T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 08-11-2011, n. 8562 Sanzioni disciplinari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

I) La prima delle epigrafate impugnative (n. 7865/2007) è rivolta avverso la sanzione dell’ammonimento, irrogata nei confronti della ricorrente – Giudice di pace coordinatore presso la sede di Casarano, nel circondario di Lecce – con decreto ministeriale del 5 giugno 2007, adottato su conforme e previa deliberazione del C.S.M.

Espone in proposito la ricorrente che nei propri confronti, nel corso del 2006, sono stati presentati taluni esposti da parte di personale addetto all’ufficio giudiziario di appartenenza, con i quali venivano segnalati comportamenti della dott. L. di carattere denigratorio e/o ostile.

Il competente Consiglio Giudiziario, nel rimettere la valutazione dei suindicati fatti al Presidente della Corte d’Appello, perveniva peraltro all’espressione di un giudizio favorevole in ordine alla conferma della ricorrente per un ulteriore quadriennio nelle già ricoperte funzioni (determinazione, poi, positivamente assunta dal C.S.M. con atto deliberativo del 22 novembre 2006, al quale ha fatto seguito il conforme decreto ministeriale del 15 dicembre 2006).

Il 28 dicembre dello stesso anno, il Presidente della Corte d’Appello di Lecce formalmente contestava alla ricorrente i seguenti fatti:

a) sistematica denigrazione del personale di cancelleria;

b) sostituzione dello statino delle sentenze depositate in ritardo nel’anno 2004, ma pubblicate nell’anno 2005;

c) mancato scioglimento, in tempi ragionevoli, delle riserva in ordine a talune centinaia di cause già pronte per la decisione negli anni 20042005.

In esito al riveniente procedimento, il Consiglio giudiziario proponeva, relativamente ai fatti di cui sub a) e sub b), l’irrogazione della sanzione disciplinare dell’ammonimento.

Si perveniva quindi all’adozione della suindicata misura, in ragione della deliberazione consiliare gravata e dell’omogeneo decreto ministeriale, pure oggetto di censura.

Le doglianze dalla parte articolate sono le seguenti:

I.1) Illegittimità dell’impugnato decreto del Ministro della Giustizia e dell’impugnata deliberazione del C.S.M. per violazione dell’art. 17, commi 1, 2, 8 e 9, del D.P.R. 198/2000.

Assume in primo luogo la dott.ssa L. che sarebbe stata violata la tempistica indicata nelle epigrafate disposizioni, lamentando l’inosservanza dei termini per l’iscrizione nell’apposito registro, per la successiva contestazione, nonché per lo svolgimento degli accertamenti e l’irrogazione della conclusiva sanzione.

Né rileverebbe, a tal fine, il periodo (22 agosto 2006 – 19 dicembre 2006) durante il quale, in pendenza del provvedimento di conferma nelle funzioni, l’interessata avrebbe cessato di far parte dell’ordine giudiziario.

I.2) Illegittimità dei provvedimenti impugnati per eccesso di potere, sub specie di contraddittorietà, travisamento dei fatti ed omessa, o comunque incompleta, motivazione.

Le determinazioni gravate rivelerebbero profili di contraddittorietà relativamente a diverse valutazioni espresse in ordine alle medesime circostanze di fatto, denotando altresì carenze motivazionali.

I.3) Vizio di eccesso di potere sub specie di contraddittorietà dei provvedimenti rispetto ad altri provvedimenti adotatti dagli stessi organi.

Gli atti gravati, inoltre, si porrebbero in contrasto con le determinazioni di conferma della ricorrente nelle funzioni di Giudice di pace, le quali si sarebbero espresse in ordine alle circostanze oggetto di considerazione in sede disciplinare nel senso della irrilevanza degli addebiti mossi nei confronti della dott.ssa L..

I.4) Vizio di eccesso di potere sub specie di travisamento dei fatti da parte dei provvedimenti impugnati.

Inoltre, il deliberato del C.S.M. darebbe atto di comportamenti censurabili, da parte della ricorrente, nei confronti di avvocati e parti private, laddove le contestazioni mosse nei confronti dell’interessata non riguardano episodi della specie.

I.5) Vizio di eccesso di potere sub specie di insufficienza assoluta di motivazione dei provvedimenti impugnati.

Difetterebbe, da ultimo, alcun elemento motivazionale atto a dimostrare la responsabilità della ricorrente in ordine ai fatti alla medesima ascritti.

II) La seconda impgunativa (4347/2009) è rivolta avverso l’irrogazione della sanzione disciplinare dell’ammonimento, di cui al deliberato C.S.M. del 17 gennaio 2008 ed al successivo decreto ministeriale del 26 febbraio 2009.

Gli atti gravati si dimostrerebbero inficiati alla luce dei seguenti argomenti di censura:

II.1) Illegittimità dell’impugnato decreto del Ministro della Giustizia e della delibera del C.S.M. per violazione dell’art. 17, commi 1, 2, 6, 8 e 9 del D.P.R. 198/2000.

