autovettura produce un intenso fumo nero, ricordato dai testimoni oculari come elemento caratteristico del veicolo; le targhe di identificazione risultano manomesse (con delle viti mancanti), compatibilmente con l’uso di una targa falsa (prelevata da un veicolo rubato dello stesso modello) segnalata registrata da una teste oculare; l’ A. era presente sul luogo della rapina in orario coincidente al commesso reato, come ricavato dalla verifica della cella cui era agganciato a quell’ora il suo cellulare; dopo circa due mesi l’ A. è stato tratto in arresto, unitamente allo zio, il flagranza di una rapina eseguita con modalità equivalenti (ai danni di un supermercato, con autovettura con targhe alterate).

A fronte di questi elementi, i dati evidenziati nel ricorso risultano di scarso rilievo ed inidonei a fondare un giudizio di macroscopica illogicità della motivazione. Si tratta di un errore marginale sul numero identificativo del modello di autovettura (Alfa Romeo 156 anzichè 147); della descrizione del conducente da parte di una testimone in modo non pienamente coincidente con le fattezze dell’ A. ("giovane coi capelli corti chiari", mentre l’imputato è un quarantenne); della sostanziale equivalenza fra la "strusciatura" su una fiancata del veicolo, di cui parla il teste, e l’ammaccatura sottolineata dall’imputato (il quale assume peraltro che la stessa è stata causata da un incidente stradale – peraltro civilmente risarcito – in data successiva al giorno di commissione della rapina). Peraltro, in relazione ad ognuno di questi profili il Tribunale del riesame ha dato adeguata contezza della rilevanza nel quadro probatorio generale.

La soluzione alternativa prospettata dal ricorrente – il quale assume che, quand’anche l’autovettura impiegata per la rapina fosse effettivamente la sua, nulla esclude che potrebbe essere stata utilizzata a sua insaputa da un familiare – non priva di razionalità la ricostruzione dei fatti fatta propria nel provvedimento impugnato, che dunque si sottrarre alle censure fin qui esaminate.

Anche la doglianza relativa alla misura della pena è inammissibile, Infatti, "la graduazione delle pena, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale la esercita in aderenza ai principi enunciati degli artt. 132 e 133 c.p., sicchè è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena" (Cass. 17 ottobre 2007, n. 1182; v. pure Cass. 9 dicembre 1994, n. 829).

Per queste ragioni il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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