Cass. civ. Sez. III, Sent., 02-03-2012, n. 3243 Pagamento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Il Tribunale di Roma, con sentenza del 19 novembre 2003, aveva accolto le domande proposte da S.U. e C. A. e, in esecuzione del contratto di prenotazione stipulato con la scrittura privata intercorsa tra gli attori e la SCERL Casa Nostra 81, aveva trasferito da tale società cooperativa edilizia ai coniugi S. – C. la proprietà dell’appartamento sito in (OMISSIS), posto su tre piani, distinto con il numero (OMISSIS), sito nel complesso immobiliare (OMISSIS), al prezzo di lire 122.387.900 già interamente versato, con la quota parte pro indiviso di tutte le pertinenze e delle parti comuni; aveva ordinato al Conservatore dei PPRRII la trascrizione della sentenza;

aveva condannato la cooperativa Casa Nostra 81 al pagamento, in favore degli attori, della somma di Euro 110.240,83, oltre gli interessi e alla refusione delle spese del giudizio. Proponeva appello la società, che censurava la sentenza di primo grado perchè il Tribunale non aveva preso in considerazione, in quanto reputata tardiva, la documentazione da lei prodotta, quale la consulenza di parte; contestava la C.T.U. anche perchè il consulente non aveva dato avviso a quello di parte degli ulteriori rinvii delle operazioni peritali; contestava nel merito l’elaborato, sia in ordine ai conteggi relativi ai pagamenti, che ai difetti dell’opera, che alle migliorie e concludeva per l’accoglimento dell’appello e quindi per il rigetto delle domande proposte da S. e C., previo rinnovo della C.T.U.. I coniugi S. resistevano all’appello chiedendone il rigetto e proponevano appello incidentale sui capi della sentenza che avevano rigettato la domanda di condanna della Cooperativa al frazionamento del mutuo e alla cancellazione di qualsiasi ipoteca sul bene trasferito agli attori.

2. Con la sentenza oggetto del presente ricorso, depositata in data 16 luglio 2009 e notificata il 13.11.2009 (come da copia autentica della stessa, depositata con relativa relazione di notificazione dalla società ricorrente), la Corte di Appello di Roma respingeva l’appello della cooperativa e, in ordine a quello incidentale, rimetteva gli atti al giudice di primo grado per la necessaria integrazione del contraddittorio. Quanto al rigetto dell’appello della società, osservava che la sentenza del Tribunale andava confermata, essendo immune dalle censure dell’appellante. Questa aveva censurato la decisione sulla base della consulenza di parte prodotta in appello, sebbene le risultanze della C.T.U. espletata in primo grado avessero già formato oggetto di esame in contraddittorio delle parti. Del resto, non sussistevano le lamentate violazioni, in quanto la documentazione dell’appellante era stata prodotta in primo grado tardivamente, essendosi la stessa costituita dopo che era spirato il termine di cui all’art. 184 c.p.c.. Inoltre, non era onere del C.T.U. notificare i rinvii delle operazioni successivi alla data fissata per l’inizio delle operazioni peritali. Era preclusa all’appellante la produzione di documenti nuovi in secondo grado, stante il più recente orientamento della S.C. in ordine all’interpretazione dell’art. 345 c.p.c.. Nel merito, secondo la Corte territoriale, la CTU espletata in primo grado risultava esauriente e ben motivata, onde la Corte non riteneva necessario l’espletamento di un’ulteriore consulenza, anche perchè le doglianze dell’appellante si sostanziavano nella contestazione delle risultanze della perizia, a cui l’appellante non poteva opporre valida documentazione ritualmente prodotta in giudizio. Del resto l’affermazione della Società secondo cui i predetti coniugi non solo non erano creditori nei confronti della Cooperativa ma, anzi, erano rimasti inadempienti e il loro inadempimento era tale da giustificare la delibera di esclusione dalla compagine sociale, con la conseguente impossibilità per gli stessi di divenire proprietari dell’unità abitativa oggetto della prenotazione, risultava in evidente contrasto con l’accertamento delle somme versate dai coniugi stessi e di cui alla condanna della Cooperativa alla restituzione. Dette affermazioni restavano pertanto generiche critiche alla sentenza di primo grado e, comunque, a fronte delle somma già pagate dai coniugi S., pari a Lire 360.014.648 e dell’importo stimato dal CTU versato in esubero rispetto al prezzo dell’appartamento in Lire 122.387.900, non poteva certo condividersi l’assunto della società, in quanto non si ravvisava il grave inadempimento dei coniugi predetti, tale da giustificare la loro esclusione dalla società, in quanto gli stessi erano risultati abbondantemente creditori nei confronti della società medesima, per non menzionare gli importi calcolati dal CTU per i lavori non eseguiti o male eseguiti, valutati in Lire 21.466.470. Ne derivava la conferma della sentenza di primo grado sul punto. La domanda di cancellazione dell’ipoteca era stata correttamente ritenuta tardiva perchè formulata solo in sede di precisazione delle conclusioni; mentre quella di frazionamento del mutuo avrebbe dovuto essere necessariamente proposta anche nei confronti dell’istituto di credito mutuante e degli altri mutuatali.

