Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 16-06-2011) 06-10-2011, n. 36219 Cognizione del giudice d’appello reformatio in peius

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del 18.11.2009 la Corte d’Appello di Roma in riforma della sentenza del GUP di Velletri del 29.6.2006 dichiarava non doversi procedere con riguardo ai reati contestati ai capi m) n) A) C) E) G) I) R) S) U) V) W) X) Y) Z) AA) BB) DD) EE) GG) HH) II) e JJ) perchè estinti per intervenuta prescrizione confermava la sentenza con riguardo ai residui reati di cui ai capi B) D) F) H) J) K) L) M) N) =) P) Q) CC) FF) e KK) (violazione degli artt. 648 bis e 648 c.p.) e T) (violazione dell’art. 495 c.p. così come rispettivamente contestati a SI.Do., SA.Vi., S. B., A.F., S.V., C.A., riducendo le pene loro irrogate.

La Corte territoriale, richiamando la sentenza di primo grado evidenziava che il processo era frutto di una vasta indagine di P.G. sviluppatasi, grazie alle risultanze progressivamente acquisite mediante intercettazioni telefoniche ed ambientali, sequestri e collaterali operazioni di osservazione e controllo, nell’ambito di due distinti filoni investigativi collegati dal coinvolgimento della famiglia S. – C.: l’uno relativo al riciclaggio e commercio di veicoli rubati (capi da A) ad U) dell’imputazione) l’altro alla realizzazione e allo smercio di permessi di soggiorno contraffatti.

Riteneva la Corte distrettuale pienamente utilizzabili le disposte intercettazioni disattendendo le doglianze difensive in ordine alle sollevate carenze motivazionali e pienamente provata la responsabilità dei prevenuti in ordine ai reati di riciclaggio e ricettazione loro contestati. Gli altri reati venivano dichiarati estinti per intervenuta prescrizione.

Sottolineavano i giudici d’appello come l’accertata attività di contraffazione degli estremi identificativi delle vetture di provenienza furtiva (sostituzione delle targhe, alterazione dei numeri di telaio, contraffazione dei documenti di circolazione) concretizzava quell’attività manipolativa delle cose di provenienza delittuosa volta a nasconderne la provenienza che, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, è l’essenziale elemento che distingue il riciclaggio dalla ricettazione.

Ricorre per Cassazione personalmente S.B. deducendo che la sentenza impugnata è incorsa in:

1. violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. c) per inosservanza dell’art. 429, comma 4, come richiamato dall’art. 601 c.p.p., stante l’omessa notificazione al ricorrente del decreto di citazione per il giudizio d’appello e la conseguente nullità della sentenza. Si duole il ricorrente che la notifica non è avvenuta al civico (OMISSIS), domicilio dichiarato, bensì al civico (OMISSIS) per posta per compiuta giacenza.

2. violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e) per motivazione manifestamente illogica in ordine all’assunta compartecipazione del ricorrente agli episodi di riciclaggio di cui ai capi B) D) F) H) K).

Lamenta il ricorrente la ricostruzione operata dai giudici d’appello, sottolineando come le autovetture di cui ai capi B) D) F) e H) furono rinvenute nella disponibilità del solo SA. tra il 20 ed il 24 marzo 2000, cioè in epoca precedente all’attività di osservazione di p.g. intrapresa nei suoi confronti. Analoghe doglianze solleva nei confronti del capo K). Aggiunge che la Corte territoriale ha travisato il contenuto del verbale di sequestro del 17.4.2000 sottolineando come tali documenti nulla hanno a che fare con l’attività di riciclaggio, ma sono attinenti ad altro tipo di contraffazione, quale quella dei permessi di soggiorno.

3. violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e) per manifesta illogicità della motivazione resa in ordine all’assunta compartecipazione del ricorrente ai capi L) N) O) P) nonchè all’episodio di ricettazione enucleato al capo M) e 606 lette) per inosservanza dell’art. 125 c.p.p., comma 3 stante l’assoluta mancanza di motivazione in ordine alla prospettata estraneità del ricorrente ai fatti di cui ai capi di imputazione, essendo in regime detentivo per altra causa dal 19.4.2000 al 5.1.2001. 4. violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. c) per inosservanza dell’art. 125 c.p.p.., comma 3 per mancanza o manifesta illogicità della motivazione in ordine ai capi T) e CC) dell’imputazione.

Violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. c) per contrasto con l’art. 521 c.p.p. e conseguente nullità parziale della sentenza. Contesta il ricorrente la titolarità della documentazione sequestrata il 17.4.2000 sottolineando che era del figlio che se ne era assunta la responsabilità. 5. violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e) per omessa e manifesta illogicità della motivazione resa a sostegno del diniego al riconoscimento delle attenuanti generiche.

6. violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. c) per contrasto con l’art. 125 c.p.p., comma 3 per omessa motivazione in ordine alla scelta di quantificare la pena base per il più grave delitto di riciclaggio in misura superiore al minimo edittale.

7. violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e) per mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione in ordine all’applicazione degli aumenti di pena per la continuazione.

8. violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. c) per inosservanza dell’art. 125 c.p.p., comma 3 ed e) per mancanza – manifesta illogicità della motivazione in ordine ai criteri di determinazione degli aumenti di pena per la continuazione.

Ricorrono per Cassazione personalmente anche S.V. e C.A. deducendo alcuni motivi identici, in particolare, che la sentenza impugnata è incorsa in:

1. Violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e) per motivazione apparente manifestamente illogica in ordine all’assunta compartecipazione nelle imputazioni loro ascritte (capi B) D) F) H) K) L) M) N) O) P). contestano le ricorrenti la ricostruzione operata dalla corte territoriale sottolineando come i reati che vanno dal capo B) al capo H) risultano commessi prima che fosse stata intrapresa alcuna attività di controllo nei loro confronti.

Contestano la ricostruzione operata dai giudici del merito con riguardo ai rapporti fra la famiglia S. e il SA..

Sostengono che la Corte territoriale ha travisato il contenuto del verbale di sequestro e ha fornito una non corretta interpretazione delle conversazioni intercettate.

2. Violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) per inosservanza dell’art. 597 c.p.p., comma 3 avendo la Corte, in contrasto con il principio del divieto della reformatio in pejus operato l’aumento per la continuazione in misura più severa rispetto al giudice di primo grado e per contrasto con Part. 157 ss. c.p. avendo la Corte omesso di elidere dall’aumento per la continuazione le pene inflitte per i reati dichiarati prescritti.

3. Violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. c) per inosservanza dell’art. 125 c.p.p., comma 3 ed e) per mancanza – manifesta illogicità della motivazione in ordine ai criteri di determinazione degli aumenti di pena per la continuazione.

4. Violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. c) per inosservanza dell’art. 125 c.p.p., comma 3 per omessa motivazione in ordine alla scelta operata dalla Corte di quantificare la pena base per il più grave delitto di riciclaggio in misura superiore al minimo edittale La sola C.A. deduce anche l’omessa o manifesta illogicità della motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.

Ricorre personalmente anche A.F. deducendo che la sentenza impugnata è incorsa in:

1. violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e) per motivazione manifestamente illogica in ordine all’assunta compartecipazione del ricorrente agli episodi di riciclaggio di cui ai capi B) D) F) H) K) e N). Sottolinea il ricorrente come il rinvenimento delle vetture indicate nei capi di imputazione è venuta in epoca antecedente all’attività di osservazione intrapresa nei suoi confronti.

2. violazione dell’art. 606, lett. b) ed e) per inosservanza della legge penale e carenza di motivazione in ordine alla qualificazione giuridica attribuita dalla Corte territoriale alle condotte descritte nei capi D) F) N) O) e P). Sostiene il ricorrente che i fatti a lui contestati realizzavano al più i delitti di ricettazione e non quelli di riciclaggio contestati.

3. violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e) per omessa e manifesta illogicità della motivazione posta a fondamento del diniego delle circostanze attenuanti generiche.

4. violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. c) per inosservanza dell’art. 125 c.p.p., comma 3 per omessa motivazione in ordine alla scelta operata dalla Corte di quantificare la pena base per il più grave delitto di riciclaggio in misura superiore al minimo edittale.

5. violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. c) per inosservanza dell’art. 125 c.p.p., comma 3 ed e) per mancanza – manifesta illogicità della motivazione in ordine ai criteri di determinazione degli aumenti di pena per la continuazione.

Ricorre per Cassazione anche il difensore di SA.Vi. deducendo che la sentenza impugnata è incorsa in:

1. violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e) manifesta illogicità della motivazione.

Inesistenza del reato contestato. Assoluzione per non aver commesso il fatto.

