Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 08-03-2012, n. 3628 Lavoro subordinato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato in data 21/9/06 Z.G. proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Sondrio depositata in data 12 novembre 2005, la quale aveva respinto le proprie domande, nei confronti della FIC S.p.A., volte all’accertamento dell’illegittimità del licenziamento, alla corresponsione dell’indennità supplementare e dell’indennità per mancato preavviso, nonchè al risarcimento del danno dovuto per mancato preavviso, oltre al risarcimento del danno per licenziamento ingiurioso, per demansionamento, per lesione dell’immagine, della reputazione e dell’onorabilità. La sentenza aveva invece parzialmente accolto la domanda relativa al fringe benefit.

L’appellante chiedeva la riforma della sentenza impugnata, lamentando l’errata interpretazione della nozione di giustificatezza del licenziamento del dirigente ed il travisamento da parte del Giudice di primo grado di tutte le risultanze probatorie, le quali invece – secondo lo Z. – dimostravano la fondatezza delle ragioni avanzate in prime cure.

Si costituiva la FIC S.p.A., insistendo per il rigetto dell’appello e per la conseguente conferma della sentenza impugnata.

Con sentenza del 19 ottobre-20 dicembre 2007, l’adita Corte d’appello di Milano rigettava il gravame.

A sostegno della decisione osservava che, nella specie, non si riscontrava alcun elemento tale da indurre a qualificare il licenziamento pretestuoso od arbitrario, nè tantomeno contrario ai principi di correttezza e buona fede; sicchè, alla luce della consolidata giurisprudenza di legittimità, doveva escludersi l’ingiustificatezza del recesso, da ricollegarsi, invece, alla volontà imprenditoriale di riorganizzare la società.

Nè spettava al ricorrente il richiesto risarcimento danno derivante dal demansionamento, in difetto di elementi da cui potesse emergere la prova del danno.

Analogamente non poteva accogliersi la richiesta risarcitoria del danno da licenziamento ingiurioso, avendo lo Z. omesso di allegare elementi di fatto occorrenti per dimostrare sia nell’an che nel quantum il relativo danno.

Infondata era altresì la domanda concernente il danno dovuto alla mancata effettuazione del periodo di preavviso, mentre in ordine alla quantificazione del fringe benefit nessun elemento era stato fornito che inficiasse la determinazione del Giudice di primo grado.

Per la cassazione di tale pronuncia ricorre lo Z. con cinque motivi.

Resiste la società FIC con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso Z.G., denunciando violazione e falsa applicazione da parte della Corte territoriale dell’art. 41 Cost., comma 2, degli artt. 1362, 1369, 1371, 1375, cod. civ. e degli artt. 19 e 22 del CCNL, 23 maggio 2000, per i dirigenti aziende industriali (art. 360 c.p.c., n. 3), lamenta che: "La Corte territoriale confonde l’oggetto del sindacato giudiziale: che non può consistere nell’analisi delle scelte strategiche del datore di lavoro, ma nel vaglio della loro congruenza e del loro carattere reale rispetto al motivo della lettera di licenziamento"; ed, ancora, che il corretto approccio alla verifica della giustificatezza dei recesso doveva realizzarsi mediante "la verifica della effettività e veridicità del motivo contenuto nella lettera di licenziamento".

Il motivo, così sinteticamente esposto, è infondato.

Il licenziamento – come risulta dalla lettera inviata al ricorrente – è stato motivato sulla base di un tasso di perdita del fatturato pari al 9,4% nel quadriennio e con la conseguente intenzione della Società di sopprimere la posizione lavorativa ricoperta dal signor Z., in un’ottica di riduzione dei costi e di razionalizzazione delle risorse.

A fronte delle suddette circostanze, provate all’esito dell’istruttoria di primo grado, la Corte di Appello di Milano ha osservato che dalle risultanze probatorie e dalle allegazioni documentali era emersa pacificamente la volontà imprenditoriale di riorganizzare la società.

Pertanto, il licenziamento dell’appellante non risultava affatto ingiustificato, tale potendosi considerare solo il licenziamento sorretto da un motivo che si dimostrasse pretestuoso e non corrispondente a realtà, ovvero tale che la sua ragione dovesse essere rinvenuta unicamente nell’intento del datore di lavoro di liberarsi della persona del dirigente e non in quello di perseguire il legittimo esercizio del potere riservato all’imprenditore di riorganizzare le risorse umane In modo da consentire una gestione non in perdita dell’azienda.

Da tale argomentazione della sentenza emerge chiaramente che la valutazione della Corte sulla mancanza di pretestuosità ed arbitrarietà del licenziamento per cui è causa si è incentrata sulla riscontrata corrispondenza al vero della motivazione addotta dalla società in sede di recesso.