Assume parte ricorrente la violazione dei tempi previsti dalle disposizioni epigrafate, in quanto:

– l’iscrizione nell’apposito registro non sarebbe intervenuta "immediatamente";

– il decreto del Ministro della Giustizia è stato adottato ad oltre un anno di tempo dall’iscrizione della notizia nell’apposito registro, pur in presenza di istanza presentata dalla dott.ssa L. al C.S.M. per sollecitare l’estinzione del procedimento.

II.2) Illegittimità dei provvedimenti impugnati per eccesso di potere sub specie di travisamento dei fatti e omessa, o, comunque, incompleta motivazione.

Difetterebbe, inoltre, alcun elemento motivazionale idoneo a dar conto della dimostrata responsabilità della ricorrente a fronte dei fatti nei confronti della medesima contestati.

III) L’ultima delle epigrafate impugnative (1743/2011) è rivolta avverso le determinazioni di mancata conferma della dott.ssa L. nelle funzioni di giudice di pace.

A fronte dell’istanza di riconferma dalla ricorrente presentata il 19 aprile 2010, esprimevano parere favorevole il Presidente della competente Corte d’Appello ed il Consiglio Giudiziario.

L’VIII Commissione del C.S.M., peraltro, evidenziava, a tali fini, la rilevanza dei precedenti disciplinari (di cui ai due ricorsi sopra sintetizzati) a carico della dott.ssa L., invitando l’interessata a controdedurre in proposito.

Intervenivano, quindi, la deliberazione del C.S.M. ed il conforme, successivo, decreto ministeriale di diniego di conferma, avverso i quali parte ricorrente espone i seguenti motivi di ricorso:

III.1) Irritualità della delibera del C.S.M. per eccesso di potere sub specie di mancata sottoscrizione

Viene, in primo luogo, evidenziato che la gravata deliberazione non rechi la sottoscrizione del Presidente e del Magistrato segretario, che hanno partecipato alla seduta.

III.2) Illegittimità della delibera del C.S.M. per violazione dell’art. 7, comma 2bis, della legge 21 novembre 1991 n. 374 e successive modifiche.

Il giudizio di non idoneità ai fini della conferma per un ulteriore quadriennio sarebbe stato reso dal C.S.M. senza tenere conto dei pareri favorevoli resi dal Presidente del Tribunale competente e dal Consiglio Giudiziario.

III.3) Illegittimità dei provvedimenti impugnati per eccesso di potere, travisamento dei fatti ed omessa, o comunque incompleta, motivazione. Contraddittorietà dei provvedimenti rispetto ad altri adottati dagli stessi organi.

Nell’osservare come sia stato adottato, nel 2006, un provvedimento di riconferma per il secondo quadriennio pur a fronte dell’acquisita conoscenza degli elementi poi assunti a fondamento dell’irrogazione dell’ammonimento, sostiene parte ricorrente che gli atti con la presente impugnativa gravati rivelerebbero profili di contraddittorietà con il giudizio di idoneità all’assolvimento delle funzioni, in tale circostanza espresso.

Ribadite le considerazioni rassegnate con i due precedenti gravami quanto all’insussistenza dei fatti a fondamento dei provvedimenti con i quali è stata per due volte disposta l’irrogazione della sanzione dell’ammonimento, parte ricorrente contesta che la determinazione avversata con il presente mezzo di tutela sia priva del necessario fondamento giustificativo, in quanto basata unicamente sull’esistenza di due pregiudizievoli precedenti disciplinari.

Evidenzia inoltre la ricorrente che, in data 28 settembre 2009, è stato revocato il precedente decreto 26 febbraio 2009 (impugnato con il ricorso 4347/2009) recante irrogazione di sanzione disciplinare: per l’effetto assumendosi – sotto diverso profilo – l’illegittimità della deliberazione del C.S.M. ora gravata, in quanto non solo non avrebbe tenuto conto di tale circostanza, ma avrebbe, anzi, assunto a fondamento della mancata conferma anche fatti oggetto di un provvedimento caducato in sede di autotutela dall’Autorità ministeriale.

Nel rimarcare la carenza motivazionale che inficerebbe il deliberato consiliare, parte ricorrente soggiunge che non sarebbero stati tenuti in alcuna considerazione i pareri favorevoli alla riconferma resi dal Presidente del Tribunale di Lecce e dal Consiglio Giudiziario.

Conclude parte ricorrente insistendo per l’accoglimento dei proposti gravame, con conseguente annullamento degli atti rispettivamente oggetto di censura.

L’Amministrazione intimata, costituitasi in giudizio, ha contestato la fondatezza delle censure dedotte dalla parte ricorrente, conclusivamente insistendo per la reiezione dei gravami.

