Cass. civ. Sez. II, Sent., 09-03-2012, n. 3786 Successione testamentaria

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- C.F. conveniva in giudizio la madre T.I., i germani D., G. e C.A. nonchè S. A.A. per sentire dichiarare: la nullità del testamento del 4-12-1989, con cui il padre C.G. – deceduto il (OMISSIS) – aveva disposto relativamente alla farmacia oggetto di impresa familiare; che la madre fosse dichiarata decaduta dalla qualità di erede e che si procedesse alla divisione giudiziale.

Nel corso del giudizio era disposto il sequestro giudiziario dei beni ereditari,fra i quali la farmacia.

Con sentenza parziale del 3 giugno 1994 il Tribunale di Perugia convalidava il sequestro giudiziario dei beni ereditari e dichiarava la validità della scheda testamentaria, la qualità di eredi legittimi di A. e C.F.; disponeva che la divisione avvenisse secondo la scheda testamentaria.

Tale decisione, appellata dai predetti F. e C. A., era confermata in sede gravame e passava in cosa giudicata.

Proseguito, quindi il giudizio di merito, il Tribunale lo decideva con sentenza del 22 settembre 2004.

Fra le altre statuizioni, con la sentenza definitiva, il Tribunale riteneva che la pronuncia di convalida di cui alla sentenza parziale, passata in cosa giudicata, precludeva l’esame delle questioni relative alla gestione del patrimonio in sequestro e agli atti di amministrazione conseguenti adottati fino alla predetta sentenza, mentre quelli successivi apparivano rispondenti alle esigenze di gestione.

Con la sentenza dep. 15 marzo 2007 la Corte di appello di Perugia, pur riformando in parte la decisione definitiva, confermava la statuizione del Tribunale laddove aveva ritenuto precluso l’esame di quelle questioni che avrebbero dovuto essere formulate nel giudizio di convalida.

In proposito, secondo i Giudici era passata in cosa giudicata l’affermazione con cui il Tribunale, con la prima sentenza del 3 giugno 1994, aveva ritenuto che il giudizio di convalida avesse a oggetto soltanto il provvedimento di autorizzazione del sequestro e non pure i successivi atti di amministrazione dei beni oggetto di sequestro. D’altra parte, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, la legittimità l’efficacia degli atti di esecuzione del sequestro devono essere dedotti nel giudizio di convalida.

Per quel che concerneva la doglianza circa la mancata presentazione da parte dell’amministratore giudiziario della dichiarazione dei redditi relativi della comunione ereditaria, i Giudici osservavano che la comunione ereditaria non è un soggetto tributario, essendo soggetti i singoli eredi, il cui livello individuale di reddito determina per ciascuno l’aliquota dell’imposta.

2.- Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione C. A. sulla base di due motivi illustrati da memoria.

Resiste con controricorso C.D..

Le parti hanno presentato l’istanza di trattazione prevista dalla L. n. 183 del 2011, art. 26, come modificato dal D.L. n. 212 del 2011, art. 14, comma 1.

Motivi della decisione

1.1.- Il primo motivo, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 670, 676, 677, 678 e 681 c.p.c., censura la decisione gravata laddove aveva ritenuto che con la sentenza di convalida dell’autorizzazione al sequestro il Tribunale avesse convalidato anche le ordinanze relative alla gestione del compendio ereditario, quando invece quel Giudice ritenne di dovere convalidare soltanto il provvedimento che aveva autorizzato il sequestro avendo riservato al giudizio di merito la convalida delle ordinanze successive sulle quali non ebbe a pronunciarsi.

1.2.- Il motivo è infondato.

