Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 08-03-2012, n. 3630

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 4423/06, depositata il 27 febbraio 2008, non definitivamente pronunciando, ritenuta non fondata l’eccezione di inesistenza della notifica dell’appello incidentale, proposta dalle ricorrenti principali T.A. e G.R., rigettava l’appello incidentale, proposto da L. e A.A., con riguardo alla sentenza emessa il 9 gennaio 2003 dal Tribunale di Latina, in ordine al proprio difetto di legittimazione. Disponeva il prosieguo del giudizio con separata ordinanza.

Con la successiva sentenza definitiva n. 2955/08, depositata il 22 luglio 2009, in accoglimento degli appelli proposti, rispettivamente, da T.A. e G.R., in proprio e nella qualità di eredi di A.C., nei confronti di A. A. e L. (a loro volta, come si è detto, appellanti incidentali), in ordine alla suddetta sentenza emessa dal Tribunale di Latina il 9 gennaio 2003, condannava A.L. e A. al pagamento in favore di T.A. della somma di Euro 20.370,36, e in favore di G.R. della somma di Euro 30.090,14, in luogo di quelle minori statuite in prime cure, per entrambe, interessi di legge dalle scadenze al soddisfo e rivalutazione sino alla data della pronuncia, nonchè alla rifusione in favore di controparte delle spese di lite del grado.

2. T.A. e G.R. avevano adito il Tribunale di Latina con domanda, proposta nei confronti di A.L. e A., volta al pagamento di differenze retributive.

Le ricorrenti avevano dedotto dinanzi al giudice di primo grado di aver svolto attività di assistenti geriatriche in favore di Ar.

L., madre delle A., rimanendo creditrici delle somme precisate nei conteggi in atti.

Il Tribunale di Latina accoglieva parzialmente la domanda, riconoscendo, in via equitativa, la somma di Euro 5500,00 alla G., e di Euro 4500,00 alla T., respingendo, in particolare, i capi della domanda relativi alle ferie non godute, alle prestazioni straordinarie, ai riposi settimanali ed alle festività lavorate.

3. Per la cassazione delle suddette sentenze, resa in grado di appello, ricorrono A. e A.L., prospettando sei motivi di ricorso.

In ordine alla sentenza parziale n. 2955 del 2008, le odierne ricorrenti facevano riserva di appello dichiarata a verbale di udienza (v. ricorso).

4. Resistono con controricorso T.A. e G.R..

5. Le ricorrenti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo ed il secondo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e art. 2697 c.c., delle norme del CCNL – personale domestico del 15 luglio 1992 ( art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), nonchè omessa insufficiente e contraddittoria motivazione ( art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Deducono le ricorrenti che i giudici di merito hanno errato nel ritenere le resistenti "assistenti geriatriche", in quanto le stesse non avevano dimostrato nè il possesso del necessario diploma o attestato professionale, nè piena autonomia e responsabilità, o specifica elevata competenza professionale.

Il primo ed il secondo motivo di impugnazione sono trattati nel ricorso congiuntamente.

Con gli stessi, da un lato si prospetta il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, , in relazione all’art. 115 c.p.c. e art. 2697 c.c., nonchè delle norme del CCNL Personale domestico 15 luglio 1992; dall’altro il vizio di omessa insufficiente e contraddittoria motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Le censure delle ricorrenti, che si articolano attraverso una lunga prospettazione delle vicende di causa attraverso la lettura, offerta dalle stesse, delle testimonianze escusse nel corso del giudizio, che diviene ragione della dedotta violazione di legge, in sintesi possono essere ricondotte alle seguenti critiche:

errato inquadramento delle resistenti nella 1^ categoria del suddetto CCNL (mancanza di autonomia, responsabilità e specifica competenza professionale), in presenza di un’attività riconducibile alla 2^ categoria, del citato CCNL, con la conseguente deduzione della sussistenza di differenze retributive, non essendo a ciò sufficiente la somministrazione di farmaci, peraltro non provata;

erronea valutazione delle risultanze istruttorie in ragione del prevalente valore probatorio attribuito, in particolare, alle dichiarazioni del teste Cosimo Palombella e del teste Te., rispetto a quelle di altri testi, C.C., B.A., C.A., e dunque mancato rispetto del principio dell’onere della prova in ordine alle pretese delle resistenti, nonchè mancata indicazione dei criteri seguiti dal giudice di primo e di secondo grado per la formazione del proprio convincimento.

1.1. I suddetti motivi, che in ragione della loro connessione vanno trattati congiuntamente, non sono fondati.

Occorre, rilevare, in primo luogo, che la Corte d’Appello, con la sentenza parziale, rigettava l’appello incidentale delle A. volto a censurare la mancata declaratoria si carenza di legittimazione passiva delle stesse, poichè il rapporto di lavoro in questione si sarebbe instaurato e perfezionato con la loro genitrice.

Il giudice di secondo grado statuiva che nel corso dell’istruttoria espletata era emerso che la Ar. era gravemente ammalata, non deambulante, non vedente e sottoposta ciclicamente a dialisi, con la conseguenza che era stato necessario organizzare un turno di assistenza continuo.

