Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 18-05-2011) 06-10-2011, n. 36284

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il Tribunale di Catania con ordinanza del 16.7.2010 – in parziale accoglimento della richiesta di riesame, proposta nell’interesse di S.R., avverso il provvedimento del 14.6.2010 con cui il G.I.P. di quello stesso Tribunale aveva applicato all’indagato la misura della custodia cautelare in carcere in relazione ai reati di cui all’art. 416 cod. pen. (partecipazione ad un’associazione per delinquere finalizzata alla commissione di più delitti di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione) ed alla L. n. 75 del 1958, artt. 3 e 4 (sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione continuato ed aggravato) – sostituiva la misura custodiate con quella dell’obbligo di presentazione alla P.G..

Il Tribunale ravvisava l’esistenza dei gravi indizi di colpevolezza rilevando che, dai servizi di videoripresa effettuati dalla P.G. e dalle eseguite intercettazioni ambientali e telefoniche, era emerso che, nel club "Sesto Senso" di (OMISSIS), formalmente istituito per agevolare lo scambio di esperienze sessuali di coppia, si svolgeva in realtà un’attività di favoreggiamento e di sfruttamento della prostituzione esercitata attraverso una stabile struttura organizzata, dotata di mezzi ed attrezzature adeguati allo scopo che si era prefissa e con ripartizione di compiti e ruoli tra gli associati.

Il club, infatti, sotto la copertura dello scambio di rapporti sessuali tra coppie, era invece frequentato in prevalenza da uomini soli, ai quali gli organizzatori dell’attività garantivano la disponibilità di un proporzionato numero di donne che fornivano prestazioni sessuali dietro compenso.

Alle serate organizzate – pubblicizzate pure attraverso inserzioni sul quotidiano "La Sicilia" – partecipavano stabilmente anche alcune coppie, le cui componenti femminili intrattenevano rapporti sessuali con i clienti sotto la vigilanza ed il controllo del marito o compagno. Anche in questi casi, però, le prestazioni sessuali delle donne venivano retribuite dagli organizzatori con parte degli incassi delle serate.

S.R. aveva frequentato abitualmente il locale insieme alla convivente E.M. e, percependo direttamente dei proventi economici, aveva sostanzialmente favorito e sfruttato la prostituzione della convivente medesima.

Il Tribunale riteneva altresì sussistenti esigenze cautelari individuate nel pericolo di reiterazione delle condotte illecite, dedotto dallo stabile inserimento dell’indagato nella struttura organizzativa e dalla pluralità degli episodi accertati.

Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso il difensore dello S., il quale – sotto i profili dell’erronea applicazione della legge penale e della mancanza e manifesta illogicità della motivazione – ha lamentato:

– la insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e la mancata valutazione delle prospettazioni svolte dalla difesa al riguardo.

Il giudice territoriale avrebbe omesso di effettuare un compiuto e razionale inquadramento preliminare del fatto e non avrebbe considerato che l’indagato "non appartiene ad un pericoloso sodalizio criminale, come sostenuto dall’accusa, ma ad una cerchia di soggetti uniti dalla ricerca del piacere e della trasgressione" attraverso la pratica dello "scambio di coppie", diffusa sull’intero territorio nazionale e non illecita anche se criticabile "solo da un punto di vista morale".

L’indagato non ha mai sottoposto la propria compagna ad alcuna coazione, fisica o psicologica, per indurla a comportamenti dalle stessa non voluti, ma ha agito per l’appagamento della "passione comune per lo scambismo", assecondando l’inclinazione della donna;

– l’insussistenza di qualsiasi esigenza cautelare, non potendosi ravvisare il rischio di inquinamento probatorio, nè il pericolo di fuga o di reiterazione dei presunti reati da parte di persona incensurata, non pericolosa e non avvezza al crimine.

II ricorso deve essere rigettato, perchè infondato.

1. Infondate sono anzitutto le doglianze di insussistenza dei "gravi indizi di colpevolezza" che l’art. 273 c.p.p., comma 1 pone quale condizione generale per l’applicazione di misure di cautela personali.

