Cass. civ. Sez. III, Sent., 02-03-2012, n. 3251 Affitto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con distinti ricorsi in data 28 dicembre 1998 e 11 marzo 1999 S.S., S.P. e S.M.L. hanno convenuto in giudizio, innanzi alla pretura di Brindisi, sezione distaccata di Fasano, S.N., chiedendo di essere reintegrati nel possesso di alcuni terreni e del fabbricato rurale ivi insistente in agro di F..

Hanno esposto i ricorrenti che il loro genitore, S.V. L., deceduto il (OMISSIS), con testamento pubblicato il 27 agosto 1998 aveva disposto che i fondi e il fabbricato rurale facenti parte della Masseria Spetterrata, in agro di (OMISSIS), andassero divisi tra i figli N., P. e S., assegnando altro fondo, sempre in agro di (OMISSIS), alla figlia M.L., che tali fondi, e il relativo fabbricato, erano stati sempre condotti direttamente dal de cuius praticando la coltura biologica e beneficiando degli aiuti della Regione Puglia, che i coeredi avevano delegato S.S. a proseguire la coltivazione biologica di cui all’impegno 12 settembre 1996, assunto dal dante causa, e a beneficiare dei relativi contributi ma che il coerede S. N. aveva tenuto come proprie tali unità produttive, percependone i frutti.

Costituitosi in tutti i distinti procedimenti S.N. ha negato che i terreni e il fabbricato rurale oggetto dell’azione di spoglio fossero mai stati posseduti, detenuti o condotti direttamente da S.V.L., atteso che tali beni, e l’intera azienda agricola del de cuius – costituita da circa 45 ettari di terreno – erano stati condotto in affitto da esso concludente, come da contratti in data 30 marzo 1984, 16 febbraio 1988 e 30 marzo 1997, che aveva sempre curato ogni esigenza relativa alla coltivazione del fondo.

Nel settembre 1996 – ha riferito ancora il convenuto – esso concludente e S.V.L. avevano convenuto di avviare colture biologiche su circa 20 ettari dell’azienda e di tale attività si era occupato, sia prima che dopo il decesso di S. V.L., esso concludente, anche dopo la delega a S. S. menzionataci vari ricorsi introduttivi.

In merito ai soli ricorsi proposti da S.P. e da S.M.L. – infine – S.N. ha eccepito di avere eseguito opere di miglioramento sui fondi descritti nei ricorsi stessi sicchè – in via riconvenzionale – ha chiesto il pagamento della indennità di cui alla L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 17.

Disposta la riunione dei vari procedimenti e svoltasi una prima fase istruttoria, nel corso della quale S.N. e S. M.L. transigevano la lite, il tribunale di Brindisi, sezione distacca di Fasano in composizione monocratica, con ordinanza 16 luglio 2002, rilevato che S.N. aveva agito in base alla detenzione che gli derivava dai contratti di affitto (stipulati con il de cuius) e che non competeva al tribunale in composizione ordinaria ma alla sezione specializzata agraria la decisione in ordine alla eccepita simulazione dei contratti di affitto in questione, ha rigettato i ricorsi, disponendo la prosecuzione per il ed. merito possessorio.

Confermata tale ordinanza dal tribunale di Brindisi in composizione collegiale che tuttavia ha ritenuto di potere esaminare la sollevata eccezione di simulazione, ritenendo peraltro non raggiunta la prova della dedotta simulazione, con sentenza 2 dicembre 2004 l’adito tribunale, da un lato, ha dichiarato estinto il giudizio promosso da S.M.L. nei confronti di S.N., dall’altro, ha rigettato le domande di reintegrazione del possesso proposte da S.S. e S.P..

Gravata tale pronunzia da S.S. e S.P. nel contraddittorio di S.N., nonchè di R.V., quale procuratore distrattario delle spese del giudizio liquidate in favore di S.N., che hanno chiesto il rigetto dell’avverso gravame, la Corte di appello di Lecce, con sentenza 20 luglio – 11 dicembre 2009 in accoglimento dell’appello ha accolto i ricorsi depositati il 28 dicembre 1998 e l’11 marzo 1999 e, per l’effetto, ordinato a S.N. di reintegrare i ricorrenti S.S. e S.P. nel possesso dei terreni in Fasano meglio descritti in sentenza nonchè al pagamento delle spese di entrambi i gradi del giudizio.