La decisione impugnata ha in sostanza ritenuto precluso l’esame delle questioni concernenti la convalida degli atti di esecuzione del sequestro che non erano state esaminate dalla sentenza del 3 giugno 1994 del Tribunale che con affermazione – evidentemente erronea e comunque inidonea ad avere alcuna incidenza sull’oggetto del giudizio di merito e della sentenza definitiva – escluse che il giudizio sulla convalida implicasse o potesse estendersi alla valutazione della legittimità degli atti di attuazione del sequestro. Ed invero, come è stato evidenziato da Cass. 9687/1995, richiamata al riguardo dalla decisione impugnata, l’esecuzione delle misure cautelari, pur avvenendo nelle forme previste per l’esecuzione forzata (per consegna e rilascio nel sequestro giudiziario ovvero dell’espropriazione nel sequestro conservativo) non trasforma gli atti di esecuzione (più correttamente qualificati di "attuazione" dall’art. 669 duodecies, introdotto con la L. n. 353 del 1990) del sequestro in atti del procedimento di esecuzione forzata nè li assoggetta alla specifica competenza del giudice dell’esecuzione, sicchè le questioni relative alla inefficacia e alla illegittimità dell’esecuzione debbono essere proposte e risolte nel giudizio di convalida. Pertanto, la parte interessata che deduca l’illegittimità o l’inefficacia di atti dell’esecuzione del sequestro, nel vigore della disciplina anteriore alla L. n. 353 del 1990, non solo potrà chiederne la revoca o la modifica allo stesso giudice, ma ha l’onere di proporre la questione nel giudizio di convalida, con facoltà di proporre le ordinarie impugnazioni.

La sentenza impugnata, correttamente applicando il principio del dedotto e del deducibile, ha ritenuto che la cosa giudicata formatasi nel giudizio di convalida non consentiva l’esame della questione relativa alla convalida degli atti di gestione successivi al sequestro, questione che – come si è detto – andava formulata in quel giudizio, dovendo essere impugnata sotto tale profilo la decisione del 3 giugno 1994 laddove aveva ritenuto di non dovere provvedere sulla legittimità o meno di quegli atti.

Le osservazioni compiute dal ricorrente con la memoria depositata ex art. 378 c.p.c., sono del tutto inconferenti, tenuto conto della natura processuale della statuizione oggetto di impugnazione con il motivo in esame.

2.1. – Il secondo motivo, lamentando falsa applicazione del D.P.R. n. 42 del 1988 e, per applicazione analogica della L. n. 575 del 1965 e della L. n. 537 del 1993, censura la sentenza laddove aveva disatteso la richiesta di declaratoria di nullità (o annullamento e/o revoca) dell’ordinanza che aveva autorizzato la mancata presentazione da parte dell’amministratore giudiziario della dichiarazione dei redditi relativi alla comunione ereditaria.

Osserva che, con riferimento alla L. 31 maggio 1965, n. 575 "Disposizioni contro la mafia", la Amministrazione finanziaria, con la circolare del 7 agosto 2000 n.156/E, aveva equiparato l’amministratore giudiziario di beni sequestrati ai sensi del codice penale al curatore dell’eredità giacente con la conseguenza che i proventi del compendio vanno soggetti a tassazione separata ai sensi della L. n. 537 del 1993, art. 14 e l’amministratore deve espletare gli incombenti di legge.

2.2.- Il motivo è infondato.

Il riferimento alla amministratore di beni sequestrati ai sensi del codice penale, alla eredità giacente e al regime di tassazione separata sono del tutto fuori luogo nella specie laddove va considerato che le parti in causa rivestono la qualità di coeredi secondo quanto risulta dalla sentenza impugnata nonchè dal tenore delle stesse domande e dalla loro condotta processuale, essendo appena il caso di ricordare che la volontà di accettare l’eredità può manifestarsi anche per facta concludentia.

Orbene, ai fini della dichiarazione dei redditi, assumeva rilievo l’avvenuta confusione del patrimonio del de cuius con quello degli eredi: la comunione ereditaria, che ha a oggetto la contitolarità fra più persone del medesimo diritto, non è un soggetto autonomo o distinto dalle persone dei singoli titolari. Dunque la dichiarazione dei redditi andava presentata dai singoli comunisti, atteso che l’imposta di natura personale doveva essere determinata calcolando il reddito complessivo di ciascuno dei comunisti, nel quale devono essere considerati i redditi relativi alla quota di comproprietà sul compendio ereditario di cui ciascuno di loro sia titolare (D.P.R. n. 917 del 1986, art. 26, comma 2).

Il ricorso va rigettato. Le spese della presente fase vanno poste in solido a carico del ricorrente, risultato soccombente.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento in favore di C.D. delle spese relative alla presente fase che liquida in Euro 3.700,00 di cui 200,00 Euro per esborsi ed Euro 3.500,00 per onorari di avvocato oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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