Sostiene il ricorrente l’illogicità della sentenza e lamenta la mancata assoluzione per non aver commesso il fatto 2. violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b). Erronea applicazione della legge penale Errata determinazione della pena.

3. Sostiene la prescrizione dei reati.

Ricorre per Cassazione anche il difensore di SI.Do. deducendo che la sentenza impugnata è:

1. nulla per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b). Lamenta il ricorrente la mancata declaratoria di prescrizioni con riguardo ai reati A) C) E) G) ed I).

2. nulla per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. c) e per erronea applicazione della legge penale ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b).

Lamenta la mancata declaratoria di prescrizione con riguardo ai reati sub A) C) E) G) ed I) e comunque la minima riduzione della pena.

3. nulla per mancanza di motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e). Lamenta la mancata rinnovazione del dibattimento al fine di disporre perizia psichiatrica per accertare se al momento dei fatti il SI. versasse in condizioni di infermità tali da escludere o scemare grandemente la capacità di intendere e di volere. Evidenzia come in fase di indagini era stata accertato uno stato depressivo dell’imputato che aveva determinato l’incompatibilità con il regime carcerario. Sottolinea come la richiesta era finalizzata alla concessione delle circostanze attenuanti generiche.

La posizione di S.B. deve essere stralciata dal presente procedimento essendo necessario acquisire al fine del decidere le dichiarazioni di domicilio effettuate dal ricorrente anche nel corso delle indagini preliminari.

I restanti ricorsi denunciano, sotto diversi profili, vizi di motivazione.

In proposito vanno richiamati i principi, ripetutamente affermati da questa Corte, che regolano il sindacato del giudice di legittimità.

La mancanza di motivazione consiste nell’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa sottoposto al giudice di merito, non già nell’insufficienza di essa o nella mancata confutazione di un argomento specifico relativo ad un punto della decisione che è stato trattato dal giudice del provvedimento impugnato, con implicito rigetto della diversa valutazione operata da quella della parte.

Così come il controllo di legittimità non si estende alle incongruenze logiche che non siano manifeste, ossia macroscopiche, eclatanti, assolutamente incompatibili con le conclusioni adottate o con altri passaggi argomentativi utilizzati dai giudici e tali, perciò, da costituire fratture logiche, all’interno del discorso giustificativo, tra premesse e conclusioni. La verifica che la Corte di Cassazione, in forza dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), è abilitata a compiere sulla correttezza e completezza della motivazione riguarda la congruità logica e l’interna coerenza dell’apparato argomentativo posto a base della decisione impugnata e non va confusa con una rinnovata valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella fornita dal giudice di merito. La Corte Suprema non è quindi legittimata a controllare la rispondenza alle risultanze processuali e l’adeguatezza in concreto delle scelte operate, nell’ambito delle sue esclusive attribuzioni, dal giudice di merito in ordine alla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova, ma soltanto a riscontrare l’esistenza di una reale e non apparente struttura motivazionale, completa e logicamente coerente con il materiale probatorio valutato.

Esclusa pertanto una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, non può integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (cfr. Cass., Sez. Un., 29.1.1996, Clarke; 23.2.1996, P.G., Fachini e altri; 22.10.1996, Di Francesco; 2.7.1997, Dessimone e altri).

La previsione secondo cui il vizio della motivazione può risultare, oltre che dal "testo" del provvedimento impugnato, anche da "altri atti del processo", purchè specificamente indicati nei motivi di gravame, non ha infatti trasformato il ruolo e i compiti del giudice di legittimità, il quale è tuttora giudice della motivazione, senza essersi trasformato in un ennesimo giudice del fatto. In questa prospettiva il richiamo alla possibilità di apprezzarne i vizi anche attraverso gli "atti del processo" rappresenta solo il riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di legittimità il cosiddetto "travisamento della prova", in virtù del quale la Corte, lungi dal procedere ad una (inammissibile) rivalutazione del fatto (e del contenuto delle prove), prende in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti per verificare se il relativo contenuto è stato preso in esame, senza travisamenti, all’interno della decisione.

In altri termini si può parlare di travisamento della prova nei casi in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale. Non spetta invece alla Corte di cassazione "rivalutare" il modo con cui quello specifico mezzo di prova è stato apprezzato dal giudice di merito, giacchè attraverso la verifica del travisamento della prova il giudice di legittimità può e deve limitarsi a controllare se gli elementi di prova posti a fondamento della decisione esistano o, per converso, se ne esistano altri inopinatamente e ingiustamente trascurati o fraintesi.