Per la cassazione di tale ultima pronunzia, non notificata, ha proposto ricorso, affidato a 3 motivi, S.N., con atto 9 febbraio 2010 e date successive, illustrato da memoria.

Resistono, con controricorso, S.S. e S.P..

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata lamentando violazione di norme sulla competenza in relazione al combinato disposto della L. n. 29 del 1990, art. 9, e art. 38 c.p.c..

Si osserva, infatti, che sebbene proposta in forma di controversia in materia di possesso fondiario, il vero oggetto del contendere – nella presente vertenza – è, in realtà, costituito dall’accertamento di un contratto agrario ai fini del rilascio dei fondi rustici di proprietà dei ricorrenti in prime cure e del pagamento delle indennità di cui alla L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 17, sicchè la sentenza impugnata avrebbe disapplicato la L. 14 febbraio 1990, n. 29, art. 9, che radica la competenza funzionale della sezione specializzata agraria per tutte le controversie che implichino il necessario accertamento – positivo o negativo – dei rapporti soggetti alle speciali norme cogenti in materia di contratti agrari.

2. Il motivo non può trovare accoglimento.

A prescindere da ogni altra considerazione si osserva che il presente giudizio è stato promosso, in primo grado, con ricorsi depositati il 28 dicembre 1998 e l’11 marzo 1999 e, pertanto, successivamente al 1 maggio 1995.

Deriva da quanto sopra, pertanto, che trova applicazione l’art. 38 cod. proc. civ., comma 1, come risultante per effetto della L. 26 novembre 1990, n. 353, art. 4: l’incompetenza per materia, quella per valore e quella per territorio, nei casi previsti dall’articolo 28 sono rilevate, anche d’ufficio, non oltre la prima udienza di trattazione.

Certo che nella specie non risulta che S.N. abbia sollevato l’eccezione di incompetenza per materia dell’adito tribunale in composizione ordinaria a conoscere della controversia, per essere competente la sezione specializzata agraria, entro il detto termine (e, comunque, anche nella eventualità abbia formulato una tale eccezione, in violazione del principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, nulla ha riferito, in ricorso in ordine al momento e alle modalità in cui l’eccezione stessa è stata sollevata) è evidente che è preclusa, in questa sede, ogni indagine al riguardo.

Irrilevante e non pertinente, al fine del decidere, è la circostanza che il tribunale di Brindisi, sezione distaccata di Pasano, in composizione monocratica abbia affermato che sussisteva la competenza della sezione agraria a conoscere della domanda di simulazione del contratto di affitto, atteso che tale statuizione è stata disattesa dallo stesso tribunale, in composizione collegiale, e che tale ultima statuizione non è stata censurata, per la parte de qua, in grado di appello.

In alcun modo pertinente – ancora – al fine del decidere è l’insegnamento di cui a Cass., sez. un., 19 febbraio 2007, n. 3717 e Cass., sez. un., 16 settembre 1990, n. 9197, richiamate nella memoria di cui all’art. 378 cod. proc. civ., tenuto presente:

– da un lato, che tale giurisprudenza è stata disattesa dalla più recente giurisprudenza di questa Corte regolatrice, costante nell’affermare che la parte risultata vittoriosa nel merito nel giudizio di primo grado, al fine di evitare la preclusione della questione di giurisdizione risolta in senso ad essa sfavorevole, è tenuta a proporre appello incidentale, non essendo sufficiente ad impedire la formazione del giudicato sul punto la mera riproposizione della questione, ai sensi dell’art. 346 cod. proc. civ., in sede di costituzione in appello, stante l’inapplicabilità del principio di rilevabilità d’ufficio nel caso di espressa decisione sulla giurisdizione e la non applicabilità dell’art. 346 cod. proc. civ. (riferibile, invece, a domande o eccezioni autonome sulle quali non vi sia stata decisione o non autonome e interne al capo di domande deciso) a domande o eccezioni autonome espressamente e motivatamente respinte, rispetto alle quali rileva la previsione dell’art. 329 cod. proc. civ., comma 2, per cui in assenza di puntuale impugnazione opera su di esse la presunzione di acquiescenza (in termini, ad esempio, Cass., sez. un., 16 ottobre 2008, n. 25246);

