T.A.R. Lazio Roma Sez. III ter, Sent., 04-11-2011, n. 8443 Sanzione amministrativa

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con il ricorso in epigrafe la società R.- R.T.I. S.p.a. impugna la delibera 10 luglio 2002 n. 151/02/CSP con cui l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni – Agcom, richiamando gli atti di contestazione in data 9 febbraio 2000 e la diffida del 22 gennaio 2002, per avere l’emittente Italia 1 effettuato nelle date del 14 e 22 aprile 2002, all’interno dei programmi "Controcampo" e "Distretto di polizia", alcuni inserimenti pubblicitari non sufficientemente distanziati, ha applicato la sanzione amministrativa di cui al comma 3 dell’art. 31, legge 6 agosto 1990, n. 223, ingiungendo il pagamento della somma di 5.164,00 euro.

Avverso il provvedimento impugnato deduce i seguenti motivi di diritto:

1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 31 della legge 6 agosto 1990, n. 223; dell’art. 14, legge n. 689/1981; dell’art. 4 del Regolamento in materia di procedura sanzionatorie dell’Autorità, adottato con delibera n. 425/01/CONS; eccesso di potere per erroneità dei presupposti, violazione della corretta sequenza procedimentale, illogicità.

L’Autorità non ha rispettato la corretta sequenza procedimentale, come definita dalla vigente normativa sia di rango primario che regolamentare, non solo con riguardo alla tipologia degli assunti ma anche con riferimento alla tempistica di emanazione e/o comunicazione degli stessi.

2) Violazione e falsa applicazione, sotto distinto profilo, dell’art. 4 del Regolamento in materia di procedure sanzionatorie dell’Autorità, adottato con delibera n. 425/01/CONS e dell’art. 14, legge n. 689/1981.

L’atto impugnato è comunque illegittimo non essendo stato notificato l’atto di contestazione entro novanta giorni dall’accertamento dei fatti con le modalità di cui all’art. 14, legge n. 689/1981.

3) Violazione dell’art. 31 della legge 6 agosto 1990, n. 223.

L’illegittimità della sanzione applicata discende anche dalla modifica, a procedimento già iniziato, della regola posta a base dell’addebito, a mezzo dell’art. 4, comma 4, del regolamento emanato dalla stessa Autorità ed entrato in vigore dal 9 ottobre 2001.

4) Violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 4, della legge 30 aprile 1998, n. 122, nonché dell’art. 11.4 della direttiva 97/36/Cee e dell’art. 144 della legge n. 327/91; violazione e falsa applicazione dei principi generali vigenti in materia di interpretazione autentica e di gerarchia delle fonti di produzione normativa.

E’ illegittimo il regolamento n. 538/01/CSP adottato dall’Autorità in materia di pubblicità radiotelevisiva e televendite, che, lungi dal confermare il precetto contenuto nell’art. 3, comma 4, della legge n. 122/1998, introduce all’art. 4, comma 4, un diverso concetto di interruzione pubblicitaria, modificando la fonte sovraordinata.

5) Violazione dell’art. 3, comma 2, della legge 30 aprile 1998, n. 122 e dell’art. 4, comma 3, del Regolamento adottato con delibera dell’Autorità 26 luglio 2001, n. 538; violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 4, della legge cit. e dell’art. 4, comma 4, del Regolamento cit.; violazione dell’art. 31, comma 3, legge n. 223/1990; difetto di istruttoria.

La sanzione risulta irrogata in relazione a programmi diversi da quelli menzionati nella delibera di contestazione, di modo che gli addebiti, formulati per la prima volta nell’ordinanza ingiunzione, non hanno costituito oggetto di esame e giustificazioni.

6) Violazione e falsa applicazione, sotto diverso profilo, dell’art. 3, comma 4, della legge 30 aprile 1998, n. 122, come pure dell’art. 4, comma 4, Regolamento adottato con delibera dell’Autorità 26 luglio 2001, n. 538.

