Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 18 novembre 2003 la CELLTECH s.r.l. (ora CELLTECH s.p.a. in liquidazione) evocava, dinanzi al Tribunale di Monza, la M.C. s.r.l. esponendo di avere venduto alla predetta un macchinario utensile per il prezzo di Euro 139.442,82, oltre i.v.a. (per totali Euro, 167.331,38), di cui alla fattura n. (OMISSIS), rimasto parzialmente insoluto per Euro 43.382,38, onde chiedeva la condanna dell’acquirente al pagamento del saldo, con accessori; aggiungeva, inoltre, di avere corrisposto, mediante bonifico dell’11.8.2003, l’importo di Euro 10.329,00 a titolo di "acconto fornitura" che però non le era stata effettuata, per cui chiedeva la condanna della convenuta alla restituzione di detta somma rimasta priva di giustificazione – instauratosi il contraddittorio, nella resistenza della convenuta, la quale eccepiva l’estinzione dell’obbligazione producendo "dichiarazione liberatoria" dell’8.7.2003, proveniente dalla venditrice, con la quale attestava di avere riscosso l’intero importo di cui alla fattura n. (OMISSIS), che però veniva disconosciuta alla udienza di comparizione dal difensore della CELLTECH sia quanto a provenienza sia nel contenuto, ribadita dalla convenuta l’intenzione di avvalersi del documento, prodotta una lettera indirizzata alla M.C. s.r.l. dal (futuro) difensore dell’attrice in cui si asseriva che la scrittura liberatoria era stata rilasciata "in perfetta buona fede" al fine di consentirne l’utilizzo a supporto di una richiesta di finanziamento, il Tribunale adito, rigettava sia la domanda attorea di pagamento del saldo de prezzo, alla luce della predetta quietanza, sia di ripetizione dell’indebito oggettivo, siccome sfornita di prova.
In virtù di rituale appello interposto dalla CELLTECH, con il quale lamentava che il giudice di prime cure avesse ritenuto la fondatezza della eccezione basata sulla dichiarazione liberatoria, relativamente al saldo del prezzo della compravendita, ed il difetto di prova circa la ripetizione dell’indebito oggettivo, la Corte di appello di Milano, nella resistenza della M.C. s.r.l., accoglieva parzialmente il gravame e in riforma della decisione impugnata condannava l’appellata alla corresponsione del saldo del prezzo pari ad Euro 43.382,38.
A sostegno dell’adottata sentenza, la Corte territoriale evidenziava, in ordine all’eccezione di saldo del prezzo, che l’affermata provenienza della quietanza da parte della appellante non comportava valenza vincolante per quanto enunciatovi, non esaurendo ogni indagine, per cui nella fattispecie non poteva imputarsi alla stessa venditrice di avere omesso di provare il carattere parzialmente simulato del contenuto, imponendosi comunque il riscontro della concludenza e veridicità di una dichiarazione siffatta a fronte delle concomitanti, collidenti ammissioni della M.C. s.r.l. in punto di cronologia dei pagamenti, che di per sè sole, in rilevante parte, bastavano a smentire l’apparente portata liberatoria della quietanza prodotta. Aggiungeva che, in conclusione, incombeva alla acquirente dimostrare il pagamento integrale, mentre secondo contingenti convenienze aveva contraddittoriamente assunto ora il suo regolamento ora la pattuizione di un prezzo minore.
Di converso la rinnovata domanda di ripetizione di indebito oggettivo non poteva essere positivamente valutata, stante l’evidenziata carenza probatoria.
Avverso l’indicata sentenza della Corte di Appello di Milano ha proposto ricorso per cassazione la M.C. s.r.l., che risulta articolato su due motivi, al quale ha resistito con controricorso la CELLTECH s.p.a. in liquidazione (già CELLTECH s.r.l.).
Motivi della decisione
Con il primo motivo la ricorrente deduce error in procedendo per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c, nonchè dell’art. 2696 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 ed error in iudicando ex art. 360 c.p.c., n. 5 per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione per non avere la corte di merito fatto applicazione dei principi operanti nel vigente ordinamento processuale in ordine ai fatti allegati da una delle parti e considerati pacifici, in particolare alla luce dell’acquisizione probatoria compiutasi nel corso del giudizio di primo grado che incontrovertibilmente dimostrava l’assoluta fondatezza dell’eccezione di saldo in virtù della più volte richiamata dichiarazione liberatoria dell’8.7.2003 ove la CELLRECH aveva attestato di avere riscosso l’importo di cui al documento fiscale posto a base della domanda originaria. Tutto ciò rendeva ininfluente la presunta prova che il giudice di secondo grado pretende addossare all’attuale ricorrente.
Aggiungeva che lo stesso disconoscimento della quietanza nel corso del giudizio di primo grado era da ritenere strumentale dal momento che con la nota del 20.10,2003 riconosceva di averla rilasciata in favore della M.C.. Il motivo non può essere accolto.