3. La società ha proposto ricorso per cassazione sulla base dei seguenti motivi.

3.1. Violazione degli artt. 2533 e 2932 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. La sentenza impugnata ha rigettato l’appello della Cooperativa in ordine alla questione della dedotta nullità della CTU con grave errore di diritto. Il Giudice Istruttore nel giudizio di primo grado innanzi al Tribunale di Roma aveva disposto la riunione del giudizio di cui al presente gravame ad altri due, tra le stesse parti, aventi per oggetto impugnativa dell’esclusione operata dalla Cooperativa nei confronti del S. portante il numero di R.G. 42516/98 e il giudizio promosso sempre dal S. tendente ad ottenere il risarcimento dei danni per pretesi vizi all’immobile, portante il n. di R. G. 22054 198. Con successiva ordinanza in corso di causa, dopo lo spirare del termine di cui all’art. 184 c.p.c., il giudice istruttore aveva disposto la separazione dei tre giudizi che si sono così conclusi: il primo con sentenza 20104/2001 con la quale si annullava la delibera di esclusione ed il secondo con sentenza 20105/2001 con la quale veniva rigettata la domanda del S.; entrambe le sentenze non sono state impugnate e sono passate in giudicato. Successivamente alla riunione dei giudizi la difesa dell’odierna ricorrente aveva prodotto documentazione attestante il costo effettivo dell’alloggio con n. 39 documenti allegati ampiamente nel termine di cui all’art. 184 c.p.c..