L’Autorità non ha tenuto conto, nell’applicare le disposizioni richiamate nella delibera impugnata, dei diversi generi cui vanno ascritti i programmi, il primo, "Controcampo", strutturato in un insieme di parti autonome, ed il secondo, "Distretto di polizia" ascrivibile al genere fiction. Inoltre, nemmeno è stato considerato che il precetto contenuto nell’art. 3, comma 4, legge n. 122/1998, ha natura elastica, da osservare "in genere", ossia di norma, che non consente, dunque, di configurare una violazione nel caso di sporadica inosservanza, come avvenuto nel caso di specie.

7) Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 689/1981.

L’Autorità, nell’applicare la misura sanzionatoria in contestazione, ha completamente obliterato di valutare il profilo dell’elemento psicologico, come valorizzato dalla Corte Costituzionale (sentenza 24 marzo 1988, n. 364) che ha ritenuto esimente l’ignoranza della legge inevitabile.

Conclude la parte ricorrente chiedendo l’annullamento del provvedimento con cui è stata irrogata la sanzione pecuniaria, oltre che dell’art. 4, comma 4, del regolamento adottato dall’Autorità.

Si è costituita in giudizio l’Avvocatura Generale dello Stato in difesa dell’intimata Autorità che, con articolata memoria, ha eccepito l’infondatezza dei motivi di doglianza introdotti, ed ha chiesto, pertanto, il rigetto del ricorso.

Hanno spiegato atto di intervento ad opponendum il Gruppo Editoriale l’Espresso e la società A.M. & C. S.p.a. che, nel premettere che la prima delle intervenienti svolge attività in campo editoriale attraverso quotidiani a tiratura nazionale e locale, nonché attraverso settimanali, periodici, portali e siti web, canali televisivi e satellitari, mentre la seconda, concessionaria in esclusiva, effettua la raccolta pubblicitaria i cui proventi concorrono a costituire una parte cospicua delle entrate del gruppo, si richiamano ai principi giurisprudenziali espressi dalla Corte Costituzionale e dalla Corte di giustizia della Comunità Europea in materia di disposizioni che limitano la diffusione dei messaggi pubblicitari in televisione attesa la funzione di approntamento di una equilibrata distribuzione delle risorse tra gli operatori presenti nel mercato e lamentano, pertanto, come i comportamenti di emittenti televisive in violazione dei limiti massimi imposti per i messaggi pubblicitari esplichino una incidenza negativa anche nei propri confronti, chiedendo, in conclusione il rigetto del ricorso.

Alla pubblica udienza del 10 dicembre 2009 la causa è passata in decisione.

Motivi della decisione

Con il ricorso in esame la società R.- R.T.I. S.p.a. reclama l’annullamento della delibera con cui l’Agcom ha applicato la sanzione amministrativa prevista dal terzo comma dell’art. 31, legge n. 223/1990, quantificata nella somma di 5.165,00 euro.

Con le prime due censure, che possono essere trattate congiuntamente in quanto entrambe volte ad evidenziare vizi del procedimento sanzionatorio, la parte ricorrente deduce l’illegittimità della sanzione irrogata in difetto di idonea e tempestiva contestazione di addebito oltre che sul presupposto di una diffida da ritenersi improduttiva di qualsiasi effetto formale e sostanziale, attesa la sua remota collocazione temporale, e quale preteso atto conclusivo di una sequenza procedimentale durata più di due anni svolta senza l’osservanza delle garanzie di legge, prima fra tutte, la facoltà di avvalersi del beneficio del pagamento dell’ammenda in misura ridotta; in ogni caso, la società ricorrente ritiene che l’Autorità sia decaduta dal potere sanzionatorio, non essendo stata effettuata nel termine di novanta giorni di cui all’art. 14, legge n. 689/1981, l’ulteriore notifica dell’atto di contestazione.

Il Collegio non può condividere la prospettazione di parte ricorrente.