In tale situazione, dunque, affermava la Corte d’Appello, appariva non plausibile l’ipotesi che la stessa Ar. avesse provveduto autonomamente a ricercare e ad assumere il personale necessario, nè, peraltro, aveva valore determinante il rilascio della procura in favore delle A., in quanto tale qualità non risultava spesa nei rapporti con i terzi.

Alla riserva di appello in ordine alla sentenza parziale, non è seguita la formulazione di motivi di impugnazione sulla statuizione relativa alla legittimazione passiva delle odierne ricorrenti, e dunque sulle ragioni che la determinavano, sopra riportate, e pertanto sulla stessa, comprensiva del decisum e della ratio decidendi, si è formato il c.d. giudicato interno.

Ed infatti, il giudicato riguarda non solo l’attribuzione del bene della vita ma anche tutte le premesse in fatto e in diritto poste a fondamento della pronuncia, con la conseguenza che, divenuto incontestabile l’accertamento di tali premesse, lo stesso non può più essere rimesso in discussione con l’impugnazione degli altri capi di condanna, essendo al riguardo ogni questione preclusa (cfr.;

Cass. n. 15508 del 2011).

Occorre ricordare che in tema di valutazione delle prove, nel nostro ordinamento, fondato sul principio del libero convincimento del giudice, non esiste una gerarchia di efficacia delle prove, per cui i risultati di talune di esse debbano necessariamente prevalere nei confronti di altri dati probatori, essendo rimessa la valutazione delle prove al prudente apprezzamento del giudice (Cass., n. 9245 del 2007).

Sotto altro profilo, detta censura, che non si specifica, peraltro, come richiesto anche in ordine al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, in un momento di sintesi del motivo ex art. 366 bis c.p.c. (Cass., S.U. n. 20603 del 2007), concernendo la valutazione della prova assunta, involge, in realtà, la valutazione di specifiche questioni di fatto.

La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento e di dare adeguata contezza dell’iter logico – argomentativo seguito per giungere ad una determinata conclusione. Ne consegue che il preteso vizio della motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della stessa, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato o insufficiente esame di punti "decisivi" della controversia, ovvero quando esista insanabile contrasto fra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione (ex multis, Cass. n. 1754 del 2007). In altri termini, il controllo di logicità del giudizio di fatto – consentito al giudice di legittimità – non equivale alla revisione del "ragionamento decisorio", ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata: invero una revisione siffatta si risolverebbe, sostanzialmente, in una nuova formulazione del giudizio di fatto, riservato al giudice del merito, e risulterebbe affatto estranea alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità il quale deve limitarsi a verificare se siano stati dal ricorrente denunciati specificamente – ed esistano effettivamente – vizi (quali, nel caso di specie, la carente, insufficiente o contraddittoria motivazione) che, per quanto si è detto, siano deducibili in sede di legittimità.

Nella specie, in ragione, alla luce dei principi sopra richiamati, del giudicato formatosi e della conseguente coerente motivazione della Corte d’Appello, la censura si traduce nella richiesta di un riesame del merito della controversia, in particolare attraverso una nuova valutazione delle risultanze istruttorie, non ammissibile in sede di legittimità, tenuto conto, altresì che le ricorrenti, riproducono le testimonianze non integralmente, ma con una personale scomposizione e ricomposizione delle stesse.

Ed infatti la Corte d’Appello, sulla premessa che la Ar. era non vedente e non deambulante (v. sopra giudicato interno), e dunque non poteva rimanere priva del necessario sostegno nella propria abitazione, riteneva, dunque con congrua motivazione, che nell’avvicendarsi, le odierne resistenti dessero un’assistenza continua nell’arco delle ventiquattro ore alla Ar. stessa, con la conseguenza che era acclarata la natura dell’attività espletata e l’orario di lavoro e la frequenza settimanale della prestazione.

Peraltro, come già affermato, il giudizio sull’attendibilità dei testi non impone al giudice di discutere e valutare ogni singolo elemento, o di confutare ogni deduzione difensiva, che devono ritenersi disattese per implicito (Cass., n. 6023 del 2009).

Le ricorrenti, altresì, non riproducono integralmente il testo delle deposizioni testimoniali che assumono non considerate o insufficientemente considerate dal giudice del merito, ma solo degli stralci delle stesse, ordinati secondo una propria successione di coerenza logica. Non si è in presenza, di conseguenza, di una denuncia di vizio di motivazione, ma dell’inammissibile richiesta al giudice di legittimità perchè esamini il contenuto delle dichiarazioni dei testimoni e verifichi l’esistenza di farti decisivi sui quali la motivazione sarebbe mancata, ovvero sarebbe stata insufficiente o illogica.

In ordine alle censure relative al prospettato inquadramento, occorre rilevare che con corretta e congrua motivazione, per le ragioni sopra esposte, in ragione dell’attività di assistenza prestata, il giudice di appello, nell’applicare il CCNL ha fatto applicazione del principio secondo cui la giusta retribuzione spettante al lavoratore, ai sensi dell’art. 36 Cost., deve essere individuata nei minimi retributivi stabiliti per ciascuna qualifica dalla contrattazione collettiva, i quali devono applicarsi necessariamente, indipendentemente dall’iscrizione o meno del datore di lavoro ad un’associazione sindacale stipulante, ed anche nel caso si tratti di imprese di non rilevanti dimensioni, ove non sussista una separata contrattazione collettiva.