La domanda di sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato, dalla parte ricorrente proposta in via incidentale relativamente al ricorso n. 7865/2007, è stata dalla Sezione respinta con ordinanza n. 4618 del 10 ottobre 2007; mentre l’istanza cautelare proposta relativamente all’impugnativa n. 1743 del 2011 è stata respinta con ordinanza n. 1044, pronunziata nella Camera di Consiglio del 24 marzo 2011.

I ricorsi vengono ritenuti per la decisione alla pubblica udienza del 26 ottobre 2011.

Motivi della decisione

Evidenti ragioni di connessione di carattere soggettivo e di indole oggettiva (atteso il vincolo di necessaria implicazione logicogiuridica esistente fra gli atti gravati con l’ultima delle proposte impugnative e quelli impugnati con i precedenti gravami) consentono di procedere alla riunione dei ricorsi nn. 7865 del 2007, 4347 del 2009 e 1743 del 2011, proposti tutti da L.A. avverso il Ministero della Giustizia ed il Consiglio Superiore della Magistratura.

I. Viene, in primo luogo, in considerazione il ricorso n. 7865 del 2007, con la quale parte ricorrente ha contestato la legittimità della sanzione disciplinare dell’ammonimento, inflitta giusta deliberazione del Consiglio Superiore della Magistratura del 3 maggio 2007 e successivo decreto ministeriale del 5 giugno dello stesso anno.

I.1 Sostiene innanzi tutto la ricorrente che sia stata violata la tempistica prevista dall’applicabile disciplina per lo svolgimento e la conclusione del procedimento disciplinare.

Va al riguardo osservato come l’art. 9 della legge 21 novembre 1991 n. 374 preveda che "nei confronti del giudice di pace possono essere disposti l’ammonimento, la censura, o, nei casi più gravi, la revoca se non è in grado di svolgere diligentemente e proficuamente il proprio incarico ovvero in caso di comportamento negligente o scorretto" (comma 3).

Prosegue l’articolo di legge all’esame soggiungendo che "il Presidente della Corte d’Appello propone al Consiglio Giudiziario… la dichiarazione di decadenza, la dispensa, l’ammonimento, la censura o la revoca. Il consiglio giudiziario, sentito l’interessato e verificata la fondatezza della proposta, trasmette gli atti al Consiglio Superiore della Magistratura affinché provveda sulla dichiarazione di decadenza, sulla dispensa, sull’ammonimento, sulla censura o sulla revoca".

Le disposizioni dettate dall’art. 17 del D.P.R. 10 giugno 2000 n. 198 (Regolamento recante norme di coordinamento e di attuazione del capo I della legge 24 novembre 1999, n. 468, concernente il giudice di pace) disciplinano i profili procedurali inerenti la sequenza degli atti suscettibili di condurre all’adozione di una delle determinazioni sanzionatorie come sopra introdotte dalla legge 374/1991; in particolare, stabilendo che:

– "il Presidente della Corte d’Appello che abbia notizia non manifestamente infondata di fatti costituenti causa di decadenza, di dispensa o di sanzioni disciplinari indicate ai commi 1, 2 e 3 dell’art. 9 della legge, con esclusione delle ipotesi di dimissioni volontarie, entro quindici giorni, contesta, per iscritto, il fatto al giudice di pace interessato" (comma 1);

– "ogni notizia concernente fatti di cui al comma 1 è iscritta immediatamente, a cura del presidente della corte d’appello, in apposito registro con indicazione degli estremi di essa e del giudice alla quale si riferisce" (comma 2);

– "la contestazione deve indicare, succintamente, i fatti suscettibili di determinare l’adozione dei provvedimenti indicati al comma 1, le fonti da cui le notizie dei fatti sono tratte e l’avvertimento che, entro il termine di quindici giorni dal ricevimento dell’atto, l’interessato può presentare memorie e documenti o indicare circostanze sulle quali richiede indagini o testimonianze" (comma 3);

– "il Presidente della Corte d’Appello, anche all’esito degli accertamenti" previsti dal comma 4 "se la notizia non si è rivelata infondata, entro quarantacinque giorni decorrenti dall’iscrizione della notizia di cui al comma 1 nell’apposito registro, trasmette, con le sue proposte, gli atti al Consiglio Giudiziario per le determinazioni di cui al comma 4 dell’art. 9 della legge" (comma 5);

– "il segretario del Consiglio Giudiziario notifica tempestivamente all’interessato il giorno, l’ora ed il luogo fissati per la deliberazione, avvertendolo che ha facoltà di prendere visione degli atti relativi alla notizia che ha occasionato il procedimento e degli eventuali accertamenti svolti. L’interessato è avvertito, altresì, che potrà comparire personalmente, che potrà essere assistito da un difensore appartenente all’ordine giudiziario e che se non si presenterà senza addurre un legittimo impedimento si procederà in sua assenza. La data fissata per la deliberazione deve essere notificata almeno dieci giorni prima del giorno fissato" (comma 6);

– "il Consiglio Giudiziario delibera la proposta entro tre mesi decorrenti dall’iscrizione della notizia di cui al comma 1 nell’apposito registro" (comma 8);

– "decorso un anno dall’iscrizione di cui al comma 2 senza che sia stato emesso il decreto di cui all’art. 9, comma 5, della legge il procedimento, con il consenso dell’interessato, si estingue" (comma 9).