Sotto un primo aspetto occorre evidenziare che l’art. 14 della legge n. 689/1981, prescrive che la contestazione della violazione, ove non sia stato possibile effettuarla immediatamente, deve essere notificata agli interessati residenti nel territorio della Repubblica entro il termine di novanta giorni e a quelli residenti all’estero entro il termine di trecentosessanta giorni dall’accertamento.

Secondo un indirizzo giurisprudenziale, da cui il Collegio non ha motivo di discostarsi con riferimento al caso che ne occupa, l’arco di tempo entro il quale l’Amministrazione procedente deve provvedere alla notifica della contestazione ai sensi dell’art. 14, legge n. 689 del 1981 è collegato non alla data di commissione della violazione ma al tempo di accertamento dell’infrazione, dovendosi intendere per data di accertamento, in una prospettiva teleologicamente orientata, non già la notizia del fatto ipoteticamente sanzionabile nella sua materialità ma l’acquisizione della piena conoscenza della condotta illecita; conoscenza, a sua volta, implicante il riscontro, anche ai fini di una corretta formulazione della contestazione, dell’esistenza e della consistenza dell’infrazione e dei suoi effetti. Ne discende la non computabilità del tempo ragionevolmente occorso, in relazione alla complessità delle singole fattispecie, ai fini dell’acquisizione e della delibazione degli elementi necessari allo scopo di una matura e legittima formulazione della contestazione (cfr. Cons. di Stato, Sez. VI, n. 341 del 30 gennaio 2007; n. 420 dell’8 febbraio 2008).

Pertanto la legittimità della durata dell’accertamento, che rende mobile il dies a quo per la contestazione, va valutata in relazione al caso concreto, e sulla base della complessità delle "indagini" tese a riscontrare la sussistenza della infrazione, e ad acquisire piena conoscenza della condotta illecita, sì da valutarne l’esatta consistenza agli effetti della formulazione della contestazione (in termini, tra le tante, Cass., Sez. I, 4/2/2005, n. 2363; Cass., Sez. lav., 8/8/2005, n. 16642; Cass., Sez. I, 18/2/2005, n. 3388; Cass., Sez. lav., 3/7/2004, n. 12216).

In coerenza con tale impostazione si pone, del resto, l’art. 4 della delibera n. 425/01/CONS, recante il regolamento in materia di procedure sanzionatorie, che prevede la notifica dell’atto di contestazione nel termine di novanta giorni dall’accertamento formale dei fatti; dunque, la distinzione tra accertamento ed accertamento formale, come enucleato dalla giurisprudenza, trova pieno riscontro nella struttura del procedimento sanzionatorio delineata dalla stessa Autorità, laddove è ben distinta la fase di recepimento delle segnalazioni da quella di accertamento vero e proprio dell’attendibilità dei fatti segnalati, necessaria per procedere alla contestazione nel solo caso in cui non si possa addivenire alla semplice archiviazione.

Nel caso di specie, le premesse dell’atto di contestazione danno atto del compimento degli accertamenti istruttori avviati nell’ottobre 1999 per verificare il presunto inserimento di interruzioni pubblicitarie, nell’ambito del medesimo programma, senza che fossero trascorsi almeno venti minuti dalla precedente interruzione, in relazione a molteplici episodi, (diciotto) sfociati poi nella contestazione formale della violazione dell’art. 3, comma 4, legge 30 aprile 1998, n. 122, notificata il 3 marzo 2000.

La complessità degli accertamenti rilevanti nel caso de quo depongono, pertanto, per la tempestività dell’atto di contestazione.

Fatta questa doverosa precisazione, deve essere ancora considerato che nel caso in esame rileva la peculiarità del procedimento sanzionatorio, come descritto dall’art. 31, legge n. 223/90 (recante la disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato), tra l’altro, per le violazioni delle disposizioni di cui all’art. 8 della medesima legge.

Ed invero, l’art. 31 prevede una sequenza procedimentale distinta in tre fasi: contestazione, diffida e ordinanzaingiunzione.