Al momento della separazione dei giudizi la difesa della convenuta si costituiva formalmente nel presente giudizio con la comparsa e documenti depositati il 14.11.2000, depositando nuovamente la suddetta scheda costo alloggio. Il Giudice Istruttore, su indicazione del C.T.U. e del procuratore di controparte, riteneva tardiva tale produzione documentale, e tale tardività veniva ribadita nella sentenza nella quale si legge: "la costituzione (della Cooperativa) è avvenuta dopo il decorso dei termini, fissati nell’ordinanza del Giudice Istruttore del 3.11.99 e precludono quindi ogni esame di documenti tardivamente prodotti". Orbene da una semplice lettura del combinato disposto degli artt. 166 e 167 c.p.c. emergerebbe, secondo parte ricorrente, che chi si costituisce tardivamente non possa più effettuare domande riconvenzionali, chiamate in causa e le altre attività processuali indicate nell’art. 167 c.p.c., ma, non dispone che non possa produrre documentazione; pertanto il Giudice, su erronea ed illegittima indicazione del C.T.U., avrebbe commesso un errore che ha viziato l’istruttoria, rendendola nulla per evidente lesione del diritto di difesa. In ogni caso, poichè la documentazione prodotta anche in grado di appello, non è solo rilevante ai fini del decidere, ma costituisce l’unica possibilità di provare inconfutabilmente la bontà dell’assunto dell’appellante risultando fondamentale ai fini di una corretta decisione, soccorre il disposto dell’art. 345 c.p.c., comma 3, che dichiara l’ammissibilità di nuovi mezzi di prova che il Collegio ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa. L’ammissibilità del deposito dei documenti da parte della Cooperativa ha, inoltre, il conforto giurisprudenziale della S.C. che afferma: "il potere-dovere del Giudice di Appello di esaminare i documenti prodotti ex art. 345 c.p.c., comma 2 (vecchio testo) sussiste solo se la parte ne faccia specifica richiesta, esponendo gli scopi dell’esibizione in rapporto alle specifiche ragioni da essa poste a fondamento dell’impugnazione" (Cass. Civ. sez. 1^, 29.5.2003, n. 8599 – conformi le pronunce 27.11.97 n. 11961 e 1.12.97, n. 12130). La Corte di Appello, in spregio dell’orientamento giurisprudenziale della S.C. ha ritenuto di non tener in alcun conto la documentazione prodotta dalla Cooperativa, che, invece, era stata offerta come indispensabile ai fini della giusta decisione, con errore di motivazione, per l’art. 360 c.p.c., n. 5. La Corte, poi, avrebbe compiuto un altro macroscopico errore di diritto. Difatti la CTU espletata in primo grado è assolutamente nulla. Come si evince dai verbali di operazioni del CTU e dalla relazione del CTP di parte convenuta, arch. L.M. (pag. 3 e 4 relazione con repliche difensive alla ct.u.), il C.T.U. non ha notiziato il CTP di parte convenuta Arch. L. degli esperimenti del 4.7.2001, 17.7.2001, 23.7.2001, 1.8.2001. La mancanza di tali comunicazioni renderebbe nulla la CTU così come sancito dalla Suprema Corte (Cass. Civ. sez. 2^, 21.5.1997, n. 4511, conformi Cass. Civ, sez. 1^, 18.4.1997, n. 3340, Cass. Civ., sez. 2^, 20.12.1994, n. 10971). Ma sussisterebbe un ulteriore motivo di nullità della relazione tecnica del CTU P..

Il quesito posto al CTU dal Giudice Istruttore recita testualmente:

"Il CTU, presa visione degli atti di causa ed effettuata ogni necessaria indagine, riferisca sulla situazione giuridico urbanistica dell’immobile per cui è controversia e determini l’esatto ammontare delle somme corrisposte dagli attori nonchè di quelle in ipotesi dovute ancora alla controparte o versate in eccedenza". Come si evince dal primo verbale delle operazioni peritali, il CTU P., senza che il sig. G.I. avesse disposto in tal senso, ha restituito al CTP della Cooperativa il fascicolo di parte relativo al giudizio con i documenti allegati, rifiutando l’esame dei documenti e rifiutando di effettuare indagini e/o esaminare la documentazione presente presso la sede della Cooperativa. Il c.t.u., come risulta dai successivi verbali degli esperimenti peritali (pag. 3/38 CTU) sostituendosi al Giudice Istruttore, che non si era pronunciato sul punto, ha rifiutato di prendere in esame l’intero fascicolo di parte convenuta ritenendo tardiva la costituzione, restituendo materialmente il fascicolo al difensore ed al C.T.P. della Cooperativa. Prova inconfutabile di ciò è costituita dal "ridepositò del fascicolo in Cancelleria in data 11.5.2001, da parte del procuratore della cooperativa quando le operazioni peritali erano ancora in pieno svolgimento. Così facendo, il CTU, non ha effettuato "ogni necessaria indagine", non ha risposto al quesito posto dal Magistrato, al quale non ha dato una risposta attendibile relativamente al punto: "determini l’esatto ammontare delle somme corrisposte dagli attori nonchè di quelle in ipotesi dovute ancora alla controparte o versate in eccedenza". In forza di tali vizi e delle inesattezze del CTU, appresso specificate, la Cooperativa aveva richiesto alla Corte di Appello la rinnovazione della CTU, con nomina di altro consulente. La Corte di Appello ha esaminato e deciso questo punto in violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, e la sentenza, viziata nella motivazione, può essere cassata, con rinvio.