I.2 Sotto il profilo della scansione temporale, (e, quindi, relativamente alla dedotta violazione dei termini previsti dall’art. 17 del D.P.R. 198/2000), è opportuno sottolineare che, come da questa Sezione già rilevato (cfr. sent. 8 marzo 2006 n. 1753, 4 febbraio 2008 n. 936 e 9 dicembre 2009 n. 12599), la normativa in questione configura come perentorio il solo termine di conclusione del procedimento, fissandolo in un anno dall’iscrizione della notitia criminis nel registro all’uopo istituito, pena l’estinzione del procedimento stesso: sicché tutti gli altri termini indicati dal citato art. 17 hanno natura ordinatoria, tant’è che la loro inosservanza non è sanzionata in alcuna maniera.

Né l’obbligo di procedere con immediatezza all’iscrizione – di cui al comma 2 dell’art. 17 – esclude che possa previamente essere compiuta dal Presidente della Corte d’Appello una sommaria valutazione circa la non manifesta infondatezza della notizia, a garanzia dell’incolpato (cfr., in termini, T.A.R. Lazio, sez. I, 18 gennaio 2010 n. 294).

Tale incombente, oltre a poter essere desunto in via interpretativa dal comma 1 dello stesso art. 17, è espressamente prescritto dalla circolare del C.S.M. del 23 dicembre 2002 n. P23482/2002: la quale, al capo VIII, prevede che il presupposto per la immediata iscrizione nell’apposito registro e della contestazione all’interessato dei fatti costituenti causa di decadenza, di dispensa o di sanzioni disciplinari indicate ai commi 1, 2 e 3 dell’art. 9 della legge n. 374/1991 è rappresentato dalla non manifesta infondatezza della notizia.

Alla lettera c), inoltre la circolare precisa che: "il riferimento alla nozione di manifesta infondatezza comporta che il presidente della corte d’appello procederà all’archiviazione, senza svolgere alcuna attività istruttoria e senza provvedere alla trasmissione al Consiglio giudiziario ed al Consiglio superiore della magistratura, di tutti gli esposti, le denunce, le segnalazioni in relazione ai quali manchino i presupposti per l’inizio del procedimento di cui sopra".

I.3 Pur nella convinta riaffermazione dei principi suesposti, non può nondimeno la Sezione omettere di rilevare come lo svolgimento procedimentale – e, segnatamente, l’arco temporale intercorso fra la presentazione degli esposti riguardanti la dott.ssa L. e l’iscrizione nel registro – abbia sofferto una dilatazione abnorme, quanto inspiegabile.

Giova rammentare, a tale riguardo, come il primo degli esposti risalga al 16 gennaio 2006; e che la ricorrente risulta essere stata convocata dal componente delegato del Consiglio giudiziario presso la Corte d’Appello di Lecce – al fine di essere personalmente sentita in ordine alle circostanze in tale esposte contenute – il successivo 28 febbraio.

Seguivano ulteriori esposti, parimenti presentati nei confronti dell’interessata da personale di cancelleria, alle date del 14 marzo, 24 marzo, 14 aprile, 6 maggio e 12 luglio del 2006: senza che, in nessuna di tali circostanze, si provvedesse all’iscrizione di che trattasi (per la quale, sia pure fuori da ogni connotazione di perentorietà, nondimeno l’art. 17, comma 2, del D.P.R. 198/200 predica il carattere di "immediatezza").

Nelle more dell’iscrizione onde trattasi, peraltro, il Consiglio giudiziario rassegnava (seduta del 19 ottobre 2006) il parere di competenza in ordine alla richiesta di conferma quadriennale avanzata dalla dott.ssa L.: la quale veniva successivamente assentita con decreto ministeriale del 15 dicembre 2006, reso su conforme previo deliberato dell’Organo di autogoverno (seduta del 22 novembre dello stesso anno).

Soltanto a seguito della consecuzione temporale di eventi sopra dettagliatamente illustrata, il Presidente della Corte d’Appello di Lecce perveniva (in data 19 dicembre 2006) alla determinazione di procedere all’iscrizione nell’apposito registro della notizia dei fatti evidenziati nei confronti della ricorrenti dai rammentati esposti presentati da taluno degli appartenenti al personale di cancelleria; di seguito provvedendo (28 dicembre) alla prescritta contestazione di addebiti.

L’arco temporale complessivamente misurabile fra il primo degli esposti e l’iscrizione nel registro si ragguaglia, come reso evidente da quanto sopra riportato, a complessivi 11 mesi.

