Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Con l’appello in esame, la società S. Costruzioni s.r.l. impugna la sentenza 2 aprile 2004 n. 922, con la quale il TAR per il Veneto, sez. II, in accoglimento del ricorso proposto dai signori M. E. M. e S. L., ha annullato la concessione edilizia 1318 ottobre 1999 n. 21599, rilasciata dal Comune di Verona al sig. Felice Lavagnoli, cui essa è subentrata, per la realizzazione di una palazzina di nove unità abitative.
La sentenza appellata, onde giungere all’annullamento della concessione edilizia, ha affermato:
– l’altezza del fabbricato, ricavabile dalle tavole progettuali, è pari a m. 15,45, per cui, detratti i 40 cm. ex l. reg. n. 21/1996, l’altezza totale supera il limite massimo di altezza previsto per la zona (m. 15);
– ai sensi dell’art. 10 delle N.T.A., l’indice di edificabilità fondiaria è dato dal rapporto tra la superficie netta del lotto ed il volume costruiibile e, a tali fini, "la superficie da considerare è quella relativa alle sole aree destinate all’edificazione, escluse quelle destinate alla formazione di strade, piazze, spazi pubblici e servizi comuni", di modo che, nel caso di specie, "dalla superficie del lotto… andavano detratti gli spazi destinati a verde e parcheggio pubblico", nella misura effettivamente progettata (mq. 174) e non in quella risultante dalle tavole (mq. 146);
– l’art. 10, nono comma, NTA "intende chiaramente consentire lo scomputo dei volumi relativi ai porticati soltanto nelle ipotesi in cui agi stessi sia stato impresso un uso pubblico o collettivo, con ciò intendendo fare riferimento a un uso generalizzato del porticato e non riservato a un numero limitato di soggetti". Ne consegue che non è sufficiente ad ottenere lo scomputo dei volumi dei porticati un atto formale costitutivo del vincolo del porticato ad uso collettivo dei condomini "con ciò palesemente limitando ad un gruppo determinato di soggetti l’utilizzo del porticato".
Avverso tale decisione, vengono proposti i seguenti motivi di appello:
a) error in iudicando, in quanto il Tribunale ha calcolato l’altezza complessiva del fabbricato comprendendo m. 0,30 (misura che si riferisce allo spessore dell’ultimo solaio dell’edificio), laddove, ai sensi dell’art. 14 NTA "l’altezza urbanisticamente rilevante va misurata dal piano di calpestio della strada fino alla linea di intersezione della facciata con il piano di posa del tetto", e, nel caso di specie, "non può essere calcolato per intero lo spessore di cm. 0,30 dell’ultimo solaio dell’edificio in quanto eccedente (di cm. 0,5) rispetto alla linea di intersezione della facciata con il piano di posa del tetto dell’edificio";
b) error in iudicando, poiché, ritenendo che "il Comune avrebbe dovuto tenere conto non delle superfici previste dal PRG ma di quelle effettivamente destinate a verde e parcheggio nel progetto assentito", il Tribunale "ha evidentemente scambiato una scelta progettuale per un obbligo", non previsto dalle disposizioni urbanistiche ed edilizie del Comune di Verona;
c) error in iudicando, poiché l’interpretazione in ordine alla computabilità dei volumi dei porticati, se destinati ad uso della collettività, contrasta con il tenore letterale dell’art. 10 NTA. Nel caso di specie, "il portico in esame, ubicato al piano terreno dell’edificio, costituito da una struttura aperta sostenuta da pilastri, ha una funzione chiaramente collettiva in quanto è destinato ad assolvere la funzione di proteggere gli accessi all’edificio dagli agenti atmosferici: esso non costituisce ampliamento delle superfici abitabili, avendo esclusivamente destinazione pertinenziale".
