Cass. civ. Sez. III, Sent., 02-03-2012, n. 3240 Concorso di colpa del danneggiato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1 C.R.M. e T.I. impugnano per cassazione, sulla base di tre motivi, la sentenza della Corte di Appello di Palermo, depositata il 22 ottobre 2010, che, riformando quella di primo grado ha affermato: a. che il primo giudice nel respingere la liquidazione di danni ulteriori applicando d’ufficio la previsione dell’art. 1227 c.c., comma 2, e ravvisando di sua iniziativa circostanze che concreterebbero comportamenti sanzionati, ha inammissibilmente pronunziato ultra petita; pur non sussistendo in ogni caso una rituale offerta reale ed essendo gli spostamenti dei danneggiati da Terrasini a Palermo avvenuti ben prima dell’accensione dei libretti di deposito; b. l’importo del danno da ripristino dell’appartamento liquidato in primo grado andava aumentato dovendo essere rapportato non alle valutazioni dell’ATP (riferite al prezzario di alcuni anni prima e non consideranti la modesta entità e la peculiarità e delicatezza degli interventi), ma a quelle del CTU L.M. (meglio rispondenti ai detti criteri); c. il primo giudice aveva inopinatamente compreso tra i danni che i creditori/danneggiati avrebbero potuto evitare anche quelli, certamente subiti, non riguardanti il prolungamento della permanenza a Terrasini: rientro brusco dalla villeggiatura, irrimediabile perdita di oggetti personali o di valore affettivo (computer, abiti, foto, lettere), trasferimento a circa 50 Km. da Palermo in un piccolo appartamento, il dover viaggiare per raggiungere la propria città e l’allontanamento da detto centro d’interessi e di affetti, tutti costituenti dirette ed immediate conseguenze dell’allagamento dell’appartamento verificatosi per esclusiva colpa degli appellati ex art. 2051 c.c.. Gli intimati non hanno svolto attività difensiva.

2. I ricorrenti formulano in ricorso i seguenti motivi:

2.1. Violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione agli artt. 112 e 113 c.p.c., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto ultra petita la pronunzia del giudice di primo grado in quanto la difesa dei convenuti, sin dalla comparsa di costituzione e risposta, era chiaramente riferita ad un contegno del creditore non improntato a diligenza, con riguardo a quanto avvenuto nel periodo immediatamente successivo all’evento lesivo, che avrebbe determinato un aggravamento del danno, in particolare producendo i pretesi danni di natura non patrimoniale. Pertanto, il giudice di primo grado si sarebbe limitato a qualificare giuridicamente il fatto storico e potendosi configurare una decisione ultra petita solo ove risulti investita una questione assolutamente non compresa nel thema decidendum.

2.1.1. Il motivo è infondato. L’ipotesi disciplinata dall’art. 1227 c.c., comma 2, che è riferibile ad un contegno dello stesso danneggiato che abbia prodotto il solo aggravamento del danno senza contribuire alla sua causazione, costituisce oggetto di un’eccezione in senso stretto, in quanto il dedotto comportamento del creditore costituisce un autonomo dovere giuridico, posto a suo carico dalla legge quale espressione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede (Cass. n. 12714/2010; 564/2005; 20324/2004; 11672/2003;