Per tale procedura, come riconosciuto dalla Corte di Cassazione (con la sentenza n. 12848/98), fino all’emanazione del provvedimento di diffida, da parte del Garante, la legge non prevede la sanzionabilità dell’illecito accertato e contestato, essendo la sanzione pecuniaria amministrativa riservata, dall’art. 31, comma 3, primo periodo, soltanto alla condotta del soggetto diffidato, consistente nella persistenza nel comportamento illegittimo oltre il termine di quindici giorni assegnatogli per cessarlo.

Pertanto, stante la natura derogatoria dello speciale procedimento ad iniziativa dell’Autorità garante, all’illecito amministrativo consistente nella violazione dell’art. 8, comma secondo, della legge n. 223 del 1990, non è applicabile il procedimento sanzionatorio secondo la scansione, anche temporale, prefigurata dalla legge n. 689 del 1981, in quanto, perché il procedimento si concluda con l’irrogazione della sanzione, è necessario che il comportamento illecito si protragga nel tempo, nonostante la contestazione prima, e la diffida, poi, a cessare tale comportamento.

Essendo, dunque, l’ordinanza ingiunzione subordinata all’accertamento della persistenza del comportamento illecito già diffidato non può ritenersi che sia necessaria una nuova contestazione da parte dell’Autorità, in ragione della natura dell’atto di diffida, che nell’individuare il comportamento non corretto, già delinea, con chiarezza, quale è la regola di condotta da osservarsi nel tempo.

Su tale questione si è, anche più recentemente, pronunciata la Corte di Cassazione, che ha osservato come, in tema di disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato, la speciale procedura sanzionatoria di cui all’art. 31 della legge 6 agosto 1990, n. 223 per gli illeciti amministrativi indicati nel primo comma della stessa disposizione, la procedura caratterizzata dalla subordinazione della punibilità dell’illecito alla condizione della sua protrazione in violazione della diffida del garante successiva alla contestazione dell’infrazione, ha portata derogatoria della disciplina generale dell’illecito amministrativo, con particolare riguardo all’obbligo di contestazione previsto dall’art. 14 della legge n. 689 del 1981, con la conseguenza che, dopo la prima contestazione (prevista dalla citata legge n. 223 del 1990) e prima dell’irrogazione della sanzione, non è necessaria una nuova contestazione in relazione al protrarsi dell’illecito in violazione della diffida del garante (cfr. Corte Cass., SS.UU., sent. n. 2625 del 22 febbraio 2002).

D’altro canto, ove si ritenesse necessaria un’ulteriore contestazione dell’addebito, la diffida non avrebbe un senso né dal punto di vista logico né giuridico; ed infatti, nella misura in cui la diffida viene ricondotta nella categoria degli ordini di non facere (o divieti), impone un obbligo, rispetto al quale la sanzione si configura come un posterius, nel senso che viene irrogata al cospetto di un comportamento che non si conforma all’obbligo.

Le stesse considerazioni inducono il Collegio a ritenere inconferente il richiamo all’istituto previsto dall’art. 16, legge n. 689/1981.

In merito, deve essere osservato preliminarmente che l’art. 4, comma 1 del richiamato Regolamento n. 425/01/CONS prevede che l’atto di contestazione della violazione debba, tra l’altro, prevedere la possibilità di effettuare il pagamento in misura ridotta ai sensi dell’art. 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689, ove applicabile; la disposizione regolamentare, pertanto, non sancisce l’ammissione in via automatica al beneficio dell’oblazione, come auspica parte ricorrente, bensì la menzione della ammissibilità al beneficio in parola, laddove questo si renda applicabile.

Nel caso in esame, attinente alla procedura sanzionatoria di cui all’art. 31 della legge n. 223/90, è da escludere, in ragione della specialità della procedura medesima, l’ammissibilità dell’autore della violazione al beneficio del pagamento in misura ridotta, di cui all’art. 16 della legge n. 689/1981.