Il Comune di Verona ha proposto appello incidentale, proponendo i seguenti motivi:
d) error in iudicando, poiché "non si condivide il computo dell’altezza effettuato dal Tribunale, che è stata misurata all’estradosso dell’ultimo solaio". Ed infatti, in applicazione dell’art. 14 NTA, dall’altezza di m. 15,35 "va detratto il dislivello dato dalla misura della larghezza del muro perimetrale (cm. 40) per la pendenza dell’intradosso del solaio di copertura", pari a 12 cm, così pervenendo – detratti i cm. 40 ex l. reg. n. 21/1996 – ad una altezza definitiva di m. 14,93, inferiore al limite di zona;
e) error in iudicando, poichè "della libera scelta progettuale di destinare superfici maggiori a verde e parcheggi… il Comune di Verona non ha ovviamente tenuto conto ai fini dell’art. 10 (NTA), per la parte eccedente gli obblighi previsti in sede di piani attuativi". Peraltro, il Comune di Verona, nonostante si fosse in presenza di un intervento diretto, ha comunque richiesto la realizzazione, interna al lotto, di verde e parcheggi, calcolati secondo gli standards previsti in ipotesi di piani attuativi;
f) error in iudicando, poiché il Tribunale ha accolto la tesi della non computabilità dei volumi del portico "sostanzialmente equiparando il concetto di uso pubblico ed uso collettivo… entrambi considerati come utilizzo di un numero indeterminato di soggetti", laddove "l’avere indicato accanto all’uso pubblico quello collettivo, lungi dal costituire una mera tautologia, indica che gli spazi considerati dalla norma non sono solo quelli destinati all’uso generalizzato ma… anche quelli (come del resto i cortili interni) riservati ad una collettività determinata".
Hanno altresì proposto appello incidentale le signore M. e S., parte vincitrice in I grado, le quali, dopo avere controdedotto in ordine all’appello, hanno proposto i seguenti motivi di gravame, avverso i capi della sentenza inerenti il rigetto dei motivi (diversi da quelli accolti), proposti in I grado.
g) illogicità della motivazione della sentenza di I grado; violazione dell’art. 9 del Regolamento e delle NTA del vigente PRG e delle norme previste per la zona 15, nonché dell’art. 9 D.M. n. 1444/1968 in materia di distanze; violazione della medesima norma in rel. all’art. 17 l. n. 765/1967, da parte del PRG di Verona; eccesso di potere per difetto di istruttoria; ciò in quanto l’art. 9 NTA (secondo il quale le distanze dai confini che non siano cigli stradali, deve essere tale da garantire un distacco tra fabbricati almeno pari all’altezza del fabbricato più alto e, in ogni caso, non deve essere minore di quella minima stabilita per le varie zone) trova applicazione anche nel caso di specie, poiché "la capacità edificatoria, così come i limiti edificatori in tema di distanze, trovano espressa disciplina nella normativa prevista per le singole zone a prescindere dal procedimento con cui si giunge all’edificazione". Infatti, la deroga consentita dalla legge regionale (intervento diretto in luogo del piano attuativo), non può estendersi alla disciplina sostanziale. In ogni caso, le distanze non sono in concreto rispettate, nemmeno con riferimento a quanto previsto dall’art. 9 D.M. n. 1444/1968, del quale la sentenza appellata ha erroneamente escluso l’applicazione;
h) violazione art. 14 NTA e dei limiti di altezza previsti per la zona 15 del regolamento e norme per l’attuazione della variante al PRG; illogicità ed omessa pronuncia; in quanto erroneamente la sentenza non ha considerato che, essendo la distanza del costruendo edificio dalla strada inferiore a m. 10 (m. 6,40), l’altezza massima deve essere misurata dal piano di calpestio della strada fino alla linea di intersezione della facciata con il piano di posa del tetto" e, in tal modo, essa è di m. 18,65 (quindi superiore a m. 15). In ogni caso, qualora – come ritenuto dal I giudice – il criterio non fosse applicabile per decadenza del vincolo ad allargamento stradale, allora, applicando la larghezza stradale esistente, l’altezza massima dell’edificio non potrà superare i m. 9,50;
i) errata motivazione; violazione art. 4 del regolamento e norme di attuazione PRG del 1975; in quanto era comunque da applicare (anche in caso di intervento diretto) l’art. 4 NTA che prevede l’obbligo del piano di lottizzazione di contemplare aree destinate a servizi pubblici nella misura comunque non inferiore a 18 mq. per ogni abitante previsto dal piano di lottizzazione;
j) violazione art. 5 l. reg. n. 21/1996, dall’art. 79 l. reg. n. 61/1985; violazione del criterio del giusto procedimento; difetto di istruttoria; poiché è in atti "la prova della tardività della produzione", di modo che "la commissione edilizia ha espresso parere favorevole… prima di aver potuto visionare la relazione tecnica";
k) difetto ed illogicità della motivazione in relazione alla censura di eccesso di potere per carenza di motivazione; travisamento dei fatti; violazione della normativa prevista per la zona 15; violazione art. 41quinquies l. n. 1150/1942 e della l. reg. n. 61/1985; eccesso di potere; illogicità manifesta; ciò in quanto "l’area non può considerarsi urbanizzata", né il Comune di Verona ha effettuato verifiche o valutazioni "sullo stato di urbanizzazione e soprattutto su dove graverà l’ulteriore carico urbanistico del complesso".