Ciò detto le censure sollevate dalla difesa S.V. e C.A. con il 1 motivo di ricorso si palesano manifestamente infondate perchè versate in fatto e comunque generiche.

La difesa delle imputate ha mosso generiche censure alle argomentazioni fattuali e logico-giuridiche sviluppate nella sentenza d’appello, e non ha nemmeno sostenuto il proprio assunto con richiamo ad atti specifici e ben individuati del processo che il giudice di merito avrebbe omesso di valutare.

In proposito il Collegio osserva che è ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità il principio della cd.

"autosufficienza" del ricorso in base al quale quando la doglianza fa riferimento ad atti processuali, la cui valutazione si assume essere stata omessa o travisata, è onere del ricorrente suffragare la validità del proprio assunto mediante la completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti specificatamente indicati o la loro allegazione (ovviamente nei limiti di quanto era già stato dedotto in precedenza), essendo precluso alla Corte l’esame diretto degli atti del processo, a meno che il fumus del vizio dedotto non emerga all’evidenza dalla stessa articolazione del ricorso (cfr.

Cass. n. 20344/06; Cass. n. 20370/06; Cass. n. 47499/07; Cass. n. 16706/08) Nel caso in esame il ricorrente non ha messo a disposizione di questa Corte di legittimità gli elementi obiettivi necessari per apprezzare, sulla base di atti specificatamente trascritti o allegati, la sussistenza o l’insussistenza di un fumus delle doglianze e quindi l’utilità o la superfluità di un esame diretto dei relativi atti. In applicazione a tali principi il Collegio ritiene che le risultanze processuali inadeguatamente esposte e le argomentazioni esposte nei motivi in esame si risolvono in generiche censure in punto di fatto che tendono unicamente a prospettare una diversa ed alternativa lettura dei fatti di causa, ma che non possono trovare ingresso in questa sede di legittimità a fronte di una sentenza impugnata che non presenta nella motivazione alcuna illogicità che ne vulneri la tenuta complessiva sia con riguardo alla partecipazione all’associazione rispetto alla quale vi è stata una pronuncia di prescrizione, sia con riguardo al concorso nei reati di riciclaggio sistematicamente realizzati, rispetto ai quali è stato sottolineato come gli atti di indagine, realizzati in un ristretto arco temporale, portavano ad escludere che i veicoli trovati nella disponibilità del SA. potessero essere stati da lui "movimentati" per canali diversi da quelli che lo vedevano inconfutabilmente legato al clan SECHI che operava in tale settore.

Anche il secondo motivo è manifestamente infondato.

Sul punto deve osservarsi che la Corte Territoriale in riforma della sentenza del giudice di primo grado dichiarava, d’ufficio, ai sensi dell’art. 129 c.p.p., la prescrizione dei reati diversi dal riciclaggio e dalla ricettazione, sul presupposto che le risultanze processuali, illustrate nel corpo della motivazione, tenuto conto delle argomentazioni difensive volte a dedurre l’insussistenza della responsabilità in capo alle appellanti, impedivano una pronuncia di innocenza delle imputate. I giudici d’appello sottolineavano come dagli atti di indagine risultava il fattivo e sistematico coinvolgimento operativo nell’attività di contraffazione di targhe e documenti dell’intero nucleo famigliare del S., al quale le due donne appartenevano, e che quindi non poteva trovare accoglimento l’impugnazione proposta finalizzata ad una pronuncia di assoluzione.

Nel giudizio di impugnazione l’applicabilità ex officio dell’art. 129 c.p.p. conferisce al giudice un vero e proprio potere ultra petita che realizza una deroga all’effetto devolutivo che caratterizza il giudizio di appello così come indicato dall’art. 597 c.p.p., comma 1.

La riforma della sentenza nel caso di specie è stata determinata non dall’accoglimento dell’appello presentato dalle ricorrenti, bensì dall’esercizio del potere conferito alla Corte dall’art. 129 c.p.p. che ha portato il giudice d’appello a dichiarare l’estinzione di alcuni reati concorrenti per intervenuta prescrizione.

Il mancato accoglimento dell’appello impedisce l’applicazione dell’art. 597 c.p.p., comma 4 che stabilisce che "in ogni caso se è accolto l’appello dell’imputato relativo a circostanze o a reati concorrenti, anche se unificati per la continuazione la pena complessiva irrogata è corrispondentemente diminuita".