Attesa, per quanto sopra osservato, la natura "derogatoria" – rispetto a quelle contenute nella legge n. 689 del 1981 – delle disposizioni regolatrici del suindicato procedimento, non è applicabile, ai fini che qui interessano, l’istituto del pagamento in misura ridotta, che, pure integrando un diritto soggettivo dell’autore della violazione, si pone come vero e proprio "beneficio" per l’autore medesimo nel procedimento sanzionatorio delineato dalla legge n. 689/81; nel diverso procedimento prefigurato dall’art. 31, commi 1 e 2, della legge n. 223/90, invece, il "beneficio" per quest’ultimo è costituito dalla non sanzionabilità dell’illecito fino all’accertamento della "persistenza" nel comportamento illegittimo, sicché: "risulterebbe irragionevolmente vantaggioso per l’autore medesimo l’ulteriore beneficio del pagamento in misura ridotta" (cfr. Corte di Cassazione, Sez. I, sent. n. 12848/98).

Per le considerazioni svolte, pertanto, deve concludersi che legittimamente l’Amministrazione intimata non ha applicato, nel caso di specie, il beneficio del pagamento in misura ridotta.

Con il terzo motivo è dedotta l’illegittimità della sanzione applicata sulla base di una nuova norma introdotta dall’Agcom con il Regolamento adottato in materia di pubblicità, entrato in vigore il 9 ottobre 2001.

Il motivo non può essere condiviso, atteso che tra gli atti della sequenza procedimentale conclusa con l’irrogazione della sanzione pecuniaria esiste un nesso di intima coerenza, non solo formale, ma soprattutto sostanziale, riveniente dalla interpretazione univoca della portata dell’obbligo di cui alla legge n. 122/1998.

Ed invero l’Agcom, nel contestare, con la delibera n. 26/00/CSP, la violazione dell’art. 3, quarto comma, legge n. 122/1998, ha esplicitamente fatto riferimento alla effettuazione di interruzioni pubblicitarie all’interno del medesimo programma "senza che fossero trascorsi almeno venti minuti dalla precedente interruzione"; la diffida, rivolta alla società ricorrente il 22 gennaio 2002, fa, invero, riferimento alla delibera n. 538/2001, frattanto adottata dall’Agcom, ma al solo dichiarato fine di meglio esplicitare il contenuto del comportamento da cessare, trovando il criterio di calcolo della distanza tra uno spot e l’altro, già posto a base della contestazione, conferma anche nell’art. 4, comma 4, del Regolamento in materia di pubblicità televisiva e televendite n. 538/2001.

Da quanto sopra non può, pertanto, inferirsi la lamentata mutatio libelli, in quanto, al di là del richiamo formale contenuto nelle premesse dell’atto impugnato all’art. 4, comma 4, delibera n. 538/01/CSP, il comportamento, dapprima contestato, poi oggetto di diffida a cessare, ed, infine, sanzionato è sempre il medesimo, ossia, avere effettuato interruzioni pubblicitarie in difformità dalle modalità prescritte dalla legge n. 122/1998.

Con il quarto capo di ricorso la parte ricorrente contesta l’illegittimità della portata innovativa dei cui all’art. 4, comma4, della delibera n. 538/01/CSP, rispetto a quanto statuito con la legge n. 122/1998.

Anche tale motivo non ha pregio.

L’art. 3, comma 4, della legge n. 122/1998 testualmente recita: "Quando programmi diversi da quelli di cui al comma 2 sono interrotti dalla pubblicità o da spot di televendita, in genere devono trascorrere almeno venti minuti tra ogni successiva interruzione all’interno del programma", e, dunque, prevede uno spazio minimo di venti minuti tra uno spazio pubblicitario e l’altro; la norma regolamentare censurata, coerentemente, dispone: "Tra la fine di un’interruzione pubblicitaria e l’inizio di quella successiva devono di norma trascorrere almeno venti minuti".