All’odierna udienza, la causa è stata riservata in decisione.
Motivi della decisione
Gli appelli proposti dalla soc. S. Costruzioni e dal Comune di Verona sono fondati e devono essere, pertanto, entrambi accolti.
Quanto al primo motivo di appello, il Collegio osserva, per un verso, cha appare fondata l’argomentazione del Comune di Verona, in ordine al corretto computo dell’altezza dell’edificio (di modo che, per effetto di tale computo, lo stesso non supererebbe l’altezza massima). Per altro verso, occorre rilevare che i "metodi" di misurazione variamente articolati dalle parti portano, nell’ipotesi peggiore, a superare l’altezza massima di 5 cm.
Appare del tutto evidente come – anche a volere ritenere sussistente tale superamento- lo stesso, stante la sua esiguità, possibilmente dovuta a meri errori di interpretazione della norma o di redazione progettuale – non può ex se sorreggere l’annullamento di una concessione edilizia, ben potendo esso motivare una lieve modifica del progetto, ovvero l’adozione di una prescrizione aggiuntiva (nel senso di pervenire ad una lieve diminuzione dell’altezza) al titolo autorizzatorio edilizio.
Quanto al secondo motivo, il Collegio ritiene che gli standard che il Comune deve considerare, in sede di rilascio della concessione edilizia, sono quelli previsti per l’ipotesi di pianificazione attuativa del PRG, a nulla rilevando che il privato abbia destinato a verde e parcheggi una superficie maggiore di quella prescritta. In altre parole, una scelta del privato volta a migliorare gli standard prescritti non può risolversi in suo pregiudizio, conseguendone (per effetto dello scomputo di una superficie maggiore da quella utilizzabile) una minore volumetria realizzabile.
Né, d’altra parte, la sentenza appellata fornisce una particolare motivazione in ordine alle ragioni che hanno indotto a ritenere preferibile la diversa, e non condivisibile, interpretazione.
Quanto al terzo motivo, il Collegio rileva che non può essere condivisa l’interpretazione offerta dalla sentenza appellata, in quanto essa, a fronte dell’art. 10 NTA che prevede la detraibilità dal calcolo del volume dei "portici destinati ad uso pubblico o collettivo", conclude che l’uso collettivo deve essere inteso come "uso comune ad un numero indeterminato di soggetti".
In tal modo, però, i concetti di "uso collettivo" e di "uso pubblico" tendono a sovrapporsi e confondersi, posto che anche l’uso "pubblico" (a meno che non lo si voglia intendere come uso "da parte di soggetti pubblici") è un uso "comune ad un numero indeterminato di soggetti".
Appare, invece, più ragionevole ritenere che il volume dei porticati possa essere scomputato sia quando degli stessi è previsto (attraverso vincolo giuridicamente assunto ed efficace) un uso "pubblico", inteso come utilizzo da parte della comunità indifferenziata, sia quando ne sia previsto un uso "collettivo", cioè da parte di u nucleo determinato di soggetti, in modo tale da escluderne la riferibilità ad un unico soggetto proprietario, possessore o comunque giuridicamente legittimato ad usufruirne in via esclusiva.
Per le ragioni esposte, gli appelli devono essere accolti, con conseguente riforma della sentenza appellata.
L’accoglimento degli appelli comporta, di necessità, l’esame dell’appello incidentale, proposto dalle signore M. e S., parte vittoriosa in I grado.
Orbene, il Collegio ritiene che l’appello incidentale debba essere accolto, in relazione ai motivi sub g) ed i) dell’esposizione in fatto.
