Cass. civ. Sez. III, Sent., 02-03-2012, n. 3250 Attività pericolose

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La F. citò in giudizio l’ASL RM (OMISSIS) per il risarcimento del danno, deducendo che, nel corso del tirocinio per allieva infermiera professionale, s’era punta con l’ago con il quale aveva effettuato il prelievo ematico da un paziente affetto da epatite C, risultando poi positiva al virus stesso.

Il Tribunale di Roma accolse la domanda facendo riferimento, ex art. 2050 c.c., alla pericolosità dell’esercitazione effettuata dalla F.. La sentenza è stata confermata dalla Corte d’appello di Roma.

Propone ricorso per cassazione la ASL RM (OMISSIS) attraverso cinque motivi. Risponde con controricorso la F..

Motivi della decisione

Il primo motivo censura la sentenza per ultrapetizione, sostenendo che il giudice avrebbe fatto applicazione della speciale disposizione dell’art. 2050 c.c., benchè la danneggiata avesse espressamente dedotto l’omissione di cautele ma non la pericolosità della manovra.

Il motivo è inammissibile per difetto d’autosufficienza. Sul punto la sentenza spiega che l’originario ricorso proposto nell’interesse della F. non faceva riferimento ad alcuna norma o categoria di responsabilità, limitandosi a descrivere l’incidente all’origine della controversia, ad evidenziare la pericolosità insita nella manovra demandatale come allieva e deducendo espressamente l’omissione di qualsiasi cautela da parte della ASL per evitare l’infortunio. Così utilizzando l’espressione che riecheggia la prova liberatoria richiesta dalla disposizione dell’art. 2050 c.c.. La ricorrente, per avere ingresso alla censura formulata, avrebbe dovuto trascrivere le parti dell’atto introduttivo (o di altri atti di causa) dalle quali dedurre la fondatezza della doglianza. Il secondo motivo censura l’omessa pronunzia in ordine al motivo d’appello che aveva contestato la circostanza della liquidazione di varie voci di danno, benchè la danneggiata nell’atto introduttivo avesse chiesto la liquidazione del solo danno biologico. Il motivo è inammissibile per la medesima ragione per cui lo è il precedente. La ricorrente, infatti, per ottenere ingresso alla censura avrebbe dovuto trascrivere nel ricorso i passi dell’atto introduttivo dalle quali desumere la dedotta circostanza.

Il terzo motivo censura la sentenza per vizio della motivazione in ordine alla liquidazione del danno biologico. Il motivo è infondato in quanto la motivazione sul punto si manifesta congrua e logica laddove spiega che la contestazione delle conclusioni della CTU non può essere effettuata sulla base di tabelle dei coefficienti, dovendosi piuttosto tener conto della gravità della patologia contratta e della sua evoluzione futura.

Il quarto motivo riguarda la liquidazione del danno morale, oltre quello biologico, e censura la sentenza per avere così prodotto una duplicazione risarcitoria. Il motivo è infondato: liquidando il danno morale, oltre quello biologico, in realtà il giudice ha proceduto alla personalizzazione del danno. Infatti, spiega la sentenza che l’ulteriore liquidazione costituisce il riflesso dei peculiari aspetti che caratterizzano la vicenda umana di una persona in giovane età che si trova a fronteggiare una malattia suscettibile di ingenerare un costante stato di preoccupazione ed anche di modificare radicalmente le normali abitudini di vita.

Il quinto motivo censura il punto della sentenza che ha respinto la censura della ASL relativa all’eccessivo ammontare degli onorari liquidati dalla sentenza di primo grado. Il motivo è inammissibile.

Anche in questo caso la ricorrente, per ottenere ingresso alla censura, avrebbe dovuto riferire l’ammontare della liquidazione delle spese effettuata dal primo giudice, quale, invece, a suo parere essa avrebbe dovuto essere e quali tariffe legali avrebbero dovuto trovare applicazione. Invece, la difesa dell’azienda si limita a chiedere la pronunzia di un principio generale, prescindendo del tutto dalla concreta fattispecie.

In conclusione, il ricorso deve essere respinto, con condanna della ricorrente a rivalere la controparte delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 3200,00, di cui Euro 3000,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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