4799/2001). Nella specie, costituendo l’esimente prevista dall’art. 1227 c.c., comma 2, un’eccezione in senso sostanziale, l’affermazione della Corte d’Appello, che essa non sia stata fatta valere tempestivamente, non è censurabile con riguardo ai profili dedotti, in quanto basandosi l’asserita tempestività sull’affermazione, contenuta nella comparsa di costituzione e risposta in primo grado dei ricorrenti (secondo cui l’omesso godimento dell’immobile sarebbe dipeso da fatto e colpa delle controparti nel non aver tenuto aperti ed areati i locali), il motivo di ricorso si risolve in realtà nel sollecitare inammissibilmente da questa Corte, un’interpretazione della suddetta comparsa, diversa da quella fatta dalla Corte d’Appello e non specificamente censurata sotto il profilo della violazione delle norme ermeneutiche (argomento desumibile da Cass. n. 27123/2006). Senza contare che i ricorrenti difettano, comunque, di interesse ad impugnare sul punto, dato che non hanno impugnato l’autonoma ed assorbente ratio decidendi, contenuta nella motivazione dell’impugnata sentenza, secondo cui, anche a voler superare l’indicata inammissibilità, la tesi del Tribunale non avrebbe potuto comunque condividersi, non essendo intervenuta una valida offerta reale e non essendo il deposito realmente a disposizione dei creditori danneggiati ed essendo comunque successivo all’epoca in cui questi ultimi si trovarono a stare fuori casa ed a viaggiare da Terrasini a Palermo. Si deve, invero, ribadire che Le affermazioni "ulteriori" contenute nella motivazione della sentenza, consistenti in argomentazioni rafforzative di quella costituente la premessa logica della statuizione contenuta nel dispositivo vanno considerate di regola superflue, qualora la argomentazione principale sia sufficiente a reggere la pronuncia adottata; tuttavia l’affermazione d’infondatezza della domanda (e, in questo caso, dell’eccezione), contenuta nella sentenza che ne abbia pregiudizialmente dichiarato l’inammissibilità, ove formulata nei limiti delle domande ed eccezioni hic et inde proposte, può non integrare una motivazione ad abundantiam improduttiva di effetti giuridici, e, qualora sia inserita dal giudice perchè idonea a sorreggere la decisione nell’ipotesi di erroneità di quella contenuta nel dispositivo, può costituire un’ulteriore autonoma statuizione; con la conseguenza che per la parte soccombente sorge l’interesse e l’onere all’impugnazione al fine di evitare la formazione del giudicato sull’anzidetta statuizione, al pari di quanto avviene nel caso di pronunzia di accoglimento fondata su distinte rationes decidendi (Cass. n. 10134/2004).

2.2. Insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine all’individuazione dei danni effettivamente risarcibili, per avere la Corte territoriale: a. riconosciuto, da un lato, che la riparazione comportasse lavori di modesta entità, dall’altro, assumendone la natura e delicatezza aumenta l’entità del risarcimento; b. omette di considerare che i mobili erano stati ricoverati altrove, sicchè i lavori di ripristino non apportavano rischi a persone e a cose; c. immotivatamente avrebbe disatteso le motivazioni del giudice di primo grado in ordine alla messa a disposizione di somma da parte dei danneggianti per saldare il dovuto.

2.2.1. Anche questa censura si rivela priva di pregio. Come noto, il vizio di insufficiente motivazione, denunciabile con ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, si configura nella ipotesi di carenza di elementi, nello sviluppo logico del provvedimento, idonei a consentire la identificazione del criterio posto a base della decisione, ma non anche quando vi sia difformità tra il significato ed il valore attribuito dal giudice di merito agli elementi delibati, e le attese e deduzioni della parte al riguardo; mentre il vizio di contraddittoria motivazione, che ricorre in caso di insanabile contrasto tra le argomentazioni logico – giuridiche addotte a sostegno della decisione, tale da rendere incomprensibile la ratio decidendi, deve essere intrinseco alla sentenza, e non risultare dalla diversa prospettazione addotta dal ricorrente (Cass. n. 8629/2000; 5913/2001, in motivazione; 2830/2001; 9233/2006;

12052/2007). Nella specie, non rappresentano contraddizione nella motivazione la doglianza di cui alla lettera "a" e nè omissione quella di cui al punto "b" del precedente punto 2.2., non essendovi insanabile contrasto logico tra le affermazioni indicate nella prima, in quanto la modesta entità e l’accuratezza nello svolgimento dei lavori non sono caratteristiche inconciliabili, specie ove indicate, come nell’ipotesi, per giustificare perchè non possa farsi acriticamente riferimento a prezzari riguardanti le opere pubbliche (normalmente rapportati a lavori di tutt’altra entità); mentre, quanto alla seconda, è sufficiente ribadire che spetta al giudice del merito, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (tra le molte, cfr. Cass. 17477/2007); nè, infine, si può considerare "insufficiente" la motivazione in ordine al comportamento dei creditori/danneggiati solo perchè discordante con la valutazione operatane dal giudice di prima istanza, meglio collimante con le attese deduzioni svolte al riguardo dalla parte odierna ricorrente.