La giurisprudenza di questa Corte ha affermato alcuni punti fermi circa i rapporti tra le disposizioni del terzo e quelle dell’art. 597 c.p.p., comma 4. In particolare è stato detto (cfr. SU. 12.5.1995) che il divieto della reformatio in peius previsto dall’art. 597 c.p.p., comma 3 per l’ipotesi di impugnazione del solo imputato ha una portata generale e pone un limite ai poteri del giudice che non può applicare una pena più grave di quella inflitta dal primo giudice. A tale limite, nei casi previsti dall’art. 597 c.p.p., comma 4, si aggiunge il dovere di diminuire "la pena complessiva irrogata" in misura corrispondente all’accoglimento dell’impugnazione.

Diversamente dal divieto della reformatio in peius, che sorge "quando appellante è il solo imputato" (art. 597 c.p.p., comma 3), il dovere di diminuire la pena, di cui all’art. 597 c.p.p., comma 4, esiste "in ogni caso", cioè anche quando, oltre all’imputato, è appellante anche il pubblico ministero, la cui impugnazione non può impedire le diminuzioni corrispondenti all’accoglimento dei motivi dell’imputato relativi a reati concorrenti o a circostanze.

Il divieto della reformatio in peius fissato dal primo comma dell’art. 597 c.p.p., comma 3 non può però condizionare i poteri di cognizione e di decisione del Giudice del gravame che, infatti, è legittimato a dare al reato una definizione giuridica diversa e anche più grave di quella attribuitagli dal Giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata con l’unico limite, fissato dalla stessa norma, di non irrogare una pena di maggiore entità o gravità rispetto a quella già inflitta.

Il divieto suddetto concerne, infatti, la parte dispositiva della sentenza e non si estende alla motivazione della stessa, nella cui formulazione il giudice non può subire condizionamenti a seguito del dedotto gravame. Non è infatti precluso al giudice d’appello esprimersi con una motivazione meno favorevole per l’imputato, posto che il divieto in parola copre il solo dispositivo della sentenza e non il suo apparato logico-argomentativo C 2 3.3.1997, Gallo, CED 208375; C 1 10.7.1995, Cavalieri, CED 202423; C 6 16.11.1994, Bagno, CED 201042; C SU 19.1.1994, Celerini, CP 1994, 2027.

La limitazione dei poteri fissati dal comma in questione non è infatti diretta a garantire all’imputato un trattamento sotto ogni aspetto migliore di quello usatogli nel precedente grado, ma solo ad impedirgli un trattamento sanzionatorio più grave rispetto a quello inflitto dal primo giudice.