3.2. Ulteriore violazione degli artt. 2533 e 2932 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. La sentenza impugnata ha rigettato l’appello della Cooperativa sul punto dell’adempimento dei coniugi all’obbligo di pagamento del corrispettivo con grave errore di diritto. Il Tribunale di Roma, recependo la consolidata giurisprudenza e dottrina della Suprema Corte in merito, ha affermato la sussistenza all’interno della cooperativa edilizia (come nel caso di specie) di due distinti rapporti, quello sociale e quello di scambio, ha uniformemente affermato che per quanto riguarda il rapporto di scambio, occorre far riferimento all’atto di prenotazione, avente la medesima causa di un contratto di compravendita, e verificare se le parti abbiano pattuito, o meno, la possibilità di modifica del corrispettivo del bene in ragione delle variazioni del suo costo di costruzione e che tutti i soci della Cooperativa, al punto c) dell’atto di prenotazione, si sono obbligati a sostenere i maggiori costi, cagionati dall’incremento delle spese ed oneri per la costruzione dell’alloggio. Afferma, inoltre, il Tribunale, che il patto è valido, trattandosi non della imposizione al socio di ulteriori conferimenti, ma proprio del pagamento del corrispettivo originariamente convenuto nell’ambito del rapporto di scambio socio-società, in relazione ai costi effettivamente imputabili all’alloggio prenotato dall’attore". Orbene, la difesa dell’odierno ricorrente aveva indicato specificamente ogni voce di spesa, giustificandola con il relativo documento deliberativo, nel prospetto riepilogante il costo complessivo dell’alloggio in Lire 445.916.395, che il CTU, errando, ha disatteso, di qui la richiesta di rinnovo della perizia. Gli odierni resistenti, infine, hanno spiegato appello incidentale chiedendo all’adita Corte di Appello, in riforma della sentenza di primo grado, di ordinare alla Cooperativa "a procedere, a propria cura e spese, al frazionamento del mutuo fondiario ed alla cancellazione del gravame ipotecario iscritto in favore della banca mutuante limitatamente alla porzione immobiliare in causa, nonchè di tutte le iscrizioni e/o trascrizioni pregiudizievoli eventualmente gravanti ed opponibili agli appellanti incidentali". Secondo la cooperativa, la domanda di cancellazione dei gravami era stata proposta, per la prima volta, dagli odierni appellanti in sede di precisazione delle conclusioni nel giudizio di primo grado e, di conseguenza, dichiarata tardiva. La domanda di frazionamento del mutuo è stata correttamente rigettata dal Tribunale; difatti sulla premessa che nelle cooperative edilizie, ineriscono al socio due distinti rapporti, il primo sociale ed il secondo di scambio, in quello di scambio gli appellanti incidentali assumono la posizione di terzi acquirenti di immobile ipotecato a garanzia di mutuo fondiario, e come tali non possono "vantare alcun diritto contrario nè alla suddivisione del mutuo, nè al correlato frazionamento dell’ipoteca, stante la sua estraneità al contratto di finanziamento e, configurandosi, inoltre, ai sensi del D.P.R. n. 7 del 1976, art. 3, detto frazionamento come oggetto di una rinuncia del creditore ipotecario al diritto all’indivisibilità dell’ipoteca e perciò riconducibile ad un atto unilaterale, che non cessa di essere tale anche se consacrato nel contesto degli accordi intercorsi col mutuatario al fine della suddivisione del mutuo. Andava ricordato che la Banca Nazionale del Lavoro aveva concesso alla Cooperativa vari mutui per finanziare l’edificazione dei complessi immobiliari, contratti di mutuo che furono rogati dal Notaio Valerio Pantano, di Roma Inoltre, nonostante la norma di cui al D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 39, comma 6, preveda il diritto del debitore e del terzo acquirente alla suddivisione del finanziamento in quote ed al conseguente frazionamento dell’ipoteca nel caso di edificio o complesso condominiale, l’art. 161, comma 6, medesimo D.Lgs., stabilisce che i contratti già conclusi alla data di entrata in vigore del decreto – 1.1.1994 – continuino ad essere regolati dalle leggi precedenti, che non contemplavano siffatto diritto. Tale rilievo assumeva importanza in quanto, l’impossibilità di frazionare detto mutuo indiviso costituisce un insormontabile ostacolo giuridico al trasferimento della proprietà ex art. 2932, atteso il costante orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte che impedisce la pronuncia costitutiva ex art. 2932 c.c., presumendosi ancora un mancato pagamento integrale del prezzo e, quindi, un inadempimento, che preclude il trasferimento della proprietà. Pertanto, essendo il prezzo di acquisto assolutamente indeterminabile non solo non poteva essere disposto il trasferimento in proprietà dell’immobile, ma stante la normativa ed il consolidato orientamento giurisprudenziale la Corte di Appello non avrebbe potuto accogliere l’appello incidentale.