Peraltro, la ricorrente non dubita che la normativa nazionale attui correttamente l’art. 11 della direttiva del Consiglio C.E.E., 3 ottobre 1989, n. 552, come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 30 giugno 1997, n. 36, ma ritiene che il concetto di interruzione utilizzato con il Regolamento diverga da quello riprodotto nella legge, evidenziando che quest’ultimo afferisce alla interruzione causata dalla pubblicità, mentre il primo si riferisce a tutto il periodo di durata della pubblicità.

La Corte di Giustizia (con la sentenza 28 ottobre 1999, causa C6/98) si è pronunciata circa l’interpretazione del principio recato con l’art. 11, della sopra richiamata direttiva n. 552, nel senso che lo stesso, formulato in modo ambiguo, deve intendersi che prevede il c.d. principio del lordo, di modo che, per calcolare il periodo di tempo ai fini di determinare il numero di interruzioni pubblicitarie autorizzato nella trasmissione di opere audiovisive, quali lungometraggi e film prodotti per la televisione, la durata della pubblicità deve essere compresa in tale periodo; peraltro, ha pure affermato che il combinato disposto degli artt. 11, n. 3, e 3, n. 1, della direttiva n. 89/552, come modificata, autorizza gli Stati membri a prevedere, per le emittenti televisive che rientrano nella loro competenza, il principio del netto per la pubblicità che può essere inserita nel corso delle trasmissioni, quindi a prevedere che, per calcolare questo periodo, la durata della pubblicità debba essere esclusa, a condizione tuttavia che queste norme siano compatibili con altre disposizioni pertinenti del diritto comunitario. Ed invero, ha osservato il giudice comunitario, la normativa nazionale che impone di applicare il principio del netto non può ritenersi in contrasto con i principi di matrice comunitaria, in quanto, ancorché ciò comporti una restrizione alla libera prestazione dei servizi, tuttavia, motivi imperativi d’interesse generale, quali la tutela dei consumatori contro gli eccessi della pubblicità commerciale o, in un fine di politica culturale, il mantenimento di una certa qualità dei programmi possono giustificare restrizioni alla libera prestazione dei servizi (cfr, in particolare, sentenza 25 luglio 1991, causa C 288/89, Collectieve Antennevoorziening Gouda e a., Racc. pag. I 4007, punto 27).

Acclarato, pertanto, che in linea di principio, è ammissibile, per le ragioni efficacemente indicate dalla Corte di giustizia, una normativa nazionale più restrittiva perché limitativa del numero complessivo di interruzioni pubblicitarie consentite nell’ambito di un programma televisivo, l’indagine di legittimità va, dunque, circoscritta alla verifica della lamentata difformità tra quanto stabilito dall’Autorità rispetto a quanto statuito dal legislatore italiano.

Il regolamento prevede, indiscutibilmente, che il calcolo dei venti minuti che devono trascorrere tra due successive interruzioni deve essere riferito tra la fine dell’ultimo messaggio e l’inizio di quello successivo, (al netto, dunque, della durata della pubblicità) ma, secondo il Collegio, ribadisce il principio enucleabile dall’art. 3, comma 4, della legge n. 122/1998, ancorché con la precisazione relativa alla modalità del computo dell’intervallo di tempo occorrente per la legittima trasmissione di un nuovo spot pubblicitario.

Tale modalità attuativa è conforme, del resto, ai principi di matrice comunitaria, in primis, oltre che di rango costituzionale, in quanto coniuga in modo efficace l’interesse del telespettatore alla fruizione di un programma non eccessivamente frazionato da elementi allo stesso estranei, quali i messaggi pubblicitari, oltre che quello della tutela dei prodotti televisivi, il cui contenuto non viene sminuito da una eccessiva frammentazione della messa in onda, con quello della libera prestazione dei servizi.

Con il quinto motivo lamenta la ricorrente che illegittimamente l’Autorità ha rinvenuto i presupposti per applicare la sanzione, avendo fatto riferimento, per affermare il perdurare del comportamento vietato a programmi diversi rispetto a quelli oggetto dell’atto di contestazione.