Nel caso in esame la Corte Territoriale non ha accolto l’appello delle imputate ma ha dichiarato d’ufficio l’estinzione dei reati, diversi dal riciclaggio e dalla ricettazione, per intervenuta prescrizione ed ha proceduto per l’effetto ad una riduzione della pena fissando l’aumento per la continuazione in modo diverso e meno favorevole per le imputate, rispetto ai calcoli effettuati dal giudice di primo grado. Tale modo di procedere non ha dato luogo ad alcuna violazione del principio di cui si discute in quanto nel caso in esame il divieto concerne la parte dispositiva della sentenza e non si estende alla motivazione nella cui formulazione il giudice non può subire condizionamenti. La Corte territoriale ha infatti determinato per S.V. la pena in anni 2 mesi 10 di recl. ed Euro 5000,00 di multa, a fronte di una precedente condanna ad anni 3 di recl. ed Euro 6000,00 di multa e per C.A. in anni 4 mesi 4 di recl. ed Euro 7000,00 di multa, a fronte di una precedente condanna ad anni 5 di recl. ed Euro 10000,00 di multa, riducendo sensibilmente la pena base che è stata fissata in misura prossima ai minimi edittali previsti per il reato di riciclaggio e procedendo ad un unico aumento per i restanti reati di riciclaggio e ricettazione in misura più congrua rispetto a quella fissata, sempre in maniera unitaria, dal giudice di primo grado considerato il numero di reati posti in continuazione. La decisione non contrasta con il principi fissato nella sentenza delle SU. del 2005 (Cass SU 27.9.2005 n. 40910) che ha affermato che il divieto di "reformatio in peius" nel caso di accoglimento dell’appello in ordine alle circostanze o al concorso di reati, anche se unificati per la continuazione, come espressamente previsto dall’art. 597 c.p.p., comma 4, investe anche i singoli elementi che compongono la pena complessiva e riguarda non solo il risultato finale di essa, ma tutti gli elementi del calcolo relativo e che la disposizione contenuta nell’art. 597 c.p.p., comma 4 individua, come elementi autonomi, pur nell’ambito della pena complessiva. Le Sezioni Unite di questa Corte Suprema nella sentenza richiamata hanno infatti sottolineato che l’art. 597 c.p.p. introduce, al comma 4, una disposizione innovativa in base alla quale "in ogni caso, se è accolto l’appello dell’imputato relativo a circostanze o a reati concorrenti, anche se unificati per la continuazione, la pena complessiva irrogata è corrispondentemente diminuita". Previsione che secondo le Sezioni Unite assume un significato particolarmente pregnante se letta alla luce della Relazione preliminare al codice del 1988, dove è scritto che, con l’introduzione di tale comma, il legislatore ha inteso "rafforzare il divieto della reformatio in peius" che, con il codice abrogato, veniva sostanzialmente eluso dalla giurisprudenza allorchè lo considerava riferibile solo alla pena complessivamente inflitta, consentendo di lasciare privo di conseguenze il riconoscimento di attenuanti, l’esclusione di aggravanti o il proscioglimento da alcune delle imputazioni contestate come concorrenti. Proprio a seguito dell’introduzione di una previsione innovativa, come quella contenuta nell’art. 597 c.p.p., comma 4 hanno ritenuto superato l’orientamento giurisprudenziale, formatosi soprattutto sotto il vigore dell’art. 515 c.p.p. 1930, comma 3, in base al quale il divieto della "reformatio in peius " andava riferito alla pena in definitiva irrogata e non ai singoli elementi che la compongono ed ai calcoli effettuati per giungere alla determinazione complessiva di essa. Nel caso di specie, come già indicato, non si verte infatti in ipotesi di accoglimento dell’appello proposto dall’imputato e non può trovare applicazione l’art. 597 c.p.p., comma 4 così come interpretato dalla sentenza richiamata. Manifestamente infondati sono anche le doglianze indicate ai punti 3) e 4) relative alla "dosimetria" della pena.

Questa Corte ha più volte affermato che se la determinazione della pena non sì discosta di molto dai minimi edittali, il giudice ottempera all’obbligo motivazionale di cui all’ari 125 c.p.p., comma 3, adoperando espressioni come "pena congrua", "pena equa", "congruo aumento", "ritiene equo", mentre, allorquando ritenga di determinare l’entità della pena in misura non prossima ai minimi edittali, egli deve evidenziare concretamente le ragioni per cui ha così quantificato la pena, facendo ricorso a tutti o ad alcuni dei parametri di cui all’art. 133 c.p., non potendo la motivazione esaurirsi nel ricorso a delle mere clausole di stile (Cass. N. 16691/2009 Rv 243168, N. 2925 del 2000 Rv. 217333, N. 35346 del 2008 Rv. 241189, N 39306 del 2008 Rv. 241145).

Nel caso in esame, come già indicato, la pena base è stata fissata in maniera prossima ai minimi edittali e l’aumento per la continuazione, considerato il rilevante numero dei reati, è stato fissato nei minimi di legge.

Manifestamente infondata è anche la doglianza sollevata dalla sola C. con riguardo all’omessa o manifesta illogicità della motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. La Corte ha infatti dato conto con motivazione coerente e priva di vizi logici delle ragioni che militavano per la non concessione individuate "nella gravità dei fatti, la serrata molteplicità delle varie condotte criminose valutate unitariamente".

Anche i motivi dedotti da A.F. sono manifestamente infondati.

Con riguardo alle doglianze di cui ai punti 3) 4) e 5) relativi alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e alla dosimetria della pena non possono che richiamarsi le motivazione espresse con riguardo al ricorso C. – S. considerato l’identità delle censure.

Il primo motivo è inammissibile perchè generico e versato in fatto.