4. Resistono con controricorso i coniugi S. e chiedono dichiararsi inammissibile e, comunque, rigettarsi il ricorso.

Diversamente da quanto sostenuto nella memoria dal patrono della società ricorrente, non assume rilievo nel presente giudizio di cassazione, improntato al principio dell’oralità, la sopravvenuta perdita di capacità della cooperativa posta in liquidazione coatta amministrativa (Cass. n. 4480 del 1997).

5.1. Il primo motivo si rivela inammissibile nella parte in cui censura la mancata ammissione di documenti, assumendo che sarebbero stati erroneamente ritenuti tardivamente prodotti. Invero, da un lato, tale doglianza – riguardante chiaramente un preteso error in procedendo – è stata impropriamente formulata sotto il profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione ( art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5), mentre avrebbe dovuto essere proposta come motivo di nullità della sentenza e del procedimento (n. 4 della riferita disposizione). In ogni caso, tale parte della doglianza è formulata in violazione del canone di autosufficienza del ricorso per cassazione, non essendo state trascritte nel ricorso i punti dei documenti che sarebbero stati erroneamente pretermessi, non consentendo, quindi, alla Corte di poter valutare la decisività delle circostanze che si volevano con essi avvalorare. Deve, infatti, ribadirsi che la parte che, con il ricorso per cassazione, sostenga che il giudice di merito sia incorso in un errore di diritto od in un vizio logico nella valutazione della volontà negoziale, risultante dai documenti che la riproducono, ha l’onere di indicare, specificamente, il contenuto del documento trascurato dal giudice di merito; ciò al fine di consentire il controllo dei fatti da provare e, quindi, della loro decisività, dato che questo controllo, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, deve poter essere compiuto dalla Corte di Cassazione sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (Cass. n. 2613/2001; nello stesso senso, si vedano, tra le molte, anche Cass. n. 849/2002; 25272003; 15952/2007), così come, qualora venga dedotta l’omessa od insufficiente motivazione della sentenza impugnata per l’asserita mancata valutazione di un documento, è necessario, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività della risultanza non valutata (od insufficientemente valutata), che il ricorrente precisi nel ricorso – mediante indicazione degli elementi nel documento eventualmente contenuti – la risultanza che egli asserisce decisiva e non valutata o insufficientemente valutata, dato che, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, il controllo deve essere consentito alla Corte di cassazione sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative (Cass. n. 3692/2001; v. anche Cass. n. 9554/2001; 15412/2004; 14973/2006, nonchè Cass. ord. 17915/2010).