Il ribadito convincimento in ordine alla non perentorietà dei termini endoprocedimentali non può esimere questo organo di giustizia – come in precedenza accennato – dall’interrogarsi in ordine ad una così macroscopica dilatazione temporale della tempistica di accertamento della rilevanza disciplinare dei fatti mossi ad addebito della ricorrente: e, con essa, alle ragioni che hanno indotto a collocare in prossimità della scadenza annuale il momento in cui il competente Presidente di Corte d’Appello ha provveduto a porre in essere tale adempimento.

Con memoria in data 23 settembre 2011, l’Avvocatura Generale dello Stato ha sottolineato come la ritardata iscrizione nel registro sarebbe conseguenza della temporanea cessazione dell’appartenenza della ricorrente all’ordine giudiziario, a cagione dell’arco temporale intercorso fra la scadenza del primo quadriennio di svolgimento delle funzioni onorarie e la nuova investitura di queste ultime, veicolata dalla deliberazione consiliare (e dal conseguente decreto ministeriale) di conferma della dott.ssa L. per eguale periodo.

Tale hiatus – la cui estensione ricomprende il periodo fra il 22 agosto 2006 ed il 19 dicembre 2006 – avrebbe determinato una sorta di "quiescenza" del procedimento disciplinare (rectius: del termine per procedere all’iscrizione nel registro ex art. 17, comma 2): circostanza, questa, posta in evidenza dallo stesso C.S.M., il quale (delibera del 3 maggio 2007) ha sostenuto che la cessazione di appartenenza all’ordine giudiziario (22 agosto 2006) e la successiva "ri"appartenenza (19 dicembre 2006) ha determinato "dapprima la stasi della procedura disciplinare, che successivamente riprendeva, legittimamente, una volta rimossa la causa ostativa".

Prosegue sul punto l’Organo di autogoverno soggiungendo che "anche a voler seguire la non condivisibile tesi di controparte, considerando, cioè, l’iscrizione avvenuta il 16 gennaio 2006, giorno di presentazione del primo esposto, è necessario aggiungere al periodo di un anno il numero dei giorni durante i quali l’incolpata non ha fatto parte dell’ordine giudiziario che nel caso di specie assommano a 120, computando il periodo compreso fra il 22 agosto 2006 ed il 19 dicembre 2006. la conseguenza è che la procedura si è svolta legittimamente ed ampiamente nel termine di un anno così come indicato dall’art. 17…".

I.4 Gli atti di causa, peraltro, non consentono di verificare la presenza di alcun convincente elemento avente portata concretamente giustificativa a fronte dell’abnorme tempistica di avvio procedimentale, come sopra illustrata e, con essa, di una così ampiamente differita attuazione dell’adempimento di che trattasi: il quale – ancorché presidiato, si ribadisce, da termine non perentorio – ha, tuttavia, riverberato inevitabili effetti sul termine ultimo di conclusione del procedimento (adozione della determinazione sanzionatoria: questa, sì, assistita dalla previsione di un termine annuale pacificamente perentorio), adottata a distanza di oltre sedici mesi dalla data di presentazione del primo esposto nei confronti della dott.ssa L..

Piuttosto, la lettura degli atti di causa induce nel Collegio il diverso convincimento in ordine alla pregressa (rispetto alla data di iscrizione nel registro di che trattasi) acquisizione dei necessari elementi conoscitivi, nella loro completezza, sufficienti al fine di rendere doveroso l’adempimento di che trattasi.

Con determinazione del 18 settembre 2006, infatti, il Consiglio Giudiziario presso la Corte d’Appello di Lecce ha rimesso all’unanimità al Presidente della stessa Corte d’Appello "l’inizio della procedura di irrogazione di sanzioni disciplinari nei confronti del giudice di pace di Casarano avv. A. L.".

Pur nel segnalare la singolarità di tale pronunzia – avente carattere puntualmente dissonante con il deliberato, adottato dallo stesso Consiglio Giudiziario (il 19 ottobre 2006) a poco più di un mese dal precedente, con il quale tale organismo, nel rendere parere favorevole alla conferma quadriennale della ricorrente nelle funzioni, ha ritenuto la dott.ssa L. "sufficientemente in possesso delle… necessarie doti di imparzialità ed equilibrio, in quanto,… non può individuarsi in comportamenti censurabili dell’avv. L. l’origine degli episodi di conflittualità con il personale di cancelleria" – va comunque osservato che, rispetto alla data della determinazione del 18 settembre 2006, l’iscrizione nel registro a cura del Presidente sia intervenuta con un ritardo superiore ai tre mesi (19 dicembre 2006).

Né può fondatamente sostenersi che tale ulteriore indugio sia conseguenza della temporanea cessazione di appartenenza dell’interessata all’ordinamento giudiziario: circostanza questa che, ove ritenuta avente ostativa valenza ai fini dello svolgimento dell’iter del procedimento disciplinare, avrebbe dovuto precludere anche l’adozione del suindicato deliberato del Consiglio giudiziario del 18 settembre 2006 (adottato circa un mese dopo che la dott.ssa L. aveva terminato il primo mandato quadriennale nelle funzioni onorarie).