La difesa ha mosso generiche censure alle argomentazioni fattuali e logico-giuridiche sviluppate nella sentenza d’appello senza mettere a disposizione di questa Corte di legittimità gli elementi obiettivi necessari per apprezzare, sulla base di atti specificatamente trascritti o allegati, la sussistenza o l’insussistenza di un fumus delle doglianze e quindi l’utilità o la superfluità di un esame diretto dei relativi atti. Le doglianze si risolvono pertanto in generiche censure in punto di fatto che tendono unicamente a prospettare una diversa ed alternativa lettura dei fatti di causa, ma che non possono trovare ingresso in questa sede di legittimità a fronte di una sentenza impugnata che non presenta nella motivazione alcuna illogicità che ne vulneri la tenuta complessiva sia con riguardo alla partecipazione all’associazione rispetto alla quale vi è stata una pronuncia di prescrizione, sia con riguardo al concorso nei reati di riciclaggio sistematicamente realizzati, rispetto ai quali è stato sottolineato come gli atti di indagine, realizzati in un ristretto arco temporale, portavano ad escludere che i veicoli trovati nella disponibilità del SA. potessero essere stati da lui "movimentati" per canali diversi da quelli che lo vedevano inconfutabilmente legato al clan SECHI che operava in tale settore e del quale l’ A. era indicato come partecipe alla luce di specifiche risultanze processuali.

Inammissibile è anche il secondo motivo di ricorso perchè è la mera ripetizione di doglianze già esposte con i motivi d’appello e debitamente disattese dalla Corte di merito, pertanto deve essere considerato generico. E’ giurisprudenza pacifica di questa Corte che se i motivi del ricorso per Cassazione riproducono integralmente ed esattamente i motivi d’appello senza alcun riferimento alla motivazione della sentenza di secondo grado, le relative deduzioni non rispondono al concetto stesso di "motivo", perchè non si raccordano a un determinato punto della sentenza impugnata ed appaiono, quindi, come prive del requisito della specificità richiesto, a pena di inammissibilità, dall’art. 581 c.p.p., lett. c). E’ evidente infatti che, a fronte di una sentenza di appello, come quella in esame, che ha fornito una risposta ai motivi di gravame la pedissequa ripresentazione degli stessi come motivi di ricorso in Cassazione non può essere considerata come critica argomentata rispetto a quanto affermato dalla Corte d’Appello.

Deve aggiungersi che le argomentazioni esposte nel motivo in esame si risolvono in generiche censure in punto di fatto che tendono unicamente a prospettare una diversa ed alternativa lettura dei fatti di causa, ma che non possono trovare ingresso in questa sede di legittimità a fronte di una sentenza, come quella impugnata che appare congruamente e coerentemente motivata proprio in punto di responsabilità del ricorrente a titolo di concorso nei reati di riciclaggio contestati.

I motivi riproducono pedissequamente i motivi d’appello E’ giurisprudenza pacifica di questa Corte che se i motivi del ricorso per Cassazione riproducono integralmente ed esattamente i motivi d’appello senza alcun riferimento alla motivazione della sentenza di secondo grado, le relative deduzioni non rispondono al concetto stesso di "motivo", perchè non si raccordano a un determinato punto della sentenza impugnata ed appaiono, quindi, come prive del requisito della specificità richiesto, a pena di inammissibilità, dall’art. 581 c.p.p., lett. c). E’ evidente infatti che, a fronte di una sentenza di appello, come quella in esame, che ha fornito una risposta ai motivi di gravame la pedissequa ripresentazione degli stessi come motivi di ricorso in Cassazione non può essere considerata come critica argomentata rispetto a quanto affermato dalla Corte d’Appello.

Deve aggiungersi che le argomentazioni esposte nel motivo in esame si risolvono in generiche censure in punto di fatto che tendono unicamente a prospettare una diversa ed alternativa lettura dei fatti di causa, ma che non possono trovare ingresso in questa sede di legittimità a fronte di una ordinanza, come quella impugnata che appare congruamente e coerentemente motivata proprio in punto di responsabilità del ricorrente a titolo di concorso.

Il primo motivo di ricorso di SA.Vi. è inammissibile perchè ripropone le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi lo stesso per di più essere considerato non specifico. La mancanza di specificità del motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità, conducente a mente dell’art. 591 cod. proc. pen., comma 1, lett. c), all’inammissibilità. Il ricorrente deve quindi prospettare una specifica doglianza in ordine alle argomentazioni poste a fondamento della decisione impugnata e non limitarsi a dedurne genericamente l’infondatezza.

E’ quindi inammissibile il ricorso per cassazione quando, come nel caso in esame, gli argomenti esposti siano assolutamente generici, non individuando le ragioni in fatto o in diritto per cui la sentenza impugnata sarebbe censurabile e, pertanto, impedendo l’esercizio del controllo di legittimità sulla stessa.