Deve ricordarsi, in proposito, che il concetto di "gravita degli indizi", posto dalla norma richiamata – secondo la costante giurisprudenza di questa Corte – postula un’obiettiva precisione dei singoli elementi indizianti i quali, nel loro complesso, devono consentire di pervenire logicamente ad un giudizio che, senza raggiungere il grado di certezza richiesto per un’affermazione di condanna, sia di alta probabilità dell’esistenza del reato e della sua attribuibilità all’indagato.

In coerenza con tale postulato, nella fattispecie in esame sono stati anzitutto indicati gli elementi di fatto da cui gli indizi sono stati desunti: registrazioni video e plurime conversazioni telefoniche intercettate, dalle quali emerge che sia le coppie sia le donne sole frequentatrici del club venivano pagate dagli organizzatori dell’attività stabilmente svolta nel locale; l’usuale reiterazione di prestazioni sessuali a pagamento; l’esistenza di una videoripresa (quanto alla posizione specifica dello S.) evidenziante la consegna di danaro alla E. da parte di uno dei gestori del club (tale C.L.).

Tali indizi, poi, sono stati valutati dal Tribunale nella loro essenza ed è stato verificato, in particolare, che le acquisizioni accusatorie non risultano inficiate da altri elementi di segno contrario.

Allo stato, infatti, non appaiono idonee ad escluderne la valenza le contrarie argomentazioni del ricorrente rivolte a prospettare la sua mera adesione alla trasgressiva propensione sessuale della propria compagna, sia perchè tale "inclinazione" veniva retribuita, sia perchè non è necessaria alcuna costrizione per l’integrazione dei reati di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione.

Il reato di favoreggiamento della prostituzione comprende qualsiasi attività che faciliti o agevoli la prostituzione di una persona, anche rafforzando psicologicamente la determinazione del meretricio, e può quindi esplicarsi nelle forme più varie. Ne consegue che anche la presenza e la partecipazione dell’indagato alle prestazioni sessuali retribuite della compagna non fa venire meno tale reato, perchè non esclude l’apprestamento di condizioni favorevoli alla persona che si prostituisce ma anzi lo rafforza allargando pure l’ambito dell’attività sessuale dietro compenso a coloro che sono indotti a preferire particolari forme di "convegno a tre" (vedi Cass., sez. m, 21.6.1984, n. 5861).

1. Non meritano altresì accoglimento le doglianze riferite alle ravvisate esigenze cautelari.

Tali esigenze sono state individuate, secondo le previsioni di cui all’art. 274 c.p.p., lett. c), in relazione all’elevata probabilità di reiterazione di analoghe condotte criminose e, nello specifico, l’attualità del pericolo di reiterazione degli abusi appare correttamente correlata, con motivazione logica ed adeguata, alla ripetizione dei fatti ed alla dimostrata propensione dell’indagato al coinvolgimento in vicende del tipo di quella in esame: logicamente, pertanto, il Tribunale ha finalizzato la misura adottata alla costituzione di una remora al ripetersi di illeciti analoghi.

Sul punto devono condividersi le conclusioni alle quali è pervenuta questa 3 Sezione con la sentenza 9.7.2001, n. 34444, secondo le quali l’assenza di pericolosità non può desumersi dalla sola mancanza di precedenti penali, poichè, tenuto conto dell’attuale formulazione dell’art. 274 c.p.p., comma 1, lett. c), la pericolosità ben può essere desunta anche dalla specifica e concreta entità del fatto, dovendosi soltanto escludere che il giudice possa assumere come sintomo di pericolosità il tipo di reato contestato.

Il pericolo di reiterazione del reato può essere desunto dai criteri stabiliti dall’art. 133 cod. pen., tra i quali sono ricompresi le modalità e la gravità del fatto (vedi, tra le decisioni più recenti, Cass., sez. 4, 10.9.2007, il 34271) e sicuramente il legislatore non ha inteso escludere a priori ogni misura cautelare a carico degli imputati o indagati c.d. "primari" e "non avvezzi al crimine". 3. Al rigetto del ricorso segue, per il ricorrente, la condanna al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI’ CASSAZIONE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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