In ogni caso, le emersioni documentali acquisite in atti non illustrano la presenza di elementi idoneamente giustificativi alla durata, invero non spiegabile, dell’iter preordinato all’iscrizione in questione (e, conseguentemente, alla complessiva durata del procedimento), atteso che nell’arco temporale di oltre sette mesi intercorrente fra la presentazione del primo esposto (16 gennaio 2006) e la data di (temporanea) cessazione delle funzioni da parte della dott. L. (22 agosto dello stesso anno) ben avrebbe potuto procedersi al perfezionamento dell’adempimento di che trattasi e, con esso, al formale avvio del procedimento (con riveniente decorrenza del termine annuale per il relativo perfezionamento).

I.5 Le considerazioni sopra esposte inducono a ritenere che lo svolgimento procedimentale sia viziato – come fondatamente sostenuto dalla ricorrente – in quanto deve ritenersi doveroso che il Presidente della Corte d’appello, al ricevimento di notizie di fatti che potrebbero costituire fondamento per l’irrogazione di sanzioni disciplinari, proceda ad una contestazione di addebiti la quale, in ragione dell’esigenza di "immediatezza" postulata (pur non a pena di decadenza) dal D.P.R. 198/2000, deve comunque intervenire in un arco di tempo non abnormemente dilatato, ma dimostrabilmente commisurato all’esigenza di condurre gli opportuni preliminari accertamenti in ordine alla non manifesta infondatezza della notitia criminis.

Quanto sopra rilevato consente di apprezzare il non tempestivo esercizio dell’azione disciplinare con riferimento al superamento del previsto termine annuale di perfezionamento dello stesso (avente, come osservato, carattere di obbligatoria osservanza; pena, altrimenti, l’estinzione dell’azione) per l’adozione del conclusivo provvedimento.

I.6 Accede alle considerazioni come sopra rassegnate – previo l’inevitabile assorbimento dei rimanenti argomenti di censura articolati con il mezzo di tutela all’esame – l’annullamento della gravata determinazione consiliare del 3 maggio 2007, nonché del conseguente decreto del Ministro della Giustizia in data 5 giugno 2007.

II. La seconda delle riunite impugnative (n. 4347 del 2009) è rivolta avverso il decreto del Ministro della Giustizia in data 26 febbraio 2009, con il quale è stata irrogata alla ricorrente la sanzione dell’ammonimento sulla base della omogenea, precedente delibera del Consiglio Superiore della Magistratura, resa nella seduta del 17 gennaio 2008.

L’improcedibilità del gravame accede alla revoca del decreto gravato, disposta con successiva determinazione ministeriale del 28 settembre 2009 a fronte del constatato superamento del previsto termine annuale per l’adozione dell’atto conclusivo del procedimento disciplinare.

Deve conseguentemente escludersi che, in ragione della sopravvenuta caducazione dell’impugnato provvedimento sanzionatorio, persista in capo alla ricorrente interesse attuale alla definizione dell’impugnativa: per la quale va, quindi, resa pronunzia in rito di improcedibilità per sopravvenuto difetto di interesse.

III. L’ultimo dei riuniti gravami (distinto al R.G. dell’anno 2011 con il n. 1743) ha ad oggetto la delibera con la quale il Consiglio Superiore della Magistratura, nella seduta del 26 gennaio 2011, ha disposto di non confermare la ricorrente nelle funzioni di Giudice di pace coordinatore nella sede di Casarano.

III.1 Va innanzi tutto osservato che l’Organo di autogoverno ha valutato – sulla base di un conforme convincimento rassegnato dall’VIII Commissione consiliare – la presenza di "elementi idonei a fondare un giudizio di inidoneità desumibili dalla valenza negativa dei fatti e dei comportamenti desunti dagli atti dei procedimenti disciplinari definiti con delibere consiliari del 3 maggio 2007 e 17 gennaio 2008 di irrogazione delle sanzioni dell’ammonimento e dell’incidenza degli stessi sul requisito, previsto dall’art. 5, comma 3, della legge 21 novembre 1991 n. 374, della capacità di "assolvere degnamente, per indipendenza, equilibrio e prestigio acquisito e per esperienza giuridica e culturale, le funzioni di magistrato onorario".

Di seguito a quanto come sopra premesso, il C.S.M. soggiunge che "le vicende oggetto dei procedimenti disciplinari riguardano, la prima… la violazione del dovere di diligenza e del dovere di correttezza nei confronti degli avvocati e delle parti private, mentre la seconda vicenda attiene all’aver posto in essere una condotta contraria ai principi di correttezza…".