5.2. Per quanto concerne gli altri profili con lo stesso dedotti, il motivo è infondato. Non risulta, infatti, che si sia verificata una lesione del principio del contraddittorio nello svolgimento delle operazioni peritali, dovendosi ribadire, per quanto concerne gli avvisi al consulente di parte, che, ai sensi dell’art. 194 c.p.c., comma 2, e art. 90 disp. att. c.p.p., comma 1, alle parti va data comunicazione del giorno, ora e luogo di inizio delle operazioni peritali, mentre detto obbligo di comunicazione non riguarda le indagini successive, incombendo alle parti l’onere d’informarsi sul prosieguo di questo al fine di parteciparvi; tuttavia, qualora il consulente di ufficio rinvii le operazioni ad una data determinata, provvedendo a darne comunicazione alle parti e successivamente proceda ad un’ulteriore operazione peritale in data anticipata rispetto a quella fissata e ometta di darne avviso alle parti, l’inosservanza di tale obbligo può dar luogo a nullità della consulenza, sempre che abbia comportato, in relazione alle circostanze del caso concreto, un pregiudizio al diritto di difesa (situazione non puntualmente risultante nel presente ricorso): Cass. n. 986/96; 15/03; 2589/03; 4271/04; 7243/06; 185987/08; 15133/11. La censura è infondata anche nella parte in cui ripropone questioni correttamente e motivatamente disattese dalla Corte territoriale, che ha affermato che la produzione documentale era avvenuta tardivamente in primo grado, essendosi la parte costituita dopo che era spirato il termine di cui all’art. 184 c.p.c.. Ne deriva che non assume rilievo, rispetto all’indicata preclusione, la circostanza che la produzione in parola sia avvenuta dopo i termini stabiliti dagli artt. 166 e 167 c.p.c..

5.3. Quanto alle altre violazioni che la parte genericamente attribuisce al C.T.U., in ordine al mancato esame dei documenti, sussiste un ulteriore profilo d’inammissibilità, posto che la ricorrente non ha specificato quando ed in quali termini tali doglianze siano state prospettate alla Corte territoriale, nè è stata lamentata sul punto l’omessa pronuncia ( art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4).

6. Il secondo motivo è infondato sotto ogni aspetto. La Corte territoriale ha correttamente e motivatamente rilevato che la CTU espletata in primo grado era esauriente e ben motivata, per cui in primo grado non era stato reputato necessario l’espletamento di un’ulteriore consulenza, anche perchè le doglianze dell’appellante si sostanziavano nella contestazione delle risultanze della perizia, a cui l’appellante non poteva opporre – per quanto innanzi osservato in relazione al primo motivo – valida documentazione ritualmente prodotta in giudizio. Inoltre, l’affermazione della Società – secondo cui i coniugi non solo non erano creditori nei confronti della Cooperativa ma, anzi, erano rimasti inadempienti e il loro inadempimento era tale da giustificare la delibera di esclusione dalla compagine sociale, con la conseguente impossibilità per gli stessi di divenire proprietari dell’unità abitativa oggetto della prenotazione – risultava in evidente contrasto con l’accertamento delle somme versate dai coniugi stessi e di cui alla condanna della Cooperativa alla restituzione. Dette affermazioni si rivelavano, pertanto, generiche critiche alla sentenza di primo grado e, comunque, a fronte delle somma già pagate dai coniugi S., pari a Lire 360.014.648 e dell’importo stimato dal CTU versato in esubero rispetto al prezzo dell’appartamento in Lire 122.387.900, non poteva certo condividersi l’assunto della società, in quanto non si ravvisava il grave inadempimento dei coniugi S., tale da giustificare la loro esclusione dalla società, in quanto gli stessi erano risultati abbondantemente creditori nei confronti della società medesima, per non menzionare gli importi calcolati dal CTU per i lavori non eseguiti o male eseguiti, valutati in Lire 21.466.470. Corretta è pertanto la conferma della sentenza di primo grado sul punto. Allo stesso modo, la domanda di cancellazione dell’ipoteca era stata correttamente ritenuta tardiva perchè formulata solo in sede di precisazione delle conclusioni in primo grado; mentre quella di frazionamento del mutuo avrebbe dovuto essere necessariamente proposta anche nei confronti dell’istituto di credito mutuante e degli altri mutuatari, come correttamente disposto dalla Corte territoriale. Senza contare che le prospettate violazioni di legge presuppongono tutte una ricostruzione dei fatti ed una valutazione delle risultanze processuali divergente da quella motivatamente accertata dalla Corte territoriale, con conseguente inammissibilità del motivo formulato sulla base di tali prospettazioni (Cass. n. 16698 e 7394 del 2010; 4178/07; 10316/06;

15499/04).

7. Ne deriva il rigetto del ricorso. Le spese suguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del presente giudizio, in favore della parte costituita, che liquida in Euro 3.200=, di cui Euro 3.000= per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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