Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 22-06-2011) 06-10-2011, n. 36339 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

Con ordinanza in data 4 febbraio 2011 il Tribunale del riesame di Lecce, confermando il provvedimento del locale giudice per le indagini preliminari, ha disposto che L.C. rimanesse sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere quale indagato per il delitto di partecipazione ad associazione di tipo mafioso.

Gli indizi valorizzati a suo carico sono consistiti nelle propalazioni del collaboratore di giustizia P.E., che lo hanno descritto come affiliato della Sacra Corona Unita nel gruppo del dichiarante e molto legato ad altro affiliato, di nome A. C., col quale all’epoca dei fatti gestiva un’azienda operante nell’interesse del gruppo mafioso. I riscontri di cui all’art. 192 c.p.p., n. 3, sono stati individuati nelle dichiarazioni degli altri collaboratori F.F., M.F. e G. P., ritenute dotate di attendibilità intrinseca ed estrinseca; nonchè nella accertata veridicità di altre circostanze affermate dal P., quali la pregressa proprietà in capo al L. di un motociclo Piaggio Beverly 500 e il singolare status del C., di dipendente presso un’azienda con stipendio sproporzionatamente alto rispetto a quelli degli altri dipendenti e dello stesso amministratore. In ordine alle esigenze cautelari, individuate nel pericolo di reiterazione criminosa, si è data applicazione alla presunzione di pericolosità sociale e di adeguatezza della sola misura carceraria, di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3.

Nell’interesse del L. sono stati presentati due ricorsi, l’uno a firma dell’Avv. Gianvito Lillo, l’altro dell’Avv. Pasquale Annicchiarico, affidati rispettivamente ad uno e a tre motivi.

Col suo unico motivo l’Avv. Lillo evidenzia le discrasie fra le dichiarazioni dei collaboranti, denunciando al contempo l’omessa verifica della loro credibilità soggettiva e l’errata valutazione dei riscontri.

L’Avv. Annicchiarico, col suo primo motivo, lamenta carenza di motivazione in ordine alla credibilità riconosciuta ai collaboranti diversi dal P., sul presupposto indimostrato che essa risultasse già vagliata in precedenti provvedimenti cautelari e in giudizio.

Col secondo motivo contrasta la valutazione, quali riscontri esterni, di circostanze alle quali osserva doversi riconoscere neutra valenza.

Col terzo evidenzia talune discrasie fra le propalazioni dei collaboranti.

Motivi della decisione

Entrambi gli atti d’impugnazione nei quali si concreta il ricorso dell’indagato sono privi di fondamento.

Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, il Tribunale non ha omesso di dedicarsi al vaglio della credibilità soggettiva di Ettore P. e degli altri collaboratori di giustizia, ma vi si è debitamente soffermato, verificando poi la convergenza delle loro dichiarazioni.

Sul primo argomento ha considerato quel collegio che il P., nel rendere dichiarazioni connotate da spontaneità, precisione, costanza e verosimiglianza, si era autoaccusato – assumendone la responsabilità quale componente della struttura verticistica del sodalizio di appartenenza – di tutti i delitti da lui riferiti, ivi compreso un omicidio per il quale era stato già in precedenza giudicato con esito assolutorio, oltre ad altri omicidi per i quali non risultava indagato: tanto a conferma di una sincera volontà di collaborazione, certamente non indotta dalla finalità di conseguire i benefici premiali. Degli altri dichiaranti ha rilevato la credibilità intrinseca, siccome già positivamente saggiata in altri provvedimenti cautelari e in giudizio. Sebbene quest’ultimo rilievo non sia suffragato da una precisa e verificabile indicazione dei provvedimenti e giudizi assunti a parametro, ciò tuttavia non consente di caducare il giudizio di credibilità soggettiva dei dichiaranti, essendo estensibile ad essi l’argomento basato sulla responsabilità assunta autoaccusandosi e mancando l’indicazione, da parte del ricorrente, di una qualsiasi ragione atta a rendere incerta l’attendibilità del loro narrato.

Sul secondo argomento il Tribunale ha evidenziato che le propalazioni del P. avevano trovato precisi riscontri nelle dichiarazioni degli altri collaboranti, sia per quanto riguardante l’esistenza e la perdurante attività, nella provincia di Brindisi, dell’associazione di tipo mafioso denominata "Sacra Corona Unita", sia per quanto riguardante la partecipazione del L. al sodalizio. Ha menzionato, in proposito, le conformi dichiarazioni di F.F., F. M. e P.G., sostanzialmente concordi – al di là di talune discrasie, giudicate ad un’attenta analisi più apparenti che reali – nell’indicare l’odierno ricorrente come affiliato al clan mafioso, al cui finanziamento contribuiva attraverso la co-gestione con l’amico e sodale C. di un’azienda denominata Nettuno. In aggiunta a ciò ha rimarcato come l’attendibilità delle affermazioni rese dal P. avesse trovato ulteriori conferme nella accertata veridicità di talune circostanze fattuali (la pregressa proprietà in capo al L. di un motociclo Piaggio Beverly 500 e la singolare posizione del C. di dipendente "privilegiato" della società D & D s.r.l.): le quali – è d’obbligo riconoscerlo, in adesione al rilievo formulato al riguardo dalla difesa – non possono certo assurgere al rango di riscontri individualizzanti della chiamata in correità (del resto non necessari, stante la prova di resistenza traibile dalla cd. convergenza del molteplice); ma valgono soltanto quale ulteriore riprova della attendibilità soggettiva del P., che ha dimostrato anche per tale via la sua perfetta conoscenza dei fatti riguardanti gli affiliati al sodalizio.

Complessivamente la linea argomentativa fatta propria dal giudice del riesame illustra congruamente la verifica di attendibilità intrinseca ed estrinseca dei collaboranti e del connesso valore gravemente indiziario riconosciuto alle loro dichiarazioni in rapporto alla posizione del L.. Con ciò il Tribunale ha soddisfatto l’obbligo di motivazione, essendo principio consolidato in giurisprudenza quello per cui il giudice del gravame non è tenuto a prendere in esame ogni singola argomentazione svolta nei motivi d’impugnazione, ma deve soltanto esporre, con ragionamento corretto sotto il profilo logico-giuridico, i motivi per i quali perviene a una decisione difforme rispetto alla tesi dell’impugnante, rimanendo implicitamente non condivise, e perciò disattese, le argomentazioni incompatibili con il complessivo tessuto motivazionale.

Sotto altro profilo va rimarcato che la argomentata valutazione del materiale investigativo, immune da vizi sotto il profilo della consequenzialità logica, non può essere sindacata attraverso la rivisitazione degli elementi raccolti, finalizzata ad enfatizzare taluni elementi di dissonanza fra le propalazioni dei collaboranti;

non è infatti compito della Corte di Cassazione attendere a un rinnovato scrutinio del compendio indiziario per sovrapporre la propria valutazione a quella del giudice di merito.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

La cancelleria curerà gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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