La Corte territoriale, d’altronde, si è diligentemente attenuta al constante orientamento giurisprudenziale in siffatta materia, per il quale, in materia di rapporto di lavoro dei dirigenti d’azienda, l’indennità supplementare di cui all’art. 19 del CCNL dei dirigenti di aziende industriali del 27 aprile 1995 compete al dirigente licenziato solo nei casi in cui il recesso non sia assistito da giustificatezza, che può fondarsi sia su ragioni soggettive ascrivibili al dirigente, sia su ragioni oggettive concernenti esigenze di riorganizzazione aziendale, che non debbano necessariamente coincidere con l’impossibilità della continuazione dal rapporto o con una situazione di grave crisi aziendale, tale da rendere impossibile o particolarmente onerosa detta continuazione, dato che il principio di correttezza e buona fede, che costituisce il parametro su cui misurare la legittimità del licenziamento, deve essere coordinato con la libertà di iniziativa economica, garantita dall’art. 41 Cost. (Cass. n. 16498/2009).

Con il secondo motivo il ricorrente, denunciando contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per l’accertamento della giustificatezza del licenziamento (art. 360 c.p.c., n. 5), sostiene che la Corte d’appello sarebbe incorsa in detto vizio laddove ha affermato che "non può il Giudicante di merito sostenere che gli elementi probatori, se pur provati sono inidonei a sorreggere l’ingiustificatezza del recesso datoriale e, contemporaneamente, attribuire agli stessi quel valore negativo e decisivo".

Il motivo è privo di fondamento.

Invero, diversamente da quanto assunto dal ricorrente, la Corte ha precisato che l’articolato ricorso proposto dallo Z. mirava a dimostrare elementi che, anche, se provati, non avrebbero sorretto comunque l’ingiustificatezza del recesso, essendo le doglianze avanzate dall’appellante in realtà più idonee a sorreggere un ricorso avverso un licenziamento per giustificato motivo oggettivo di un lavoratore non dirigente, piuttosto che un gravame volto a contrastare la giustificatezza del licenziamento di un dirigente, stante la differenza dei presupposti posti a base delle due ipotesi di recesso. Pertanto – prosegue correttamente la Corte territoriale – in merito al licenziamento del dirigente, da un lato, la crisi aziendale non deve necessariamente coincidere con l’impossibilità della continuazione del rapporto di lavoro e, dall’altro, il giudice non può comunque valutare le politiche aziendali rispetto ai livelli più alti della gestione dell’impresa, se non sotto i profili della pretestuosità ed arbitrarietà, profili questi che tuttavia l’appellante, nella specie, aveva omesso di provare.

Anche avuto riguardo al motivo in esame, pertanto, appare evidente che, con esso, il ricorrente in realtà propone un riesame dei fatti di causa ed una nuova valutazione del merito a sè favorevole, inammissibile in sede di legittimità.

Con il terzo ed il quarto motivo il ricorrente denuncia insufficiente motivazione della sentenza circa un fatto controverso e decisivo per l’accertamento della ingiusticatezza del licenziamento (art. 360 c.p.c., n. 5).

Secondo il ricorrente, la Corte avrebbe omesso di confutare le specifiche censure proposte con i motivi di gravame, non indicando quali tra gli elementi probatori sottoposti al suo vaglio dall’appellante (anche mediante istanza ex art. 210 c.p.c.) sarebbero stati ritenuti irrilevanti al fine dell’adottata decisione.

Entrambi i motivi non possono essere condivisi.

Invero, per costante giurisprudenza, il Giudice del merito non è tenuto a valutare analiticamente tutte le risultanze processuali nè a confutare singolarmente le argomentazioni prospettate dalle parti.

E’ sufficiente, infatti, che dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l’iter seguito nella valutazione degli stessi e per le proprie conclusioni, implicitamente disattendendo quelli logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. n. 8767/11, n. 24331/07 e n. 18939/07); ciò che, nella specie, si è verificato.

Peraltro, va rilevato che in relazione alla dedotta omessa valutazione delle testimonianze il ricorrente non ne riporta il contenuto, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione (Cass. n. 4205/2010).

Con il quinto motivo, infine, il ricorrente, denunciando insufficiente motivazione della sentenza impugnata circa un fatto controverso e decisivo per l’accertamento della quantificazione dei fringe benefits (art. 360 c.p.c., n. 5), lamenta che il Giudice d’appello non avrebbe preso in considerazione le doglianze sollevate dall’appellante in merito a presunti "errori aritmetici" in cui sarebbe incorso il Giudice di prime cure nella quantificazione delle spettanze liquidate per il suddetto titolo.

Il motivo è infondato, poichè, con la "formula" degli "errori aritmetici nel conteggio" il ricorrente ripropone la propria quantificazione dei valori dei singoli fringe benefits diversa da quella operata dal Giudice di primo grado correttamente non accolta dalla Corte d’appello in assenza di adeguate allegazioni a fondamento.

Per quanto precede il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese di questo giudizio, liquidate in Euro 50,00 oltre Euro 3.000,00 per onorari ed oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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