Cass. civ. Sez. III, Sent., 06-03-2012, n. 3456

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di opposizione a decreto ingiuntivo emesso dal tribunale di Paola in favore di S.G. ed a carico del Comune di Aiello Calabro per il pagamento di compenso professionale, lo stesso Comune contestava la ricorrenza delle condizioni per l’emissione del decreto ingiuntivo e, nel merito, la fondatezza della domanda.

Lo S., costituitosi, contestava, invece, i motivi di opposizione chiedendo in subordine, l’accoglimento della domanda proposta ex art. 2041 c.c., in via subordinata.

Il giudice rigettava la richiesta di provvisoria esecuzione del decreto e dichiarava inammissibile la domanda di arricchimento senza causa proposta dall’opposto.

Alla successiva udienza era disposta la riunione al presente procedimento di quello relativo alla domanda di arricchimento ex art. 2041 c.c., proposta in via autonoma dallo S..

Il tribunale, con sentenza del 25.2.2005, accoglieva l’opposizione revocando il decreto ingiuntivo opposto; accoglieva, quindi, la domanda di ingiustificato arricchimento, condannando il Comune all’indennizzo richiesto.

La sentenza era impugnata dal Comune di Aiello Calabro e la Corte di Appello, con sentenza del 31.10.2009, in parziale accoglimento dell’appello condannava il Comune a somma inferiore a quella liquidata nel giudizio di primo grado. Ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi illustrati da memoria, il Comune di Aiello Calabro. Resiste con controricorso lo S..

Motivi della decisione

Preliminarmente va dato atto che al presente ricorso si applicano le norme di cui alla L. 18 giugno 2009, n. 69, per essere il provvedimento impugnato depositato successivamente all’entrata in vigore della indicata normativa (4 luglio 2009).

Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione artt. 2041 e 2042 c.c. – D.L. 2 marzo 1989, n. 66, art. 23 conv. in L. 24 aprile 1989, n. 144, riprodotto dal D.Lgs. n. 77 del 1995, art. 35 e poi confluito nel D.Lgs. n. 261 del 2000, art. 191, e art. 11 preleggi in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3 – Contraddittorietà della motivazione su punto decisivo della controversia ( art. 360 c.p.c., n. 5).

Il motivo è inammissibile.

E’ di tutta evidenza l’errore materiale in cui è incorsa la Corte di merito.

La stessa, infatti, dopo avere correttamente affermato che il D.L. n. 66 del 1989, art. 23 – che non consente l’azione di arricchimento senza causa, ai sensi dell’art. 2041 c.c., nei confronti della P.A. – trova applicazione soltanto con riferimento alle prestazioni ed ai servizi resi in favore di amministrazioni provinciali, comuni e comunità montane successivamente alla sua entrata in vigore – richiamando costante e copiosa giurisprudenza della Corte di cassazione sul punto (v. per tutte Cass. 11.5.2007 n. 10884) – ha, poi, con riferimento agli incarichi che ha rilevato essere stati conferiti all’odierno resistente in epoca anteriore all’entrata in vigore della menzionata normativa, affermato che "Lo S. ha, pertanto diritto all’indennizzo solo per le prestazioni rese successivamente all’entrata in vigore della normativa prima indicata". Il corretto contesto di riferimento ed il richiamo puntuale alla giurisprudenza in materia, toglie ogni pregio alle censure avanzate, escludendo la contraddittorietà lamentata.

In questo senso, pertanto, deve logicamente intendersi il riferimento temporale delle prestazioni che la Corte di merito ha riconosciuto dovute allo S..

Il vizio, in ogni caso, avrebbe dovuto formare oggetto della procedura di correzione dì errore materiale di cui all’art. 287 e segg., non integrando certo un vizio da far valere con il ricorso per cassazione (v. anche Cass. 31.5.2011 n. 12035).

Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione artt. 2041 e 2042 c.c. – D.L. 2 marzo 1989, n. 66, art. 23 conv. in L. 24 aprile 1989, n. 144, riprodotto dal D.Lgs n. 77 del 1995, art. 35 e poi confluito nel D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 191, in riferimento alla determinazione dell’indennità per arricchimento senza causa ed all’art. 360 c.p.c., n. 3, – Violazione artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione alle risultanze probatorie acquisite ed all’art. 360 c.p.c., n. 3. Violazione art. 112 c.p.c. in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4 – Insufficiente e contraddittoria motivazione ( art. 360 c.p.c., n. 5).

Il motivo non è fondato.

Vero è che in tema di azione d’indebito arricchimento nei confronti della P.A., conseguente all’assenza di un valido contratto – come nella specie – l’indennità prevista dall’art. 2041 c.c. va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subita dall’esecutore della prestazione resa in virtù del contratto invalido, con esclusione di quanto lo stesso avrebbe percepito a titolo di lucro cessante se il rapporto negoziale fosse stato valido ed efficace (Cass. 7.10.2011 n. 20648); quindi, nei limiti del danno emergente.

Trattandosi, peraltro, di indennizzo ex art. 2041 c.c. per lo svolgimento di un’attività professionale, la quantificazione dell’indennizzo stesso potrebbe essere effettuata utilizzando la tariffa professionale soltanto come parametro di valutazione, per desumere il risparmio conseguito dalla P.A. committente rispetto alla spesa cui essa sarebbe andata incontro nel caso di incarico professionale contrattualmente valido (Cass. 29.9.2011 n. 19942;

Cass. 10.10.2007 n. 21292).

Ma, nel caso in esame, la Corte non ha neppure preso la tariffa professionale come parametro di riferimento, basando la valutazione comparativa fra lucupletazione del comune ed effettiva diminuzione patrimoniale del professionista, sulla documentazione in atti e sui dati indicati dal consulente tecnico d’ufficio, e concludendo che per la natura di debito di valore dell’indennizzo la sua misura poteva farsi coincidere con quella che allo stesso sarebbe spettata "a tale titolo".

Trattasi di motivazione coerente ed argomentata, basata su principi di diritto correttamente applicati, come tale immune dalle censura avanzate; non senza evidenziare che dalla sentenza impugnata non emerge, nel calcolo dell’indennizzo, alcun riferimento a supposte prestazioni eseguite successivamente all’entrata in vigore del D.L. n. 66 del 1989, art. 23.

Anche su tale punto, pertanto, la censura non può essere seguita.

Con il terzo motivo si denuncia la violazione art. 91 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Il motivo non è fondato.

Le conclusioni cui si è pervenuti con riferimento ai precedenti motivi rendono pienamente corretta la statuizione di compensazione adottata dalla Corte di merito in ordine alle spese dei gradi di merito, la cui motivata adozione, non solo rende legittima la statuizione adottata dal giudice del merito cui compete, ma consente di escludere la sussistenza della violazione contestata (v. anche S.U. 30.7.2008 n. 20598; Cass. Ord. 2.12.2010 n. 24531).

Conclusivamente, il ricorso è rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e, liquidate come in dispositivo, sono posta a carico del ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese che liquida in complessivi Euro 1.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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