Da una attenta interpretazione del punto in questione dell’impugnata motivazione emerge che la corte di merito ha ritenuto – esplicitamente o implicitamente – che l’appellata M.C. nel costituirsi in giudizio, al fine di contrastare la domanda di pagamento del saldo del prezzo, ha in primo luogo invocato la quietanza liberatoria rilasciata dalla venditrice già l’8.7.2003, il cui contenuto, tuttavia, sì poneva in patente contrasto (parziale) con le contestuali precisazioni aggiunte poco oltre nella stessa comparsa di costituzione della medesima convenuta, ove venivano elencati i pagamenti parziali effettuati a regolazione del rapporto;
ha, inoltre, considerato che la M.C. ha dichiarato di avere effettuato alcuni dei pagamenti a saldo del medesimo macchinario di cui alla fattura n. (OMISSIS), in particolare il giorno 1.8.2003 per Euro 50.000,00 ed il successivo 5.8.2003 per Euro 59.352,50, e cioè a distanza di circa un mese dal rilascio della invocata quietanza interamente liberatoria; ha aggiunto che a fronte del disconoscimento della quietanza liberatoria da parte della CELLETECH, l’affermata provenienza della quietanza dall’attrice – venditrice non esauriva ogni indagine ovvero non comportava una valenza vincolante di quanto enunciatovi, di modo che, nella fattispecie, non poteva imputarsi alla stessa di avere omesso di provare (o chiedere di provare) il carattere parzialmente simulato del contenuto – Tanto premesso, osserva il collegio che la corte di merito ha indubbiamente ben applicato la normativa invocata da parte ricorrente in quanto la parte che intende avvalersi della scrittura disconosciuta, nella specie dichiarazione liberatoria, deve presentare l’istanza di verificazione in modo non equivoco ed ha l’onere di svolgere l’attività processuale prevista dall’art. 216 c.p.c., istanza, peraltro, ammissibile solo finchè è possibile la produzione documentale. Per questo la corte di merito non ha tenuto in alcun conto la quietanza, per non avere la debitrice M.C. proposto alcuna verificazione. La sentenza, poi, con argomentazione ulteriore, ha escluso che tale dichiarazione potesse avere valore di quietanza.
Quanto sopra rilevato è certamente sufficiente per il rigetto del motivo, ma non sembra però inutile aggiungere, ad ulteriore suffragio delle conclusioni alle quali è giunta questa corte, che ai sensi dell’art. 216 c.p.c. chi propone istanza di verificazione ha, come già accennato, l’onere di proporre i mezzi di prova che ritiene utili e di produrre o indicare "le scritture che possono servire per la comparazione". Di tutte queste attività processuali l’unica che la parte ricorrente assume di avere svolto nelle sue difese consiste nell’avere affermato di volersi avvalere della dichiarazione liberatoria a fronte del disconoscimento della creditrice: è palese che una siffatta dichiarazione costituiva solo una affermazione di principio, trattandosi chiaramente di un puro apprezzamento all’altrui contestazione. Si deve, dunque, concludere che in base allo stesso assunto della M.C., questa non aveva ritualmente adempiuto il predetto onere negli atti difensivi successivi al disconoscimento. Il che evidenzia l’erroneità della sua tesi e rende ancora più incontestabile l’immunità dai vizi in questione della motivazione della corte di merito in punto di preteso carattere liberatorio della dichiarazione CELLTECH dell’8.7.2003.
Pure le residue doglianze, formulate sempre con il primo mezzo, non possono essere accolte, quanto alla lettera del 20.10.2003, che non poteva avere alcun rilievo, non solo perchè non proveniva dalla creditrice, ma perchè avrebbe semmai attestato l’avvenuta provenienza della quietanza dalla CELLETECH, senza però comprovare il valore di quietanza della stessa (addirittura parrebbe dimostrare la simulazione della asserita quietanza), per cui non si comprende cosa avrebbe dovuto contestare in proposito la creditrice. In ogni caso la verifica del contenuto della pretesa quietanza rientrava nei poteri del giudice di merito, per cui in tal senso ha correttamente operato il giudice del gravame.
Con il secondo mezzo viene denunciato error in procedendo ex art. 360 c.p.c., n. 4 in relazione all’art. 112 c.p.c. per violazione del principio tra chiesto e pronunciato, nonchè error in iudicando ex art. 360 c.p.c., n. 5 per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione per avere la corte di merito affermato che incombeva alla compratrice società M.C. dimostrare il pagamento integrale e ciò attraverso un esame comparativo delle rispettive annotazione contabili di cui al libro giornale, alla luce del diverso documento di trasporto ed alla commissione. La palese erroneità in cui sarebbe incorso il giudizio del giudice del gravame sarebbe evincibile proprio dal fatto che ritenuta indimostrata ed inattendile la circostanza del saldo del prezzo, ha poi rigettato la domanda di ripetizione di indebito oggettivo per carenza di supporto probatorio per presunte lavorazioni e forniture. Anche detta doglianza è priva di pregio.