Manifestamente infondati è anche il secondo motivo di ricorso considerato che, come già indicato, allorchè si è trattato le posizioni C. e S., nella determinazione della pena la Corte territoriale non è incorsa in alcuna violazione di legge. A seguito della declaratoria di prescrizione in ordine ad alcuni reati la Corte d’Appello ha ridotto la pena di anni 6 di recl. ed Euro 8000,00 di multa, inflitta al SA. dal primo giudice, ad anni 5 mesi 1 di recl. ed Euro 7.100,00 di multa. L’inammissibilità del ricorso preclude l’accesso al rapporto di impugnazione ed impedisce la declaratoria di prescrizione maturata dopo la sentenza impugnata (Sez. un., 27 giugno 2001, Cavalera, Cass. Sez. un. 23428/05 Bracale).

Inammissibile è anche il ricorso presentato nell’interesse di SI.Do..

Manifestamente infondate sono le censure di cui ai punti 1) e 2).

Deve infatti evidenziarsi che al di là di una non felice espressione usata dal giudice d’appello che, ad una lettura superficiale del dispositivo, può indurre in errore, la declaratoria di prescrizione ha riguardato i reati di cui ai capi A) C) E) G) I) R) S) U) V) W) X) Y) Z) AA) BB) DD) EE) GG) HH) II) JJ), così come rispettivamente ascritti agli imputati, ivi compreso il SI. cui erano contestati i capi A) C) E) G) ed I), oltre i capi m) ed n) contestati al solo SI.. A seguito di tale declaratoria la Corte d’Appello ha ridotto la pena di anni 6 di recl. ed Euro 8000,00 di multa, inflitta dal primo giudice, ad anni 5 mesi 4 di recl. ed Euro 7.000,00 di multa. Nella determinazione della pena la Corte territoriale, come già indicato, non è incorsa in alcuna violazione di legge fissando l’aumento per la continuazione, considerato il rilevantissimo numero dei reati, nei minimi di legge.

Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

Ai sensi dell’art. 603 c.p.p., comma 1, il giudice di appello, quando una parte la richiede, dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale solo se ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli atti. Poichè la norma fa riferimento generico alla istruzione dibattimentale, senza alcuna distinzione all’interno di questa nozione, si deve ritenere che essa riguardi tutta la istruzione dibattimentale che può essere assunta in primo grado, secondo la disciplina dettata dal capo 3^ del libro 7^ del cod. proc. pen..

Se ne deve concludere che l’eccezionalità della rinnovazione dell’istruttoria in appello prevista dall’art. 603 c.p.p., comma 1, riguarda anche le prove volte ad accertare la capacità di intendere e di volere dell’imputato o altre condizioni di imputabilità: prove che pertanto il giudice di appello deve ammettere solo quando non si ritiene in grado di decidere allo stato degli atti.

Nella fattispecie di causa, la corte territoriale ha motivato sul punto in modo congruo e logico – come tale incensurabile in sede di legittimità – osservando che la richiesta era sfornita di qualsiasi appiglio concreto nelle risultanze processuali, facendo la difesa leva esclusivamente a sopravvenute problematiche avute dal SI. in riferimento al suo stato detentivo.

Tutti i ricorsi devono pertanto essere dichiarati inammissibili.

L’inammissibilità dei ricorso preclude l’accesso al rapporto di impugnazione ed impedisce, come già indicato, la declaratoria di prescrizione maturata dopo la sentenza impugnata (Sez. un., 27 giugno 2001, Cavalera, Cass. Sez. un. 23428/05 Bracale).

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, le parti private che lo hanno proposto devono essere condannati al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di mille Euro ciascuno, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

SI.Do. deve essere condannato anche alla rifusione in favore della parte civile ALLIANZ SpA (già Lloyd Adriatico SpA) delle spese del grado liquidate in Euro 2000,00 oltre spese generali IVA e CPA come per legge.

P.Q.M.

Dispone lo stralcio della posizione relativa al ricorrente S. B. rinviando per l’ulteriore corso nei suoi confronti all’udienza del 13 ottobre 2011 h. 10,00 ss. e disponendo che a cura della Cancelleria si provveda all’acquisizione delle dichiarazioni di domicilio effettuate dal suddetto ricorrente anche nel corso delle indagini preliminari.

Dichiara inammissibili i ricorsi degli altri imputati che condanna al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di mille Euro alla cassa delle ammende.

Condanna altresì SI.Do. alla rifusione in favore della parte civile ALLIANZ SpA (già Lloyd Adriatico SpA) delle spese del grado liquidate in Euro 2000,00 oltre spese generali IVA e CPA come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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