Se le contestazioni a presupposto del primo provvedimento disciplinare hanno riguardato:

– comportamenti asseritamente denigratori posti in essere dalla dott. L. nei confronti del personale di cancelleria, "ad essi falsamente ascrivendo comportamenti disdicevoli, manifestamente in contrasto con la ponderazione di cui ogni appartenente all’Ordine giudiziario deve improntare il proprio comportamento",

– nonché la sostituzione dello statino delle sentenze depositate in ritardo nell’anno 2004, ma pubblicate nell’anno 2005… con altro con dicitura "negativo";

nell’ambito del secondo procedimento disciplinare – parimenti conclusosi con l’irrogazione dell’ammonimento – la contestazione mossa nei confronti della ricorrente è stata rappresentata dal fatto che la dott.ssa L. si sarebbe "introdotta negli uffici della Segreteria del Consiglio Giudiziario il giorno 16 marzo 2007, quando il personale addetto non era in servizio, per consultare il "Registro riservato delle notizie di fatti costituenti cause di decadenza, di dispensa o di sanzioni disciplinari nei confronti dei giudizi di pace", con ciò ponendo in essere una condotta contraria ai più elementari principi di correttezza ai quali l’attività del magistrato deve ispirarsi".

III.2 Quanto sopra posto quanto al complesso di elementi valutati dal C.S.M. nel quadro dell’obbligo di pronunziarsi in ordine alla (ri)conferma della ricorrente nelle funzioni onorarie per un ulteriore quadriennio, va senz’altro escluso che i fatti precedentemente esposti non potessero formare oggetto di apprezzamento da parte dell’Organo di autogoverno.

È ben vero che, se il secondo provvedimento sanzionatorio è stato rimosso, nell’esercizio del potere di autotutela, dalla stessa Autorità ministeriale (cfr. quanto sopra indicato sub II), la prima determinazione (gravata dalla dott.ssa L. con il ricorso n. 7865/2007) è stata dalla Sezione ritenuta illegittima in ragione della assorbente rilevanza annessa al superamento del termine annuale di conclusione del procedimento, giusta quanto diffusamente esposto sub I.

Entrambi tali circostanze, peraltro, pur dando atto della illegittimità dello svolgimento dei percorsi procedimentali sotto l’esclusivo profilo del rispetto della prevista tempistica di definizione degli stessi, non precludono – né possono in alcun modo assumere valenza ostativa – l’apprezzamento dei fatti posti a fondamento di responsabilità disciplinare sotto l’aspetto della verifica della sussistenza (ed immanenza) dei requisiti di cui all’art. 5, comma 3, della legge 21 novembre 1991 n. 374 (capacità di assolvere degnamente, per indipendenza, equilibrio e prestigio acquisito e per esperienza giuridica e culturale, le funzioni di magistrato onorario).

III.3 Va in proposito rammentato come il diniego di conferma possa essere disposto dal Consiglio Superiore sulla base di una valutazione, che, in quanto volta in via primaria a salvaguardare i valori di imparzialità, indipendenza e prestigio della funzione giurisdizionale, non ha natura disciplinare (cfr. Cons. Stato, sez. III, parere 23 gennaio 2001 n. 2078); e che il relativo giudizio può, pertanto, prescindere dal puntuale riscontro in ordine alla imputabilità soggettiva degli specifici fatti negativi ascritti all’interessato.

È stato, in particolare, rimarcato che, dovendo istituzionalmente prevenire ogni situazione pregiudizievole per la funzione da affidare, il Consiglio Superiore può tenere conto di ogni elemento suscettibile di determinare una effettiva ripercussione sfavorevole sull’immagine del magistrato onorario: in tale ottica il diniego di conferma non richiedendo, dunque, la prova piena dell’avvenuta compromissione del bene tutelato, trattandosi di strumento utilizzabile anche quando il prestigio dell’Ufficio risulti anche soltanto messo in pericolo (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 28 aprile 2009 n. 2428 e 14 aprile 2006 n. 2126; T.A.R. Lazio, sez. I, 14 gennaio 2008 n. 187, 5 febbraio 2008 n. 975 e 21 ottobre 2008 n. 9054).

Il giudizio che il C.S.M. è chiamato nella fattispecie a rendere integra una valutazione di merito sindacabile – anche per la peculiare posizione costituzionale del Consiglio – solo ab externo, nei limiti della manifesta abnormità e illogicità, spettando esclusivamente all’Organo di auotgoverno ponderare in concreto quali accadimenti e titoli siano suscettibili, o meno, di incidere sulla capacità del giudice onorario (Cons. Stato, sez. IV, 11 maggio 2007 n. 2326).

Dalle considerazioni ora esposte in ordine alla latitudine dell’apprezzamento discrezionale demandato al C.S.M. consegue, sul piano processuale, che il sindacato esercitabile in sede giurisdizionale al cospetto di controversie quale quella all’esame resta necessariamente ancorato al riscontro della sussistenza dei presupposti, al vaglio in ordine alla congruità della motivazione, nonché all’accertamento del nesso logico di conseguenzialità tra presupposti e conclusioni (Cons. Stato, sez. IV, 14 aprile 2006 n. 2126).