L’art. 109 della legge regionale Veneto 27 giugno 1985 n. 61 (successivamente abrogato dalla l. reg. 23 aprile 2004 n. 11), prevede, quanto agli "interventi su singoli immobili", che "sono sempre ammessi, anche in assenza degli strumenti urbanistici attuativi preventivamente richiesti dai vigenti strumenti urbanistici generali, gli interventi singoli o di Comparto, di cui al penultimo comma dell’ art 9, in attuazione diretta del Piano Regolatore Generale".
Quanto al penultimo comma dell’art. 9, questo prevede che "sono in ogni caso da ritenere ammissibili in diretta attuazione del Piano Regolatore Generale gli interventi sul patrimonio edilizio esistente, di cui alle lettere a), b), c) e d), dell’art. 31 della L. 5 agosto 1978, n. 457, e quelli di completamento su parti del territorio già dotate delle principali opere di urbanizzazione primaria e secondaria.".
In sostanza, la legge prevede che, nell’ambito delle parti del territorio già dotate delle principali opere di urbanizzazione primaria e secondaria, gli interventi edilizi possano essere assentiti direttamente, anche senza la necessità del previo strumento urbanistico attuativo.
Ciò significa che il titolo autorizzatorio non è condizionato dalla previa adozione del piano particolareggiato (o altro strumento urbanistico attuativo), ma che, ovviamente, ai fini dell’assentibilità dell’intervento, quest’ultimo deve essere coerente con le prescrizioni previste dal Piano regolatore generale e dalle NTA, ivi comprese quelle che presuppongono l’adozione dello strumento attuativo.
In altre parole, la legge regionale, a fronte di aree urbanizzate, consente una semplificazione procedimentale, ma non permette, al tempo stesso, di prescindere da tutte le prescrizioni applicabili all’area interessata, anche perché, diversamente opinando, il rilascio della concessione edilizia in via diretta per singolo intervento per un verso non avrebbe parametri certi di riferimento, per altro verso comporterebbe una discrezionalità amplissima (ed irragionevole) dell’amministrazione.
In definitiva, una diversa interpretazione frustrerebbe le finalità stesse del Piano Regolatore, come enunciate dall’art. 9 della l. reg. n. 61/1985, che, nel definire (comma secondo, n. 3, lett. b), le zone di completamento, prevede che debbano ivi essere disciplinati gli interventi "rivolti alla realizzazione di nuove opere, su parte del territorio già parzialmente edificate da disciplinare con specifiche prescrizioni relative agli allineamenti, alle altezze massime, ai distacchi, alle tipologie, alle caratteristiche plani volumetriche degli edifici"; in definitiva ricorrendo a standard cui occorre assicurare rispetto in sede di assenso degli interventi.
Da quanto esposto, consegue la fondatezza dei motivi dell’appello incidentale sub g) ed i), con conseguente accoglimento del ricorso proposto in I grado (assorbiti gli ulteriori motivi), in quanto devono trovare applicazione, nel caso di specie, gli articoli 9 e 4 delle NTA del piano regolatore, con la conseguente applicazione, anche nel caso di singolo progetto direttamente assentito, gli standard ivi previsti.
Alla luce di quanto sin qui esposto, il Collegio, in accoglimento degli appelli proposti dalla soc. S. Costruzioni s.r.l. e dal Comune di Verona, riforma la sentenza appellata e, in accoglimento dell’appello incidentale, accoglie il ricorso proposto in I grado dalle signore M. M. E. e S. L., e, per l’effetto, annulla la concessione edilizia 13 – 18 ottobre 1999 n. 21599, rilasciata dal Comune di Verona.
Sussistono giuste ragioni per compensare tra le parti spese, diritti ed onorari del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando sull’appello proposto da S. Costruzioni s.r.l. (n. 7026/2004 r.g.):
a) accoglie l’appello e l’appello incidentale proposto dal Comune di Verona;
b) accoglie l’appello incidentale proposto da M. M. E. e S. L.;
c) in riforma della sentenza appellata, accoglie, in relazione a diversi motivi, il ricorso proposto in I grado dalle signore M. e S. e, per l’effetto, annulla l’atto impugnato;
d) compensa tra le parti spese, diritti ed onorari del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
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