Il Collegio ritiene che anche questa censura non è meritevole di positiva valutazione.

Come sopra osservato, il sistema delineato dall’art. 31, della legge 6 agosto 1990, n. 223, si caratterizza con la previsione di un subprocedimento di diffida, a sanzione differita, tra la fase di contestazione e quella di applicazione della sanzione, per cui, ai fini della applicazione della sanzione è necessario l’accertamento del protrarsi nel tempo della violazione contestata.

A tali fini, peraltro, non può ritenersi che costituisca un fattore ostativo la diversità dell’oggetto della sanzione pecuniaria, in quanto ciò che rileva è la protrazione della condotta violativa del medesimo precetto legale oltre il termine indicato nell’atto di diffida.

Nel caso di specie, al di là della tipologia di trasmissione in cui è stata rilevata la violazione, la condotta osservata dall’emittente è univocamente diretta alla trasgressione della prescrizione di cui all’art. 3, comma 4, della legge n. 122/1998, in materia di interruzioni pubblicitarie.

Né può ritenersi, come sostiene la parte ricorrente, che la protrazione del comportamento sanzionato non possa essere riferito anche alla trasmissione "Controcampo" cui non sembra potersi applicare la deroga di cui al comma 2, del richiamato art. 31, non presentando alcuna delle caratteristiche dei programmi composti di parti autonome avuto riguardo alla struttura dello stesso, alla identificabilità delle stesse sezioni da parte del telespettatore ed alla adozione da parte dell’operatore di mezzi atti a preavvertire che sussiste discontinuità del programma.

Con il sesto mezzo è dedotta, sotto altro profilo, l’omessa considerazione dell’elasticità del criterio individuato dalla normativa per il computo del tempo che deve trascorrere per ogni inserzione pubblicitaria, tenuto anche conto del numero limitato di volte in cui non è stato osservato il termine di venti minuti.

Il motivo non ha pregio, solo che si consideri che il singolo episodio richiamato dalla parte ricorrente, che di per sé non sarebbe sufficiente a giustificare l’adozione del provvedimento afflittivo, non è che l’ennesimo di una ben più ampia gamma di violazioni, come evidenziate nell’atto di contestazione e nella successiva diffida a cessare dai comportamenti contestati, il che esclude, in radice, che l’entità delle violazioni abbia natura meramente sporadica, essendosi, invece, puntualmente riprodotte nel tempo, pure in costanza di specifiche avvertenze in merito alla illegittimità della diffusa prassi radicatasi all’interno della programmazione dell’emittente circa le interruzioni pubblicitarie.

Infine, con il settimo ed ultimo motivo, lamenta la ricorrente l’omessa valorizzazione dell’elemento psicologico, in relazione alla incertezza della normativa di riferimento in tema di tempi delle interruzioni pubblicitarie.

E’ indiscutibile che la parte ricorrente riveste la figura di operatore professionale nel settore radiotelevisivo, per cui non può ragionevolmente ritenersi esonerata, in generale, dall’obbligo di informazione circa la normativa che regola il settore medesimo.

Peraltro, nemmeno può ritenersi che la stessa non fosse edotta circa la reale portata delle disposizioni in materia di interruzioni pubblicitarie, come del resto la medesima ha dato atto in sede di presentazione delle giustificazioni a seguito dell’atto di contestazione.

Non è, dunque, condivisibile, quanto sostiene la parte ricorrente, non ricorrendo nel caso che ne occupa gli estremi di una ignoranza della legge "inevitabile", che sola avrebbe potuto costituire una esimente rilevante ai fini della non applicazione della sanzione, pure in presenza degli altri presupposti di fatto e giuridici.

In conclusione, le censure complessivamente considerate si manifestano infondate ed il ricorso deve essere respinto.

La complessità della vicenda induce, peraltro, il Collegio a disporre l’integrale compensazione delle spese del giudizio tra le parti costituite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – Sezione Terza Ter – definitivamente pronunciando, respinge il ricorso in epigrafe.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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