2. Anche il terzo ed il quarto motivo d’impugnazione, proposti in via subordinata, sono trattati congiuntamente in ricorso.

Con il primo si prospetta violazione e falsa applicazione dell’art. 432 c.p.c.(art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Con il secondo omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla ritenuta inapplicabilità dell’art. 432 c.p.c..

Erroneamente, la Corte di cassazione ha illegittimamente ritenuto insussistenti, nel caso in esame, gli estremi per la liquidazione equitativa delle prestazioni, come adottata in primo grado, che aveva considerato carenti di prova le domande relative al mancato godimento delle ferie, allo svolgimento dell’attività lavorativa straordinaria, al mancato godimento dei riposi settim li e la mancata corresponsione delle somme aggiuntive per maggiorazioni festività lavorate. Le ricorrenti pongono a sostegno di tali censure le vicende di causa come a loro avviso risultanti dalle prove testimoniali espletate, assumendo la prevalenza di quanto riferito, in particolare, dai testi R.A., B.A., C. A., rispetto al teste Te.Cu., al teste Q., circa le modalità di accompagnamento della Ar. in ospedale per la dialisi, nonchè il lavoro domenicale, l’orario di lavoro e le ferie, lo straordinario, che evidenziava la carenza di prova, il cui onere gravava sulle odierne resistenti, e andava esaurito in modo rigoroso.

2.1. I suddetti motivi, che devono essere esaminati insieme in ragione della loro connessione, non sono fondati.

Occorre premettere che la liquidazione in via equitativa costituisce eccezione, in quanto nel rito del lavoro il potere, conferito al giudice dall’art. 432 c.p.c., di liquidare con valutazione equitativa la somma dovuta al lavoratore quando sia certo il relativo diritto, può essere esercitato soltanto nell’ipotesi in cui sia individuata, con adeguata e corretta motivazione, l’obiettiva impossibilità di una determinazione certa dell’importo della somma dovuta alla stregua degli elementi acquisiti al processo. Nell’esercizio di tale potere discrezionale il giudice è tenuto a dare congrua ragione del processo logico attraverso il quale perviene alla liquidazione del "quantum debeatur", indicando i criteri oggettivi assunti a base del procedimento valutativo (cfr., Cass. n. 10401 del 2009).

La Corte d’Appello, con motivazione che si sottrae a censura facendo corretta applicazione della suddetta disposizione, rilevava che nella specie non era ravvisabile l’impossibilità di una determinazione certa dell’importo della somma dovuta alla stregua degli elementi contrattuali acquisiti al processo, in quanto i conteggi, come riformulati in corso di causa, erano stati redatti secondo le previsioni del CCNL di categoria, al quale, nel contestare le mansioni svolte dalle resistenti, facevano comunque riferimento le A..

Occorre, inoltre, richiamare quanto già sopra detto circa la mancanza, nel nostro ordinamento, fondato sul principio del libero convincimento del giudice, di una gerarchia di efficacia delle prove.

Anche il suddetto vizio di motivazione, che, senza essere assistito da un momento di sintesi, prospetta una propria ricostruzione dei fatti, si traduce nella richiesta di un riesame nel merito della vicenda, non ammissibile in sede di legittimità. 3. In via subordinata, le ricorrenti deducono altri due motivi di impugnazione, il quinto ed il sesto, anch’essi trattati congiuntamente.

Con il quinto è dedotta la violazione e falsa applicazione delle disposizioni di cui all’art. 116 c.p.c. e art. 2697 c.c..

Con il sesto è prospettata omessa e insufficiente motivazione sulla valutazione degli elementi probatori forniti dalle attuali resistenti ed acquisiti in giudizio, in relazione ai capi dei ricorsi avversi rigettati in primo grado.

Erroneamente la Corte d’Appello riteneva provate le circostanze poste alla base delle richieste avanzate dalle controparti e rigettate dal giudice di primo grado.

3.1. I suddetti motivi non sono fondati.

Nel richiamare quanto affermato con riguardo ai motivi già esaminati, occorre rilevare che il vizio di violazione di legge è determinato, nella prospettazione di parte ricorrente, dalla sussistenza di un vizio di motivazione in ordine alla ritenuta prova delle domande delle resistenti. Tale censura, come i vizi di motivazione già trattati, è proposta senza la specificazione in un momento di sintesi ed è fondata su una rilettura delle risultanze istruttorie, testimonianze rese nel corso del processo, con l’attribuzione alle stesse di una propria prevalenza, che si traduce nel sollecito di una valutazione di merito ex uovo di questa Corte, che esula, in quanto tale, dal giudizio di legittimità. 4. Il ricorso, pertanto deve essere rigettato.

5. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna le ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro tremila per onorario, Euro 50,00 per esborsi, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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