– dall’altro, che le sentenze invocata dal ricorrente sono state rese con riguardo all’eccezione di carenza di giurisdizione (ex art. 37 cod. proc. civ., rilevabile anche d’ufficio in qualunque stato e grado del processo) e non con riferimento alla diversa eccezione di incompetenza per materia per la quale trova applicazione (nella specie) l’art. 38 cod. proc. civ., comma 3;

– da ultimo, infine, la giurisprudenza richiamata dal ricorrente richiede che la parte, vincitrice in primo grado, abbia riproposto la questione di giurisdizione ai sensi dell’art. 346 cod. proc. civ., mentre nella specie non solo dalla sentenza impugnata non risulta rispettato tale adempimento ma – comunque – in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione il ricorrente ha omesso di indicare, in ricorso, in quale occasione, e con quali espressioni, nel rispetto del principio del contraddittorio, avesse eccepito, nel corso del giudizio di secondo grado, la incompetenza per materia del tribunale in composizione ordinaria.

3. Con il secondo motivo il ricorrente censura la pronunzia impugnata denunziando violazione della norma della L. 3 maggio 1982, n. 203, ex art. 49.

Si osserva, infatti, che i giudici a quibus, nell’ affermare – a p. 8 della sentenza impugnata – che esso concludente era mero collaboratore del padre nella gestione dell’azienda (anche dopo il 1982 e comunque in epoca successiva all’asserita stipulazione dei contratti di affitto e sino al momento della morte di S.V. L.) hanno violato la richiamata disposizione normativa, atteso che hanno ignorato che la copiosa documentazione richiamata lasciava desumere non un rapporto di mera collaborazione, bensì la titolarità qualificata di una propria conduzione dei fondi parallela a quella del proprio genitore, sì, pertanto tutt’altro che provata risulta l’eccepita simulazione dell’affitto e viceversa è certamente dimostrato che S.N. ha comunque esercitato sui fondi paterni, sia pure come coadiutore di S.V.L., attività agricola come coltivatore diretto, maturando in tale qualità il diritto alla condizione dei medesimi fondi.

4. Il motivo è inammissibile.

Quando nel ricorso per cassazione, pur denunciandosi violazione e falsa applicazione della legge, con richiamo di specifiche disposizioni normative, non siano indicate le affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le disposizioni indicate – o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina – il motivo è inammissibile, poichè non consente alla Corte di cassazione di adempiere il compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. 20 gennaio 2006, n. 1108; Cass. 29 novembre 2005, n. 26048; Cass. 8 novembre 2005, n. 21659; Cass. 18 ottobre 2005, n. 20145; Cass. 2 agosto 2005, n. 16132, recentemente, Cass. 12 ottobre 2011, n. 20951).

Il vizio di violazione di legge – infatti – consiste nella deduzione di una erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (da cui la funzione di assicurare la uniforme interpretazione della legge, assegnata dalla Corte di Cassazione).

Viceversa, la allegazione di una erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze di causa, è esterna alla esatta interpretazione della norme di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice del merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione.

6. Il motivo è inammissibile, per difetto di interesse.

Accertato, come è stato accertato con statuizione al momento coperta da giudicato a seguito della dichiarata inammissibilità del secondo motivo di ricorso per cassazione, che l’odierno ricorrente – il quale nella dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà 12 dicembre 1990 ha dichiarato di non avere condotto nelle annata precedenti altri terreni a nessun titolo, oltre quelli alla contrada (OMISSIS), ivi specificamente indicati e ancora nella istanza 14 novembre 1997 si è dichiarato collaboratore del padre – non poteva qualificarsi conduttore dei fondi di proprietà del padre è palese che anche nella eventualità fosse dimostrato l’errore di fatto denunciato con il terzo motivo di ricorso – quanto alla corretta identificazione dei terreni destinati a coltivazione biologica – non per questo potrebbe mai pervenirsi alla cassazione della sentenza impugnata.

Specie considerato che lo stesso odierno ricorrente ha sempre ammesso che il comune genitore aveva – comunque – sempre conservato, formalmente, la titolarità della conduzione dei terreni interessati dalle misure agro ambientali e non ha dimostrato – in alcun modo – che nonostante tale formale titolarità della conduzione, in concreto il genitore avesse concluso con lui un contratto di affittanza agraria.

7. Infondato in ogni sua parte il proposto ricorso, in conclusione, deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso;

condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità liquidate in Euro 200,00 per spese, Euro 4.000,00 per onorari e oltre spese generali e accessori come per legge.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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