Il rilievo concernente il valore della dichiarazione liberatoria, denunciato in relazione all’art. 112 c.p.c., non può essere accolto per le ragioni già esposte, in particolare circa la necessatà di tempestiva istanza di verificazione ex art. 216 c.p.c., a proposito del primo motivo di ricorso. Quanto alle altre argomentazioni va osservato quanto segue.
Premesso che le annotazioni unilaterali sugli atti contabili non devono formare oggetto di specifica contestazione, le deduzioni relative alla copia commissione costituiscono inammissibili censure sull’interpretazione degli atti, in quanto prive del necessario carattere dell’autosufficienza, non avendo la ricorrente provveduto alla trascrizione della medesima commissione. Come da questa Corte più volte affermato e ribadito, allorquando con il ricorso per cassazione viene dedotta l’incongruità o illogicità della motivazione della sentenza impugnata per mancata o insufficiente od erronea valutazione di risultanze processuali (un documento, deposizioni testimoniali, dichiarazioni di parti, accertamenti del c.t.u., ecc.) è infatti imprescindibile, al fine di consentire alla Corte di legittimità di effettuare il richiesto controllo (anche) in ordine alla relativa decisività, che il ricorrente precisi – pure mediante integrale trascrizione della medesima nel ricorso – la risultanza che egli asserisce decisiva o insufficientemente o erratamente valutata (cfr. Cass. 20 ottobre 2005 n. 20323; Cass. 12 maggio 2005 n. 9954), dato che per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione il controllo deve essere consentito sulla base delle deduzioni contenute nel medesimo, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la Corte di legittimità accesso agli atti del giudizio di merito (v. Cass. 24 marzo 2003 n. 3158; Cass. 25 agosto 2003 n. 12444; Cass. 1 febbraio 1995 n. 1161). Va, altresì, ribadito che il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 si configura solo quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire la identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione (in particolare cfr. Cass. 25 febbraio 2004 n. 3803).
Tale vizio non consiste, invero, nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove preteso dalla parte rispetto a quello operato dal giudice di merito (v. Cass. 14 marzo 2006 n. 5443; Cass. 20 ottobre 2005 n. 20322), solamente a quest’ultimo spettando individuare le fonti del proprio convincimento e a tale fine valutare le prove, controllarne la attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova (v, Cass. 25 febbraio 2004 n. 3803; Cass. 21 marzo 2001 n. 4025; Cass. 8 agosto 2000 n. 10417; Cass. SS.UU. 11 giugno 1998 n. 5802; Cass. 22 dicembre 1997 n. 12960).
La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce, infatti, al giudice di legittimità non già, come evidentemente suppone l’odierna ricorrente, il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito.
Nella specie, nella motivazione dell’impugnata pronunzia la corte di merito afferma espressamente che a fronte delle due diverse ricostruzioni dei fatti operata dalle parti in causa (quella della CELLTECH, secondo cui la acquirente non avrebbe provveduto a saldare il prezzo del macchinario acquistato, rilasciata dalla stessa venditrice la dichiarazione dell’8.7.2003 al solo fine di consentire alla M.C, di ottenere un finanziamento; quella della M.C. s.r.l., per la quale il saldo sarebbe avvenuto anche se in epoca successiva al rilascio della dichiarazione dell’8.7.2003, definito il prezzo fra le parti in tempi diversi dalla conclusione del contratto), apprezzando essa criticamente la valutazione della dichiarazione liberatoria effettuata dal giudice di prime cure, ritiene che nessun valore liberatorio possa essere attribuito alla dichiarazione dell’8.7.2003 in quanto "il Tribunale neppure poteva poi omettere di raffrontarla ed interpretarla nel contesto dello scritto esplicativo susseguito del successivo patrocinatore in giudizio, perchè dall’avere per parte propria ritenuto provato il fatto storico dell’emissione della quietanza liberatoria della venditrice e di conseguenza valutato "superfluo lo svolgimento della verificazione", era derivata insieme la piena acquisizione al dibattito processuale di un tale documento e del contenuto relativo, da considerarsi pertanto alla luce della altre emergenze processuali tutte".
Orbene, a fronte dei suddetti argomenti l’odierna ricorrente si limita, invero, a dedurre a sostegno delle proprie censure quanto sopra riportato in ordine agli atti prodotti a sostegno della estinzione della obbligazione del prezzo sulla stessa gravante. Lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni dell’odierna ricorrente, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., n. 4, in realtà si risolvono nella mera doglianza circa l’asseritamente erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass. 20 ottobre 2005 n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dalla corte distrettuale (cfr. Cass. 18 aprile 2006 n. 8932). Per tale via, infatti, come si è osservato sopra, lungi dal censurare la sentenza per uno dei tassativi motivi indicati nell’art. 360 c.p.c., la ricorrente in realtà sollecita, contra ius e cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass. 14 marzo 2006 n. 5443).
Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori, come per legge.
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