III.4 Le coordinate interpretative sopra riportate – che meritano convinta adesione – impongono di dare atto della fondatezza dell’impugnativa all’esame.

Va in primo luogo osservato che il deliberato oggetto di censura reca talune inesattezze: ad esempio, laddove si sostiene che la violazione del dovere di diligenza e di correttezza si sarebbe sostanziata, da parte della dott.ssa L., nei confronti degli avvocati e delle parti private, mentre le risultanze documentali acquisite al giudizio concernono, esclusivamente, esposti presentati nei confronti della ricorrente da parte di personale di cancelleria.

Quanto poi ai fatti ascritti a responsabilità della dott.ssa L. nel corso del primo procedimento disciplinare avviato nei confronti dell’interessata (ed oggetto del primo dei gravami come sopra riuniti), va osservato che:

– se il competente Consiglio giudiziario aveva espresso, nella seduta del 19 ottobre 2006, parere favorevole alla conferma quadriennale (in tale circostanza, come riportato al precedente punto I.4 ritenendo l’interessata "sufficientemente in possesso delle… necessarie doti di imparzialità ed equilibrio, in quanto,… non può individuarsi in comportamenti censurabili dell’avv. L. l’origine degli episodi di conflittualità con il personale di cancelleria";

– lo stesso C.S.M., nella seduta del 22 novembre 2006, ha disposto la conferma per un secondo mandato, in ragione della rilevata insussistenza di elementi a tal fine ostativi.

Nel rilevare come i fatti oggetto del primo procedimento disciplinare fossero, alla data di assunzione delle rispettive determinazioni, noti sia al Consiglio giudiziario leccese, che all’Organo di autogoverno, sorprende rilevare come, in sede di ulteriore conferma quadriennale, il C.S.M. sia pervenuto ad un diverso apprezzamento delle medesime circostanze, di fatto accedendo ad un bis in idem contraddistinto da specularità valutative affatto dissonanti rispetto alla precedente determinazione di conferma nelle funzioni onorarie.

Se tale contraddittorietà valutativa avrebbe meritato una congrua e pertinente ostensione motivazionale che, invece, il deliberato del 26 gennaio 2011 non offre, va d’altro canto considerato che il complessivo apprezzamento delle qualità della ricorrente – a presupposto della verifica dei requisiti ex art. 5, comma 3, della legge 374/1991 – si dimostra inevitabilmente inficiato dalla non dimostrata concludenza dei rilievi asseritamente ostativi rispetto alla conferma nelle funzioni.

In altri termini, non risulta congruamente e concludentemente sviluppato quel rapporto di conseguenzialità logica – pur rimesso all’apprezzamento, nel merito insindacabile, dell’Organo di autogoverno – fra elementi e/o circostanze di fatto ed inidoneità del magistrato all’assolvimento delle funzioni onorarie: per l’effetto dovendosi dare atto, sul punto, dell’inadeguatezza motivazionale dell’atto gravato, la cui sindacabilità, alla stregua dei referenti interpretativi dei quali si è dato conto, impone di rilevare l’illegittimità del deliberato all’esame.

III.5 In tali termini, l’atto merita di essere annullato: riservandosi all’emendato esercizio del potere amministrativo – nel quadro della valenza conformativa inalveata dalle esposte considerazioni – una rinnovata considerazione della posizione della dott. L. ai fini della conferma quadriennale nelle funzioni onorarie.

IV. Ribadite, quanto ai riuniti gravami, le considerazioni e le conclusioni in precedenza esposte, dispone il Collegio di porre le spese di lite a carico dell’Amministrazione soccombente, giusta la liquidazione di cui in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) preliminarmente riuniti i ricorsi nn. 7865 del 2007, 4347 del 2009 e 1743 del 2011, così dispone:

– accoglie il ricorso n. 7865 del 2007; e, per l’effetto, annulla il decreto del Ministro della Giustizia in data 5 giugno 2007, nonché la deliberazione del Consiglio Superiore della Magistratura, emessa nella seduta del 3 maggio 2007;

– dichiara improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse, il ricorso n. 4347 del 2009;

– accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il ricorso n. 1743 del 2011; e, per l’effetto, annulla – riservate al C.S.M. le ulteriori statuizioni – la delibera dello stesso Consiglio emessa nella seduta del 26 gennaio 2011, con la quale è stato adottato nei confronti della ricorrente il provvedimento di non conferma quadriennale.

Per tutte e tre le riunite impugnative, condanna il Ministero della Giustizia, nella persona del Ministro p.t., nonché il Consiglio Superiore della Magistratura, nella persona del legale rappresentante, in solido, al pagamento delle spese di giudizio in favore della ricorrente L.A., in ragione di complessivi Euro 2.500,00 (euro duemila e cinquecento/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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