Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 26-09-2011) 06-10-2011, n. 36257

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

S.M., B.K.A.B.M. e I.M. ricorrono avverso la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Firenze in data 28 maggio 2009, con cui ferma restando la loro responsabilità per distinte ipotesi di spaccio di sostanze stupefacenti, è stato ridotto il trattamento sanzionatorio nei confronti dell’ I. e rigettati gli appelli proposti.

Con il primo motivo reiterano la inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni, eseguite avvalendosi di apparecchiature esterne agli uffici di procura, in forza di decreti non adeguatamente motivati. Con il secondo motivo tutti e tre gli imputati rilevano che escluse le conversazioni non vi sono indizi sufficienti per ravvisare la loro responsabilità; in particolare le dichiarazioni di altro spacciatore, certo D.L., della cui attendibilità ha dubitato la stessa corte di merito, non hanno alcun riscontro, non potendosi ritenere tali le annotazioni in possesso del chiamante dei numeri di telefono riferibili gli imputati S. e I.; inoltre il terzo imputato era del tutto sconosciuto al D.L. e quindi ci si trova di fronte ad un assoluto vuoto indiziario.

Con il quarto motivo si reitera per il B.K. la improcedibilità dell’azione penale per essere stata la sua posizione relativamente al fatto commesso il 2.7.2007 archiviata.

In ultimo tutti e tre si dolgono dell’omessa ed incompleta motivazione in ordine alla misura della pena.

Motivi della decisione

I ricorsi sono manifestamente infondati.

Il primo motivo relativo alla inutilizzabilità delle intercettazioni è affetto da assoluta genericità.

Invero, premesso che la corte di appello ha adeguatamente, sia pure con motivazione stringata, dato conto della avvenuta motivazione specifica sulla inidoneità degli impianti interni alla Procura a garantire il servizio intercettativo necessario alle indagini e le ragioni di urgenza dello stesso, individuato nello svolgimento in atto di attività criminale, la impugnazione non ha di contro sviluppato alcuna contraria argomentazione, limitandosi a richiamare la norma di legge e le pronunce emesse in tema dalla giurisprudenza di legittimità.

Si tratta all’evidenza di una censura che non assolve ai requisiti indicati dall’art. 581, lett. c), non potendosi ritenere specifico la semplice ripetizione di principi e precedenti giurisprudenziali, che si adattano indistintamente a tutte le ipotesi in tema di violazione dell’art. 268 c.p.p. e non centrano lo specifico problema asseritamente non adeguatamente affrontato dal provvedimento impugnato.

Parimenti inammissibili sono i motivi in tema di responsabilità (motivi secondo e terzo).

La contestazione del quadro indiziario, definito manchevole, non è accompagnata da una specifica disamina degli errori valutativi in cui sarebbe incorsa la Corte, sia per quanto riguarda le propalazioni dell’imputato di reato connesso D.L.A., sia per quanto riguarda la assenza di riscontri esterni.

Mancano del tutto le specifiche censure sulle singole posizioni degli imputati e la loro accertata condotta.

Si tratta, in sostanza, di una mera denuncia di ingiustizia, senza alcun confronto dialettico con il provvedimento, che ha di contro indicato per ciascuno dei tre quale fosse il compendio probatorio che conduceva alla affermazione di colpevolezza e ha dato adeguata risposta ai motivi di appello, non sottraendosi ai rilievi formulati, ed enunciando una ragionevole e pertinente ai fatti, ricostruzione della vicenda.

Le scarne osservazioni mosse alla sentenza, peraltro meramente ripetitive delle doglianze di appello, sono palesemente affette da inammissibilità, in quanto tendenti ad introdurre elementi di merito, non introducibili in questa sede, quale l’ipotesi di dubbio avanzate sulla genuinità delle propalazioni o la notazione che uno degli imputati – il B.K. – non fosse conosciuto dal collaboratore, del tutto irrilevante, stante che costui per come detto nella pronuncia impugnata non collaborava con il D.L..

Non può trovare accoglimento neanche il motivo con cui il B. K. reitera la eccezione di ne bis in idem, motivatamente esclusa dalla corte di merito sul rilievo che il fatto coperto da giudicato è diverso da quelli per cui è processo, avvenuti in date anteriori e quindi affatto coincidenti, come si evince dalla lettura del capo di imputazione.

Esattamente, dunque è stata esclusa la operatività dell’art. 649 c.p.p. che presuppone, con accertamento riservato al giudice di merito, la sovrapponibilità dei fatti in tutti i loro elementi.

In ultimo, la doglianza in ordine al riconoscimento delle attenuanti generiche non può essere accolta, posto che da un lato implica una valutazione di merito che è preclusa al giudice di legittimità e dall’altro essa non indica in quali errori di valutazione sia incorso il giudice di merito, nè quali sarebbero gli elementi qualificanti la concessione del beneficio che questi abbia non esaminato o svilito.

La corte sul punto ha fornito adeguata motivazione, mettendo in rilievo la negativa personalità criminale dei ricorrenti hanno opposto una generica lagnanza tendente ad introdurre elementi di merito, sottratti al sindacato di questa corte. Infatti, la graduazione della pena, anche rispetto alla concessione delle attenuanti ed all’eventuale giudizio di bilanciamento, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 c.p. (Cass., sez. 6, 5 dicembre 1991, Lazzari);

ne consegue che nel giudizio di cassazione non si può procedere ad una nuova valutazione della congruità della pena, laddove, come nel caso in esame, il giudice di merito abbia con esaustiva motivazione, argomentato sulle ragioni della sua scelta e sui criteri seguiti.

In conclusioni, è da dichiarare la inammissibilità dei ricorsi ed i ricorrenti sono da condannare al i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille ciascuno alla cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille ciascuno alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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