2.3. Violazione e falsa applicazione della norma di diritto sostanziale concernenti la risarcibilità del danno non patrimoniale cd. esistenziale ed insufficiente motivazione in ordine alla sussistenza di presunti danni esistenziali, perchè la Corte territoriale avrebbe liquidato detti danni in assenza della lesione di diritti inviolabili della persona, non essendo configurabile un danno esistenziale in ogni caso in cui vi sia un peggioramento della qualità della vita per effetto di un comportamento doloso o colposo posti in essere da altri.

2.3.1. Neanche questa censura coglie nel segno, essendo formulata genericamente e non risultando riferibile alla complessiva ratio decidendi sul punto risultante dalla motivazione della sentenza impugnata. In questa, infatti, la Corte territoriale, dopo aver ritenuto (si veda il precedente punto 2.1.1.) inammissibile ed anche infondata l’eccezione di cui all’art. 1227 c.c., comma 2, ha affermato che il primo giudice aveva inopinatamente incluso nei danni che i creditori/danneggiati avrebbero potuto evitare anche quelli certamente subiti e che non erano collegati con il prolungamento della loro permanenza a Terrasini. Indica, quindi detti danni:

rientro brusco dalla villeggiatura, irrimediabile perdita di oggetti personali o di valore affettivo (computer, abiti, foto, lettere), trasferimento a circa 50 Km. da Palermo in un piccolo appartamento, il dover viaggiare per raggiungere la propria città e l’allontanamento da detto centro d’interessi. Afferma, quindi, il giudice di appello, che tutti questi danni costituiscono "dirette ed immediate conseguenze dell’allagamento dell’appartamento verificatosi per esclusiva colpa degli appellati, la cui responsabilità è stata ritenuta ex art. 2051 c.c.". Aggiunge, quindi, la Corte che "certamente poi tali fatti integrano un danno esistenziale, inteso come ogni pregiudizio che alteri le abitudini e gli assetti relazionali propri del soggetto, inducendolo a scelte di vita diverse da quelle che avrebbe fatto ove non si fosse verificato l’evento dannoso". Rispetto a tale articolata ratio deciderteli, la censura risulta formulata in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione. Invero, quando – come nel terzo motivo ora in esame – è denunziata violazione e falsa applicazione della legge e non risultano indicate anche le argomentazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le medesime o con l’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, il motivo è inammissibile, in quanto non consente alla Corte di cassazione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione. Non è infatti sufficiente un’affermazione apodittica (nella specie, il semplice e generico richiamo alla mancanza dei presupposti per il riconoscimento del danno esistenziale, senza adeguato aggancio al complesso contenuto della decisione sul punto, che ha considerato tutte le conseguenze immediate e dirette, patrimoniali e non, della mancata utilizzabilità dell’appartamento oggetto di allagamento) e non seguita da alcuna indicazione specifica in ordine alla violazione lamentata, dovendo il ricorrente viceversa porre la Corte in grado di orientarsi fra le argomentazioni in base alle quali ritiene di censurare la pronunzia impugnata (Cass. n. 10295/2007, che ha sottolineato la correlata necessità che la denunzia di detto vizio debba avvenire mediante l’indicazione precisa dei punti della sentenza impugnata, che si assumono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse, fornita dalla giurisprudenza di legittimità e/o dalla dottrina prevalente; 828/2007; 12984/2006). Nella specie, invece, si lamenta in tesi l’inosservanza dei canoni giurisprudenziali elaborati da questa Corte in tema di riconoscimento del danno esistenziale, senza indicare in concreto rispetto a quali dei pregiudizi riconosciuti, previa puntuale indicazione, dalla Corte territoriale si sia verificata la dedotta violazione.

4. Ne deriva il rigetto del ricorso. Nulla per le spese del presente giudizio, non avendo gli intimati svolto attività difensiva.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

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